La Liturgia di questa XXXII Domenica ci mette in contatto con due vedove povere: quella di Sarepta al tempo di Elia (1 Re 17, 10-16), e quella del Vangelo, al tempo di Gesù (Mc 12, 38-44)... Ambedue, figlie di una società che non  cambia! I poveri, e tra loro le vedove, continuano ad essere oggetto di spoliazione e di abbandono... lasciate sole a se stesse, avendo a che fare con la povertà per loro e per i loro figli... aspettando solo la fine : «Quella rispose: «Per la vita del Signore, tuo Dio, non ho nulla di cotto, ma solo un pugno di farina nella giara e un po' d'olio nell'orcio; ora raccolgo due pezzi di legna, dopo andrò a prepararla per me e per mio figlio: la mangeremo e poi moriremo».

Fortunatamente non così agli occhi di Dio! Ecco che questa vedova, abbandonata a se stessa con il suo bambino, è preziosa agli occhi di Dio, facendo di lei la testimone della Sua provvidenza e protezione. La sua miseria non ha cancellato in lei la capacità di accogliere, di ascoltare la necessità di un altro, anche lui obbediente a una Parola più forte di lui: «Quella andò e fece come aveva detto Elia; poi mangiarono lei, lui e la casa di lei per diversi giorni. La farina della giara non venne meno e l'orcio dell'olio non diminuì, secondo la parola che il Signore aveva pronunciato per mezzo di Elia».  

Non è differente quello che ci presenta il Vangelo di Marco, il quale evidenza con tanta maggiore chiarezza l’ipocrisia dei grandi, anche di coloro che “si servono” della religione, del culto... per arricchirsi o sentirsi “a posto”. La loro apparente grandezza si abbassa dinanzi a questa vedova che potrebbe passare inosservata se non fosse per gli occhi giusti di Gesù. È Lui che fa vedere la differenza tra i primi e questa vedova, che serve il Signore con una fedeltà incomparabile, con una fiducia incommensurabile:

«Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere». E perché lo fa? Certamente perché ha saputo riconoscere nel Tempio, il Signore del Tempio, e nel tempo della sua povera esistenza, la provvidenza di Dio che non l’ha abbandonata nella sua povertà; anzi l’ha innalzata a punto di essere anche essa, ricordata di generazione in generazione, dovunque si legga questa pagina del vangelo.

Queste due donne, lasciate a margine della loro società, hanno lasciato nella Scrittura e nella storia il loro nome: “generosità”.  Sì, perché più che un nome, magari comune a tanti altri, queste due donne parlano a tutti attraverso la loro apertura di cuori  e generosità, attegiamento comune della loro vita. Questa è la grazia che riceve chi sa vivere la povertà come beatitudine, felice di dare anche quello che non ha... oppure l’unica cosa che pensa avere. In mezzo a loro due sta Gesù, il Sacerdote eterno (Eb 9, 24-28), «entrato nel santuario non costruito da mano di uomini. Entrato una volta sola, nella pienezza dei tempi, egli è apparso per annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso». In un certo modo, quelle due vedove annunciano con la loro vita quello che Gesù farà per la vita di tutti, donando tutto se stesso!

Quante persone famose hanno oppresso generazioni con la loro inadeguata grandezza e sono scomparsi nel tempo, invece queste povere vedove sono messe come modello da imitare. Purtroppo anche oggi, tante altre vedove e poveri soffrono e hanno visto peggiorare la loro miseria a causa della pandemia! Saremo noi i profeti a andare loro incontro, a far venire fuori la loro immensa ricchezza interiore e ad essere per loro segni della Provvidenza di Dio?

Saremo noi oggi gli occhi attenti di Gesù, a innalzare queste vedove e questi poveri alla dignità di persone amate da Dio, degne di vita piena, testimone del Dio vivo e vero?

                                                                                                           suor Maria Aparecida Da Silva

 

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