Una domanda sorge spontanea: qual è il criterio di Dio nei confronti delle nostre suppliche? Perché alcune vengono ascoltate e altre no? In realtà, la vera domanda è un'altra: che cos'è la preghiera? Anche noi, come i discepoli quel giorno, forse un po' “invidiosi” di quel Maestro che passava diverse ore in preghiera, vorremmo chiedere a Gesù: “Signore, insegnaci a pregare”. Quello che emerge dalle letture di oggi, forse, è che la preghiera non è questione di molte parole rivolte a Dio, o di richieste insistenti che portino Dio a cedere ai nostri desideri. La preghiera, invece, pare essere una questione di fiducia reciproca tra Dio e l'uomo, e quindi di intesa tra i due, di dialogo.

            In un contesto di fiducia reciproca tra noi e gli altri, sappiamo bene che possiamo chiedere loro ciò di cui abbiamo bisogno, perché siamo certi che “se chiederemo un pesce non ci verrà data una serpe, o se chiederemo un uovo non ci verrà dato uno scorpione”. Se tra noi e Dio esiste un rapporto di profonda e reciproca fiducia, sappiamo bene che ciò che a lui chiederemo nella preghiera, non ci verrà negato. Prima ancora che di fede, quindi, è una questione di fiducia.

            A Gesù, però, non basta insegnare questo ai discepoli attraverso delle parole o delle formule, egli vuole anzitutto dimostrarci che questa fiducia reciproca tra Dio e l'uomo è possibile: ed è possibile perché, per la prima volta nella Storia della Salvezza, ci è concesso di instaurare con Dio un rapporto di figliolanza. Da Gesù in poi, il rapporto di fiducia tra Dio e l'uomo è possibile perché Dio è Padre e un padre che si dica degno di questo nome non abbandona mai i suoi figli.

            È sulla scorta di questo nostro essere figli che “potremo chiedere e ci verrà dato, cercheremo e troveremo, busseremo e ci verrà aperto”. È con questa certezza che Gesù ci invita a rivolgerci a Dio chiamandolo “Padre”. E non più Padre Nostro, come nella formulazione più conosciuta e più pregata, quella del Vangelo di Matteo, bensì, stando al Vangelo di Luca di oggi, semplicemente Padre, per evitare che Dio diventi una nostra esclusiva: perché essere figli di Dio non sia una nostra prerogativa, perché Dio possa essere padre di ogni uomo.

            Un padre che rimprovera ed esorta, che colpisce e accarezza, che a volte ci tratta un po' bruscamente ma che in realtà è orgoglioso di noi, e se a volte ci provoca è perché ci vuole bene davvero. Lui ci permette di chiamarlo Padre, ma ci chiede di non considerarlo “nostro”, bensì di tutti, e di fare in modo che tutti lo sappiano, che tutti gli uomini sappiano che il suo nome è quello, “Padre”, e che da tutti “il suo nome possa essere santificato”.

            Ora viene il momento di chiedergli qualsiasi cosa, perché lui è Padre, e provvede a tutto ciò di cui abbiamo veramente bisogno: del “pane quotidiano”, di un lavoro degno di essere chiamato tale, di un calore umano che spesso non abbiamo, di una vita che sia piena e felice, di poter camminare sicuri sulle strade della nostra esistenza quotidiana, senza essere “abbandonati alla tentazione” di poter fare a meno di lui. E tutto questo, in maniera totalmente gratuita. In realtà, un piccolo impegno ci è chiesto, perché questa fiducia reciproca non venga mai meno: che sappiamo “perdonare chi ci fa del male, così come Dio perdona i nostri peccati”.

            Ci sembra eccessivo dover perdonare, accettando le scuse degli altri? Tranquilli: nessun perdono che possiamo offrire agli altri, anche il più impegnativo, sarà mai più grande del suo, che giunge a perdonare e addirittura ad amare i propri nemici.

            A noi può sembrare molto, doverci sforzare a perdonare gli altri così come Dio fa con noi: ma il dono che riceviamo in cambio, quello cioè di poter chiamare Dio con il nome di Padre e ottenere da lui ciò di cui abbiamo bisogno, sarà sempre, infinitamente molto di più.

 

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