Fin dalla creazione, Dio va spargendo il buon seme nel mondo. Alitando su una massa informe, dopo aver creato dal nulla l’universo, ha fatto di noi le sue creature predilette, sua immagine, nobilitando la nostra natura, dotandoci di intelligenza e di volontà.
Anche quando, a causa del peccato, abbiamo deturpato la nostra immagine ed infranto l’armonia che ci legava a Dio, Egli si è posto amorevolmente alla nostra ricerca, spargendo ancora il seme della sua parola nel nostro cuore, nel tentativo di riprendere con noi un dialogo e ristabilire l’alleanza.
Dissodare il terreno dello spirito per renderlo capace di accogliere il seme di Dio che feconda ogni umana esistenza, significa concretamente imparare a stimare i valori dell’anima, recuperare la vista e l’udito per accorgerci di Dio che passa, seminando i suoi splendidi doni nei solchi della nostra esistenza. Sembra contraddittorio, ma per rendere fecondo il terreno della nostra anima dobbiamo distogliere lo sguardo dalla terra e rivolgerci con intensità alle cose del cielo. E Gesù disse: “Ecco, il seminatore uscì a seminare”».
Quante volte abbiamo ascoltato o meditato questa parabola e ci siamo stupiti di questo seminatore un po’ avventato che sparge la semente ovunque, senza preoccuparsi del terreno su cui cade e senza calcolare la misura di ciò che deve seminare.
Chi è questo seminatore e che cosa è questo seme? Gesù stesso, nella spiegazione della parabola, dirà che il seme è la «parola del Regno» (13,19), lasciandoci intravedere nel gesto del seminatore l’agire stesso di Dio che in Lui rivela il mistero del Regno. Anzitutto poniamo l’attenzione sul seme. Gesù ama molto l’immagine del seme. Pensiamo alla parabola del seme che cresce da solo, del piccolo granellino di senape, del campo seminato a grano.
Per Gesù questa immagine, tratta dalla natura, ha la forza di rivelare il mistero del Regno nascosto nei solchi della storia e capace di portare a compimento il disegno di Dio sull’umanità. Ma Gesù usa questa immagine anche per narrare il mistero stesso della sua vita, quella vita che, passando attraverso la morte, diventa dono per il mondo.
Se crediamo in questa forza nascosta in essa, non possiamo non aprirci alla fiducia. La Parola di Dio può davvero fecondare la nostra vita, aprirla a cammini nuovi, riempirla di gioia. Anche se tutto avviene nascostamente, nella fiducia ci verrà data la gioia di raccogliere quei frutti che il Signore farà maturare in noi e attorno a noi.
C’è poi il seminatore. Siamo rimasti stupiti dal suo modo di seminare. Come abbiamo già notato, questo modo di lavorare non corrisponde alla nostra logica. Noi siamo abituati a calcolare tutto e a valutare in anticipo il rendimento di ciò che facciamo. Al posto di quel seminatore, avremmo scelto con la massima attenzione solo i terreni buoni e vi avremmo seminato quella quantità di semente corrispondente ai frutti desiderati. Quello che ai nostri occhi appare un comportamento superficiale, agli occhi di Dio diventa segno di gratuità. Così agisce Dio quando dona la sua Parola, quando semina il Regno nella nostra storia.
Quanta gente ascoltava Gesù! Quante folle! Anche oggi moltissimi ascoltano e meditano il Vangelo. Ma ciò che fa la differenza non è tanto il semplice ascolto, quanto l’impegno costante a vivere la Parola. Ecco perché Gesù prosegue con la parabola del seminatore. Infatti il problema non è se Dio parla o meno. Dio parla sempre. Ci parla attraverso le circostanze, le relazioni, le cose che ci succedono, le persone che abbiamo accanto. Ci parla nella liturgia, nelle pagine del Vangelo, nella parola della Chiesa. Ci parla con un dolore o una gioia, ma la cosa che dobbiamo domandarci è: che terreno è il nostro?
Distrazioni, facili entusiasmi, preoccupazioni sono il modo con cui spesso ascoltiamo ciò che Dio ci dice. È difficile poter portare frutto quando si è superficiali, quando le nostre preoccupazioni ci fanno concentrare solo sul faticoso presente.
Ma si può anche essere terreno buono, e questo accade quando si cerca di essere umili, attenti, realisti, quando si smette di fidarsi troppo delle proprie emozioni e ci si apre alla Grazia che opera meraviglie al di là di ogni aspettativa umana. Quando questo cambiamento avviene, si verifica che: “Diede frutto, dove il cento, dove il sessanta, dove il trenta. Chi ha orecchi intenda”.
sr Annafranca Romano
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