“Signore, sono pochi quelli che si salvano?”. Stando alla domanda di quel tale a Gesù mentre è in cammino verso Gerusalemme, il tema del brano di Vangelo di questa domenica sembra proprio essere questo: chi si salva? O meglio: che cosa bisogna fare per ottenere la salvezza? Forse prima bisognerebbe cercare di capire cosa si intende per “salvezza”. A me personalmente piace molto l'etimologia latina del termine “salvezza”, ovvero “salus”, “sentirsi bene”. Se stare con Dio che è il Bene Supremo mi fa stare bene, in Lui io trovo la mia salvezza. Ma se con Dio ci sto male, non posso dirmi salvato, anche se da cristiano vivo una vita moralmente ineccepibile. Spesso, più che la nostra serenità, sembra preoccuparci di più “chi si salva e chi no”, come si comportano gli altri e cosa fanno di buono per ottenere la salvezza: proprio come quel tale che chiede a Gesù se saranno molti o pochi quelli che si salvano. La risposta di Gesù è molto bella, anche se un po' enigmatica: “Sforzatevi di entrare per la porta stretta”. Il suo non è un invito a una vita di fede fatta di rinunce: se ci sono anche quelli, ben venga, purché questo renda il mio rapporto con Dio basato sul desiderio di stare bene con lui. E trovare il modo di stare bene con Dio non è una cosa semplice: richiede fatica, come accade ogni volta che andiamo alla ricerca di qualcosa che vale perché è prezioso, e proprio perché è prezioso vale la pena sforzarsi di trovare quel tesoro.
Quante volte, invece, ci accontentiamo di quelle due o tre cosettine semplici, da cristiani “di nome e di appartenenza” più che da veri credenti! Quanto spesso facciamo coincidere la nostra salvezza con l'osservanza minima di alcuni precetti che magari siamo subito pronti a spiattellare in faccia ai fratelli e a Dio per dire “io sono cristiano” e magari, avanzando anche delle pretese, nei confronti di Dio. La piccola parabola raccontata oggi da Gesù ci spiega molto bene questo atteggiamento. Un gruppo di “esclusi” dal Regno di Dio si mette a protestare nei suoi confronti, chiedendo che venga loro aperta “la porta stretta”. E di fronte a una negazione del padrone di casa, che si rifiuta di riconoscerli come suoi amici, ecco la loro pretesa di salvezza avanzata attraverso una serie di meriti che a detta loro, li rende sufficientemente accreditati per ottenere l'ingresso al banchetto del Regno: “Ma come fai a dirci di non conoscerci? Abbiamo mangiato e bevuto con te, e tu hai insegnato nelle nostre piazze!”.
Quanta attualità, in questo avanzamento di pretese nei confronti di Dio! Quanti cristiani - o presunti tali - sentiamo oggi ragionare di fronte a Dio con parole simili: “Signore, aprici! Siamo noi! Siamo quelli che partecipano ogni giorno all'Eucaristia e che manifestano la loro identità cristiana! Noi ti portiamo nelle nostre piazze, noi appendiamo i crocifissi nelle nostre aule: non puoi lasciarci fuori! Siamo i tuoi fedelissimi, quelli che non ti hanno abbandonato mai! Perché vuoi lasciarci fuori?”
La risposta di Dio è senza mezzi termini: “Allontanatevi da me, perché siete operatori di ingiustizia! Allontanatevi da me, perché le vostre opere appaiono come buone, ma il vostro cuore è lontano da me. Allontanatevi da me, perché il vostro concetto di giustizia è avanzare pretese nei miei confronti, è farmi fare ciò che voi volete fare, è farmi dire ciò che voi volete dire! Voi vedrete entrare al banchetto del Regno coloro che hanno messo me al centro della loro vita pur senza conoscermi e hanno vissuto secondo il mio cuore e secondo la mia giustizia! E voi, convinti di essere i primi, sarete ultimi e ne resterete esclusi. Perché avete basato la vostra salvezza sull'osservanza dei precetti, più che sulla gioia di stare con me”. Dio, un giorno, ci chiederà solamente se siamo stati felici di stare con lui, e se abbiamo reso felici anche i nostri fratelli di far parte della famiglia dei figli di Dio. Perché Dio - e lo ripeterò fino alla noia - non ci vuole cristiani perfetti: lui ci vuole felici di stare bene con lui perché la nostra salvezza sta tutta quanta lì.
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