Gesù, dopo aver sostenuto la tentazione nel deserto, come un nuovo Mosè sale sul monte e annuncia la sua Torah, questa volta non più incisa sulla di pietra ma nel cuore dell'uomo.

            «Vedendo le folle, Gesù salì sulla montagna». Gesù si accorge del dolore, delle lacrime, delle ingiustizie, delle potenzialità, dei limiti, delle situazioni concrete di chi lo segue. Le beatitudini sono rivolte non solo ai suoi discepoli, ma a tutti i credenti e sono il cuore del Vangelo perché evocano fatiche, lacrime e speranze. Nel suo elenco ci sono tutti gli uomini: i poveri, chi piange, gli incompresi e quelli dal cuore puro, gli unici in grado di vedere Dio. 

            Mosè era salito sul monte Sinai e aveva le Dieci Parole, in pratica cosa bisognava fare e cosa non bisognava fare; Gesù, invece, sale sul monte e dona le beatitudini, in pratica come bisogna essere e a cosa siamo destinati, e siede come un Maestro secondo l'uso del popolo di Israele.

            A una prima lettura sembra elogiare la sfortuna perché Gesù definisce beati, cioè felici, chi è povero, chi piange, eppure sappiamo che chi vive nella povertà o nel pianto, chi è perseguitato non è per nulla felice e sembra esaltare il dolore, la sofferenza, la sopportazione, ma non è così, infatti Dio non ama il dolore né ci invita alla rassegnazione.

            Quando Gesù parla di felicità, ne parla al futuro perché è verso il futuro che dobbiamo guardare per essere felici. Siamo sinceri: per noi felici sono quelli che vestono bene, con la casa in montagna, con un posto di lavoro di prestigio, amici influenti. Eppure Gesù non sembra essere dello stesso parere: felici sono i poveri in spirito, gli afflitti, gli affamati di giustizia, i perseguitati.  

            La felicità è una parola ebraica “ascer” che vuol dire "avanzare"; essa non è la meta ma la strada che mi porta alla meta. Essere felici, insomma, non è solo "stare bene" ma vivere tutto ciò che c'è da vivere e non ci sarà nessun paradiso per chi non sa vivere l’oggi nonostante tutto.

            Le beatitudini non sono dei comandi ma bensì delle proposte e non sono una soluzione ai nostri problemi, sono un cammino. Esse non sono solo un ritratto del discepolo ideale, ma prima di tutto sono un ritratto di Gesù! Lui è il povero in spirito, l'afflitto, l'affamato, il mite, il perseguitato, il misericordioso, il puro di cuore e l'operatore di pace.

            Le beatitudini sono un invito a guardare le cose da una prospettiva diversa e accorgerci che le cose non sono solo come sembrano; è questione di cambiare punto di vista sul mondo. Prendere sul serio le beatitudini non significa imparare una nuova regola morale, ma guardare con occhi diversi la nuda e cruda realtà che stiamo vivendo: è il tentativo di guardare dentro le cose e guardarle con gli occhi di Dio. Se accogliamo le beatitudini, la loro logica cambia il nostro cuore perché solo così possiamo cambiare questo vecchio, stanco mondo.

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