“È stata la mano di Dio” è la frase cult di un film da poco uscito sul grande schermo. È stata la  mano di Dio, come a dire il suo volere, il suo segno. C'è stata anche per me una mano di Dio, è stata quella a farmi calare in un'esperienza non ordinaria, intensa, di cui oggi posso scrivere, come mi piace scrivere di qualsiasi traccia sia indelebile per me.

Ho conosciuto le Piccole Missionarie Eucaristiche due anni fa, in quel mese meraviglioso trascorso in Tanzania, esperienza appena precedente allo scoppio del vortice pandemico che ci ha travolti e che ci tiene tuttora imbrigliati. Piani saltati, progetti piccoli e grandi andati in fumo. A tratti mi è sembrato di non respirare. Rrȅshen è nata forse un po' in risposta a quest'apnea e certamente grazie a quell'incontro, diventato poi sincera amicizia, con Suor Arta e Suor Anna. Non sono mai riuscita ad utilizzare il termine “volontariato” per connotare queste mie partenze. O meglio, un lavoro volontario c'è, ma a parti inverse.

Si parte col desiderio, la curiosità, la voglia di calarsi e assorbire qualcosa di un mondo altro e certamente diverso, e ci si ritrova non solo a dare, ma soprattutto a ricevere “l'abbraccio”, la volontà dell'altro di prendersi cura di te in maniera semplice, autentica. In pochi giorni quante domande, quante informazioni, quante riflessioni si sono affollate! Nel mio lavoro porsi delle domande è un processo prezioso, di assoluta responsabilità verso l'altro e verso sé, in cui le risposte non garantiscono né onnipotenza, né impotenza. Ci si permette di provare a navigare nel marasma di emozioni della vita, cercando di dare significato e coerenza a ciò che accade. E' un pò questo, in proporzione, il processo che ho vissuto.

Questi dieci giorni diventano necessariamente parte della mia crescita, non so trovare altro nome alle lunghe chiacchierate con Suor Virginia, alla dolcezza di Suor Giuseppina, e alla risoluta amorevolezza di Suor Bernarda. Queste tre sorelle, queste tre donne condite di ironia, fede e realtà.

Vivono a Rrȅshen da anni, molti anni. Sono parte di quella comunità, ne sentono le gioie, e i drammi, come fossero propri. Si industriano, e la comunità risponde, con fiducia. Accompagnano i piccoli alla crescita in una scuola dell'infanzia, ed io che in Italia ci lavoro, ho sentito un moto di speranza, di vera bellezza, quando l'ho visitata. Un ambiente protetto, profumato di purezza, dell'odore che ogni bambino merita.

Le mie giornate sono volate via tra i fremiti natalizi, i doni portati alle famiglie più bisognose, il byrek preparato con Suor Bernarda (buono, buono, buono!), il raccoglimento e i racconti. Il raccoglimento, quello che ci ha letteralmente scaldate in pomeriggi gelidi, e che è stato comprensione, condivisione e solo dopo preghiera, per me. Pur non essendo una fervida religiosa mi sono sentita parte di qualcosa e sono stata accompagnata in questo, rispettata nei miei limiti, incoraggiata con grazia a partecipare fin dove mi fossi sentita di farlo. Soprattutto in questo sta il mio ringraziamento.

E i racconti…quanto ho cercato di assorbire in pochi giorni. Chi sono gli albanesi, come vivono, cosa mangiano, cosa sognano?

Poco si sa, se non sommariamente, di cosa fu il regime comunista per il popolo albanese; qualcosa probabilmente di non meno atroce e brutale del nazismo, meglio trasmesso dalla storia alle generazioni successive. Si poteva star bene, a condizione che tutto fosse uguale per tutti, di tutti, e fondamentalmente di nessuno. Un'amputazione dell'autonomia, del desiderio, della differenza, dell'ambizione, ingredienti fondamentali di quella che chiamiamo libertà. Una sorta di congelamento del sé. In parallelo il sistema in vigore riusciva però anche a creare la percezione di un senso di sicurezza.

Difficile stabilire per me il peso dei vincoli, ed interessantissimo è stato poter ascoltare la voce ed il racconto di qualche persona del posto. Mi chiedo, ad ogni modo, quanto questo popolo meriti di potersi esprimere, di poter essere riconosciuto e valorizzato nella sua cultura, nelle sue tradizioni, nella sua storia, nella sua fierezza. Ed in ogni sua sofferenza. La mia visita in Albania ha assunto il sapore di ancora inafferrabile, qualcosa da scoprire, con rispetto e delicatezza.

Il mio è un arriverderci, e dashur Mirdita!

                                                                                                   Francesca Del Prete

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