Tutti perdono qualcosa in questi tre racconti parabolici, e tutti i personaggi descritti sono dei veri perdenti.

Un pastore perde una pecora, una donna perde una moneta, un padre perde il figlio minore e perde anche l’altro maggiore dal quale è trattato come padrone e non come padre, il figlio minore perde i suoi averi perdendo così anche la sua dignità.

Ho pensato quanto l’esperienza del perdere sia profondamente umana e tocchi prima o poi tutti in un modo o l’altro. Possiamo perdere un oggetto a cui teniamo, possiamo perdere dei beni necessari, possiamo perdere anche la salute, il posto di lavoro, una relazione importante. Arriviamo spesso anche a perdere la fiducia in noi stessi e alla fine anche la fede in Dio. Ci sono perdite piccole e perdite grandi, perdite sopportabili e altre che ci segnano profondamente e ci sembrano insuperabili.

Ma l’esperienza di ritrovare qualcosa che si era perduto è una delle più forti e belle della vita. Non vorremmo mai perdere qualcosa o qualcuno, ma nel momento in cui lo ritroviamo la vita si illumina e diventa più bella.

È proprio questo quello che racconta il brano del Vangelo, che inizia con la descrizione di quello che Gesù faceva abitualmente e che dava sempre più fastidio ai suoi nemici, cioè l’incontro con coloro che erano considerati perduti davanti a Dio. Gesù va dai lontani e dagli allontanati, dai peccatori che nella mentalità dell’epoca erano considerati persi davanti a Dio. Gesù li va a cercare, sta con loro, li circonda con quel calore umano e divino che vuole comunicare loro che sono stati cercati e ritrovati da Dio stesso che li aveva persi. Tutto questo i farisei e gli scribi che si considerano fedelissimi di Dio, non lo capiscono. Non possono capire perché vedono i pubblicani e peccatori come un qualcosa che non appartiene a loro e alla loro comunità, quindi non sono una cosa perduta da andare a cercare.

Per Gesù invece è proprio l’opposto, lui vede negli uomini peccatori, nei poveri, nei piccoli, nei malati, qualcosa di suo che vuole ritrovare e gioire nel profondo per l’esperienza del ritrovamento.

Nell’ultima parabola, la scelta del figlio maggiore  che tratta il padre come padrone e suo fratello come un nemico estraneo, rimane in sospeso e interroga anche noi come persone credenti. Che scelta allora farà il figlio maggiore? Si riconoscerà anche lui perdente e vorrà sperimentare la gioia di ritrovare il padre e il fratello minore? Gesù non lo racconta e lascia volutamente la parabola in sospeso. Il Vangelo ci racconta che alla fine i farisei e gli scribi hanno fatto la scelta di perdere anche il Messia e i suoi insegnamenti mettendolo in croce, mentre noi siamo chiamati a fare una storia diversa e a scegliere invece la strada difficile ma molto più gioiosa di ritrovare coloro che erano perduti.

Dio nel Vangelo appare dunque come un perdente, cioè come uno che ha perso e vuole ritrovare. Dio non smette mai di cercare gli uomini e anche me, e non sarà mai stanco finché ogni uomo avrà ritrovato la strada del ritorno a Lui e al suo abbraccio paterno.

don Franco bartolino

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