L’essere umano è un essere ‘in potenza’: dal gembo materno fino all’ultimo giorno della sua esistenza tende alla crescita, allo sviluppo, alla maturità, alla pienezza. Come c’è una maturità umana e spirituale, così c’è la maturità nell’amore e nella sequella del Signore.
Gesù ci invita a valutare la maturità dell’amore che c’è in noi; ci invita a fermarci per capire su quale sicurezze manteniamo i nostri passi, quale orizzonte attrae il nostro sguardo:
“Chi non prende la sua croce e non mi segue...”
Ecco il punto: noi, rinati in Cristo Risorto (2ª Lettura), attingiamo la maturità del nostro essere e la dignità di discepoli solo se andiamo ‘dietro’ a Lui. Una chiamata che assume una posizione precisa e che porta alcune esigenze altrettanto precise: attenzione (equivalente a amore); occhi fissi ‘in Lui’ per non perderlo di vista, per andare dove Egli va, per fare quello que Egli fa, per amare come Egli ama. “Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me,
chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me...” Solo l’amore che ha attinto la maturità del donarsi nella libertà è capace di tagliare ‘il cordone ombelicale’ delle sicurezze familiari per assumere e abbracciare l’insicurezza della Croce, liberi nel fidarsi solo dell’obbedienza al Padre, come Gesù.
Solo l’amore libero e maturo è capace de accogliere i piccoli, i giusti e i profeti del Regno nella certezza che il Padre continua a sostenere il mondo proprio attraverso di essi: immagine viva della Sua Presenza.
Solo nell’amore libero e maturo, il discepolo fedele è capace di fidarsi della Parola, che non vien mai meno, intravedendo in essa quella fecondità di vita che va al di là di qualsiasi ricompensa umana, perchè è già proiettata verso il futuro di Dio che non tramonta mai.
suor Maria Aparecida Da Silva
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