Ci sono tante “sere” nella vita, tanti momenti in cui tutto sembra finire, soprattutto la speranza: e sono i momenti nei quali una novità che arriva dirompente non lascia certo il tempo che trova perchè ti scuote, ti rivoluziona, ti fa ribollire dentro, magari ti fa anche star male, ma è sempre qualcosa di profondamente decisivo.
È qualcosa che ti fa perdere la paura, che ti fa correre nel buio della notte, come accadde a quei due che da Gerusalemme stavano tornando al loro villaggio di Emmaus, privi di speranza, immersi in una sera nella quale l'unica novità poteva essere rappresentata da un pellegrino sconosciuto che camminava con loro parlando di ciò che era accaduto a Gesù nei giorni precedenti. E poi, l'intuizione di chiedere a quello sconosciuto “Resta con noi, perché è sera” e accorgersi che in quella sera della vita i loro occhi si riaprono alla speranza.
Capitò così anche la sera di Pentecoste, il giorno in cui i giudei osservanti celebravano la festa delle sette settimane, cioè il tempo trascorso dalla notte dell'Esodo al giorno in cui Mosè ricevette le Tavole della Legge sul Sinai; lo stesso tempo in cui, a primavera inoltrata, si iniziavano a raccogliere i primi frutti della terra. I Dodici, riuniti in un luogo a porte chiuse - chiuse come il loro cuore alla speranza - stanno per assistere alla conclusione dell'ennesimo giorno di festa trascorso come un giorno qualsiasi, senza alcuna voglia di festeggiare né la Legge di Mosè che il Maestro aveva insegnato loro a superare, né di gioire per i frutti di una terra che ora non avevano più, perché per seguire Lui avevano lasciato tutto in case, campi, terreni e familiari.
E così, mentre il giorno stava per finire, all'improvviso dal cielo arriva qualcosa che nessuno aspettava più, qualcosa che non rientrava nelle loro attese, qualcosa che sconvolge il loro torpore, qualcosa che illumina a giorno anche la sera più buia, qualcosa che non può lasciare indifferenti, qualcosa che sconvolge talmente le loro vite da prendere possesso addirittura della loro bocca e della loro voce permettendo loro di parlare in lingue diverse e totalmente sconosciute a chi, a mala pena sapeva solo l'aramaico materno.
Adesso, invece, si parla greco, latino, arabo perché è arrivato Qualcuno che non riesce a lasciare indifferenti, e quando arriva ti sconvolge l'esistenza, senza neppure lasciarti il tempo di ragionare perché la sua forza ti trascina per strada ad annunziare le grandi opere di Dio; e ciò che più sconvolge, è il fatto che arriva mentre il giorno di Pentecoste stava per finire. Sembra proprio che per Dio, e per il dono del suo Spirito, non è mai troppo tardi.
don Franco Bartolino
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