Dopo una fugace escursione sul monte Tabor, abbagliati dalla bellezza di Cristo e dalla forza penetrante della sua Parola, in questa terza domenica di Quaresima veniamo ricondotti nuovamente nel deserto. L’esperienza di Israele che, durante l’esodo verso la terra promessa, soffre una terribile arsura, anticipa e prefigura quella del Signore Gesù, assetato e «affaticato per il viaggio» nella sua ricerca dell’uomo in esilio da se stesso.In questa domenica siamo messi a confronto con la «sete», quel bisogno fondamentale di cui tutti facciamo quotidiana esperienza, che può addirittura spingerci a tirare fuori il peggio di noi stessi, quando non è adeguatamente soddisfatto.
La donna che incontra il Signore Gesù al bordo del pozzo di Giacobbe sembra rassegnata alla necessità di dover ogni giorno tornare a ripetere gli stessi gesti, senza sentirsi mai del tutto appagata. Di fronte alla richiesta d’acqua di questo sconosciuto appena incontrato, la donna non si ritrae, ma entra in dialogo. Spesso non riusciamo a scorgere dietro alle domande e alle provocazioni, che ci interpellano ogni giorno, la forma ordinaria con cui Dio, dentro la realtà, verifica la nostra disponibilità ad aprirci a una speranza più grande.
Quella speranza che secondo l’apostolo «non delude» perché non si fonda più soltanto sul bisogno, ma anche sul desiderio della promessa di Dio: «Dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua». Dopo aver innescato un desiderio di vita e riacceso la speranza di poterlo anche esprimere, Gesù conduce gradualmente questa donna a manifestare serenamente tutta la verità di se stessa: «Va’ a chiamare tuo marito e ritorna qui».
Prendendola quasi per mano, il Signore aiuta la donna, con estrema delicatezza, a riconoscere di non essere ancora riuscita ad estinguere la sete più profonda presente nel suo cuore.
Solo l’ammissione di questa fragilità permette alla samaritana di incontrare finalmente nella carne del Verbo tutto «l’amore di Dio riversato» nel cuore della nostra esperienza umana, fino a riconoscere in lui «un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto». Questo, però, viene percepito senza alcuna forzatura, anzi come l’esperienza di poter ricevere ancora un inatteso regalo di pace.
Il dialogo tra Gesù e questa donna è così profondo da essere in grado di rimettere in circolo tutta la speranza già versata anche nei nostri cuori mediante lo Spirito, fin dal giorno del nostro battesimo. La monotonia del nostro quotidiano, nel quale cerchiamo di estinguere la nostra sete, è continuamente spezzata dalla Parola del Signore, capace di farci tornare alla nostra sorgente interiore, all’unico prezzo di essere disposti a riconoscere la verità di noi stessi.
Il primo passo verso questo desiderabile incontro lo compie sempre il Signore, che ci consente di confessare la nostra fragilità solo dopo aver dichiarato la verità del suo desiderio d’amore per noi. Ne siamo sicuri perché «mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi», non per sentito dire, ma «perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo».
sr Annafranca Romano
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