La festa dell'Esaltazione della Santa Croce - che quest'anno prevale sulla domenica del Tempo Ordinario, invita noi cristiani a “esaltare” la croce. Finché si tratta di esaltare la forza salvifica della Croce di Cristo, nessuno di noi abbia nulla da ridire; ma se è vero che celebrare il mistero di Cristo significa esaltare e celebrare le croci della nostra vita di ogni giorno a me personalmente qualche problema lo crea. Chi di noi, in tutta onestà, se la sente di “esaltare” la propria croce quotidiana? Chi si sente in grado di esaltare una vita fatta più di problemi che di soddisfazioni? Come si possono esaltare le preoccupazioni che ci vengono dalla vita di ogni giorno? Per di più, “esaltare la croce” sembra un controsenso, in una società come la nostra che tende ad eliminare i crocifissi dalla propria vista. Facciamo delle battaglie ideologiche per eliminare i crocifissi dalle aule e dai luoghi pubblici, sostenendo che vogliamo rispettare le sensibilità e i “Credo” religiosi di tutti, e al tempo stesso non ci preoccupiamo affatto di rispettare, di non offendere le migliaia di crocifissi viventi, i milioni di persone che nel mondo sono perennemente attaccati alla croce, spesso senza nessuna prospettiva di salvezza!

            Chi mai, oggi, venera ed esalta i tanti crocifissi della storia? Affamati, senza tetto, barboni, migranti, esiliati, vittime innocenti della guerra e del razzismo, donne sfruttate, violentate e uccise, bambini privati di ogni diritto e incentivati a delinquere, malati terminali e quante volte i nostri comportamenti tendono più a eliminarli dalla nostra vista che a esaltarli, a rispettarli, a venerarli come la presenza storica di Cristo in croce? Ci dà fastidio fermarci e guardarli negli occhi: vogliamo eliminarli e addirittura ci rivolgiamo a Dio perché ce ne liberi, non senza aver prima dato a Dio la colpa di tutto questo, come il popolo d'Israele uscito dall'Egitto: “Perché ci avete fatto salire dall'Egitto per farci morire in questo deserto?”. Come a dire: perché ci obblighi a fare i conti ogni giorno con la croce, quando staremmo molto meglio rinchiusi nel nostro “Egitto” fatto di sicurezze? Siccome poi Dio non è che ci risponda sempre benevolmente, anzi, rincara la dose con l'invio di serpenti che bruciano sul vivo le nostre ferite, allora non ci resta che supplicarlo perché allontani da noi questi serpenti.

            E la risposta di Dio alla nostra supplica è sconcertante: ci salveremo solo se avremo il coraggio di guardare in faccia alla croce. Gli israeliti nel deserto riuscivano a salvarsi se, morsi dai serpenti, guardavano l'asta con il serpente di bronzo innalzata da Mosè; “figura” dell'albero della Croce su cui, nel deserto del Golgota, verrà innalzato e guardato il “Figlio dell'Uomo, perché chi crede in lui abbia la vita eterna”. C'è un solo modo per salvarci dalla croce quotidiana della sofferenza e della morte: ed è quello di guardare in faccia alla croce. A noi, oggi, è dato di salvarci dalla sofferenza e dalla morte se siamo capaci di guardare in faccia, negli occhi, non con disperata rassegnazione, ma con la speranza che viene dalla fede. Quella speranza che ci è trasmessa dagli occhi vivi e spalancati di quegli antichi e meravigliosi crocifissi; quella speranza che viene dalla consapevolezza che Dio non ha eliminato la morte dalla nostra vita, ma ha deciso liberamente di assumerla su di sé, di accompagnarci nel momento della solitudine e del dolore, e di farci sentire che quella croce non siamo più da soli a portarla. Questo è il senso della “esaltazione” della croce.

            Dio è consapevole delle croci dell'uomo, non perché sia lui a mandarcele, ma perché lui stesso, nella persona di suo Figlio Gesù, le ha provate sulla sua pelle, ed è proprio questa condivisione con l'uomo e con le sue croci quotidiane che rappresentano speranza e fonte di vita nuova perché da Cristo in poi, da quel tragico venerdì sul Golgota, l'uomo non è più da solo: Dio è con lui, lo accompagna, lo aiuta, lo conforta, lo salva e oggi, addirittura, lo esalta.

                                                                                                                                                       don Franco Bartolino

 

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