Il legalismo e la freschezza del Vangelo.
Il Vangelo di questa domenica si apre con una disputa innescata dai farisei e da alcuni scribi, gli esperti della legge, i cultori del sacro. Affrontano Gesù, salgono da Gerusalemme sulle rive del mare di Galilea, per Gesù luogo speciale di annuncio, terra aperta, laica, attraversata da genti diverse. Pongono a lui una questione: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?» Tutta la loro attenzione è presa da questo culto violato e non riescono a stupirsi del nuovo che avanza, della realtà salvifica che Gesù introduce. Eppure avevano sentito, ascoltato Gesù e probabilmente lo avevano visto guarire i malati che la folla portava anche sui lettini “e quanti lo toccavano guarivano” (Marco 6, 56). Non hanno stupore, sono chiusi nei loro schemi e non sanno gioire per la vita restituita. Hanno già le loro risposte e cercano solo conferme ad una religione ridotta ad una serie di norme e precetti da osservare, che diventano la misura del rapporto con Dio.
Gesù non annulla la legge di Israele, lo dirà con chiarezza: “Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti, ma a darle compimento” (Matteo 5, 17-18). Ma prende posizione contro ogni tentativo di ridurre Dio, le norme e la liturgia a idolo…Un rischio, questo, grande per Israele, ma anche per ognuno di noi. L’idolo si possiede, è “la parte che il soggetto decide di vivere come il tutto” (Silvano Petrosino). La religione, il religioso, diventa idolo se ci distoglie dal volto del fratello…”Legano pesanti fardelli sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito” (Matteo 23, 4-5). E’ invece vero che religione autentica è lo sguardo puntato sull’altro e ce lo ricorda S. Giacomo: “religione pura e senza macchia…. è visitare gli orfani e le vedove nelle sofferenze e non lasciarsi contaminare da questo mondo”.
Gesù inaugura con il suo Vangelo questo nuovo rapporto con le cose perché “non c’è nulla fuori dall’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro” (Marco 7, 15); rivolge uno sguardo carico di tenerezza e misericordia sul fratello, che sia pubblicano o prostituta o immigrato o carcerato… ; ci rivela il volto di un Dio che è Padre e Madre che va al di là delle apparenze e ci offre una vita in abbondanza: “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16).
Questo Vangelo, che invita a rispondere al Dio che ci ama e ci salva, siamo chiamati ad annunciare. E “se tale invito non risplende con forza e attrattiva, l’edificio morale della Chiesa corre il rischio di diventare un castello di carte, e questo è il nostro peggior pericolo. Poiché allora non sarà propriamente il Vangelo ciò che si annuncia, ma alcuni accenti dottrinali o morali che procedono da determinate opzioni ideologiche” (Evangelii Gaudium 39).
Viola Mancuso, pme
Il Vangelo di questa domenica si apre con una disputa innescata dai farisei e da alcuni scribi, gli esperti della legge, i cultori del sacro. Affrontano Gesù, salgono da Gerusalemme sulle rive del mare di Galilea, per Gesù luogo speciale di annuncio, terra aperta, laica, attraversata da genti diverse. Pongono a lui una questione: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?» Tutta la loro attenzione è presa da questo culto violato e non riescono a stupirsi del nuovo che avanza, della realtà salvifica che Gesù introduce. Eppure avevano sentito, ascoltato Gesù e probabilmente lo avevano visto guarire i malati che la folla portava anche sui lettini “e quanti lo toccavano guarivano” (Marco 6, 56). Non hanno stupore, sono chiusi nei loro schemi e non sanno gioire per la vita restituita. Hanno già le loro risposte e cercano solo conferme ad una religione ridotta ad una serie di norme e precetti da osservare, che diventano la misura del rapporto con Dio.
Gesù non annulla la legge di Israele, lo dirà con chiarezza: “Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti, ma a darle compimento” (Matteo 5, 17-18). Ma prende posizione contro ogni tentativo di ridurre Dio, le norme e la liturgia a idolo…Un rischio, questo, grande per Israele, ma anche per ognuno di noi. L’idolo si possiede, è “la parte che il soggetto decide di vivere come il tutto” (Silvano Petrosino). La religione, il religioso, diventa idolo se ci distoglie dal volto del fratello…”Legano pesanti fardelli sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito” (Matteo 23, 4-5). E’ invece vero che religione autentica è lo sguardo puntato sull’altro e ce lo ricorda S. Giacomo: “religione pura e senza macchia…. è visitare gli orfani e le vedove nelle sofferenze e non lasciarsi contaminare da questo mondo”.
Gesù inaugura con il suo Vangelo questo nuovo rapporto con le cose perché “non c’è nulla fuori dall’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro” (Marco 7, 15); rivolge uno sguardo carico di tenerezza e misericordia sul fratello, che sia pubblicano o prostituta o immigrato o carcerato… ; ci rivela il volto di un Dio che è Padre e Madre che va al di là delle apparenze e ci offre una vita in abbondanza: “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16).
Questo Vangelo, che invita a rispondere al Dio che ci ama e ci salva, siamo chiamati ad annunciare. E “se tale invito non risplende con forza e attrattiva, l’edificio morale della Chiesa corre il rischio di diventare un castello di carte, e questo è il nostro peggior pericolo. Poiché allora non sarà propriamente il Vangelo ciò che si annuncia, ma alcuni accenti dottrinali o morali che procedono da determinate opzioni ideologiche” (Evangelii Gaudium 39).
Viola Mancuso, pme
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