In queste due parole potremmo cogliere il cuore della Parola che la liturgia di questa domenica ci offre, parole che potrebbero segnare una luminosa traiettoria per la vita. Il vangelo di questa domenica risponde alla domanda fatta a Gesù dai discepoli nel capitolo precedente: “Dicci, quando accadranno queste cose, e quale sarà il segno della tua venuta e della fine del mondo?».
Gesù, da buon conoscitore del cuore umano, sa quanto sia facile lasciarsi suggestionare da illusorie promesse o false aspettative. “Dì a noi quando?” incalzano i discepoli. Gesù vuole smascherare la paura sapendo che questa è la madre di ogni inganno e lo fa prendendoci per mano in un cammino di verità e di consapevolezza.
Ciò che ci attende non sarà una catastrofe apocalittica, ma ciò che di più bello il cuore di ogni uomo e donna possono desiderare: l’incontro nuziale. Vivere la comunione con il Signore che ci ha amati e che continuamente ci cerca.
La parabola odierna delle dieci vergini evidenzia l’intensità e l’intimità che abitano il cuore umano. Permettiamoci ancora uno sguardo al capitolo precedente perché ci suggerisce qualcosa di molto importante per la comprensione del vangelo odierno: la paura e l’ansia sul quando sarà la fine del mondo allontanano il cuore dell’uomo da ciò che in verità è il disegno di Dio, la Sua volontà di amore e di bene che in ogni nostro oggi si compie.
Il discorso sulla fine del mondo viene ribaltato perché una sola cosa è importante: vivere il presente con vigilanza e responsabilità. E’ la vigilanza che allena il nostro cuore, la nostra volontà e tutte le nostre scelte a vivere il quotidiano come tempo di grazia, non per correre affannosamente dietro a mille cose, ma per incontrare il Signore e vivere la Sua Parola.
Questo riempie di senso e di felice orientamento la vita e ci offre la prospettiva esatta per leggere la parabola: le dieci vergini uscirono per l’incontro con lo sposo. A pensarci bene tutta la nostra vita è un uscire: dal grembo della madre, dalla sicurezza del conosciuto e del sempre fatto per incontrare il nuovo. La luce della fede ci offre questa “roccia” a cui ancorare ogni nostro “oggi”; proprio attraverso i tornanti del nostro quotidiano, possiamo prendere il largo della fiducia e della speranza perché la vita di ciascuno non è preda del nulla e di un cieco destino, ma è un andare incontro a Colui che ha detto: “Io sono la luce del mondo”.
Illuminati da questa luce scopriremo i desideri che abitano il nostro cuore e per i quali viviamo ogni momento. Con il Signore, la nostra vita si accende di quella luce che il mondo non può darci, e si accende grazie a quell’olio che si accumula “per contatto” con Lui.
Il vangelo odierno non vuole incoraggiare l’egoismo o il pensare solo a se stessi utilizzando la metafora delle ragazze sagge che non vogliono condividere il proprio olio con le altre, ma non si può pretendere dall’altro ciò che l’altro non può dare.
C’è un “proprium” che è quella risposta personale di ciascuno al dono di Dio, un dono che ognuno è libero di accogliere o rifiutare. Ricordiamo il vangelo dell’invito alle nozze di qualche domenica fa. Tra i molti invitati, uno è stato sorpreso senza l’abito nuziale, che in quel tempo veniva donato da chi organizzava la festa. Se qualcuno non aveva l’abito voleva dire che con libertà e personale decisione lo aveva rifiutato. La libertà di ogni uomo e donna è quello che ferma Dio. Ogni dono è grazia e responsabilità.
sr Annafranca Romano
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