Nel Vangelo di oggi, Gesù fa la figura del “sorvegliato speciale”, ovvero di quella persona che, avendo problemi con la giustizia, è tenuta sotto stretta osservanza da parte delle forze dell'ordine o delle autorità giudiziarie perché passibile, in ogni momento, di un arresto in flagranza di reato. Si trova, infatti, a un banchetto in casa di farisei, i quali cominciano a osservarlo per cercare di coglierlo in fallo in qualche suo atteggiamento contrario alla Legge di Mosè, magari riguardo ai riti di purificazione da compiere prima del pranzo, oppure alle parole che avrebbe pronunciato.

            Anche Gesù, ad ogni modo, non se ne sta con le mani in mano: pure lui “osserva”, e nota la corsa ai primi posti da parte degli invitati. Questa “corsa” non era certo legata al desiderio di stare a lato di Gesù per meglio ascoltare la sua parola, quanto di poter avere un posto di riguardo che fosse occasione di affermazione della propria importanza sociale. Del resto, stiamo parlando di farisei, ovvero di gente che già dal significato del loro nome erano abituati a sentirsi un gradino sopra tutti. Osservando questo atteggiamento, Gesù presenta loro due piccole parabole: la prima - rivolta a tutti gli invitati - relativa alla partecipazione ai banchetti, mentre la seconda è rivolta solo a colui che lo aveva invitato e riguarda l'organizzazione di un banchetto.

            Quando allo stesso banchetto partecipano contemporaneamente più “farisei”, a chi spetta il posto di maggior riguardo? Il buon senso - così come un minimo di galateo - ci porterebbe a condividere l'affermazione di Gesù: è meglio sedersi in un posto qualsiasi per evitare di dover retrocedere magari con un certo imbarazzo di fronte ai commensali. Gesù, però, aggiunge una massima finale che richiama il versetto finale del vangelo di domenica scorsa, quello dell'inversione tra primi e ultimi nel Regno di Dio: “Chi si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato”.

            Gesù torna a mettere in guardia i credenti di ogni tempo da qualsiasi atteggiamento volto a strumentalizzare la vita di fede per trasformarlo in un desiderio di potere sugli altri; della serie: vado in chiesa per fare in modo che tutti pensino di me che sono una brava persona e profondamente religiosa. Eppure, il modo per “rimettere a posto” le cose esiste, ed è ciò che la seconda parabola ci vuole insegnare. Vuoi evitare, in occasione di un banchetto, di creare situazioni di disuguaglianza di alcuni verso altri? Quando sei tu a prepararlo, invece di invitare gente abituata a fare confronti con gli altri, invita coloro che non avranno mai la possibilità di fare altrettanto con te, infatti il tuo gesto di cortesia diventa talmente nobile da trasformarsi in un gesto di solidarietà nei confronti di colui che sai già per certo che non potrà mai ricambiarti perché la vita glielo impedisce, allora ciò che ne riceverai in contraccambio non sarà l'onore dei potenti ma sarà “la ricompensa alla risurrezione dei giusti”.

            “Poveri, storpi, zoppi e ciechi” secondo la mentalità “messianica”, erano le quattro categorie escluse dal combattimento finale per la conquista del Regno di Dio: non avevano soldi per comprare armi che nemmeno erano in grado di imbracciare perché storpi; non potevano correre incontro al nemico, perché zoppi e ciechi, e quindi non avrebbero mai potuto partecipare al banchetto di festa per la vittoria.  Pensiamoci, ogni volta che la nostra società - anche quella che a parole si dice cristiana, purtroppo - vorrebbe eliminare dagli incroci delle strade, dai semafori, dalle piazze o dai portoni delle chiese questi emarginati perché “danno fastidio” e sono “brutti da vedere”: perché nella società di Dio sono proprio loro a portarci via i primi posti al banchetto del Regno. E se almeno nella Chiesa non cambiamo mentalità, ed evitiamo almeno noi di fare distinzioni basate sul potere, rischiamo che quella famosa “porta stretta” che ci introduce al Regno di Dio si farà sempre più stretta, fino a che ci verrà chiusa in faccia per sempre.

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