Come mai oggi Gesù ci racconta una parabola nella quale sembra non lasciare scampo a chi è ricco? Cos'ha fatto questo ricco per finire nel mondo delle tenebre? Era una buona forchetta e amava vestirsi bene, d'accordo: ma è forse un male, tutto questo? Sta forse approfittando di ricchezze altrui. Se sono soldi suoi, faccia pure quello che vuole: male non pare averne fatto a nessuno tantomeno al povero Lazzaro che stava seduto fuori da casa sua. Eppure, qualcuno che subisce un torto c'è, e ha un nome: Lazzaro, il povero. E il torto lo subisce non direttamente dal ricco, ma da lei: dalla ricchezza che, pur non facendo del ricco una persona malvagia, di per se stessa è disonesta, ovvero non ha in sé alcuna sicurezza da offrire. Soprattutto quando arriva ad accecare chi la possiede, come il ricco della parabola di oggi, uno che grazie alla ricchezza ha tutto: denaro, vestiti preziosi e cibi gustosi, tutto! Ha pure un povero, fuori dalla sua porta: un povero che sembra quasi una sua proprietà.
Ma il povero ha qualcosa che il ricco non ha: un nome. Ovvero, un'identità, una dignità, una percezione precisa di chi egli è nella vita. Il ricco ha tutto ma non ha un nome, ovvero è nessuno. Il povero, invece, non ha nulla, ma è qualcuno, è Lazzaro, che paradossalmente significa “Dio è il mio aiuto”. Ma come può avvenire che Dio corra in aiuto di una persona che la vita ha maledetto? Per fortuna che il ricco non si accorge di averlo fuori dalla porta e infatti, il ricco non lo vede, perché accecato dalle sue ricchezze. Dio però ci vede bene e ascolta pure bene, soprattutto il grido del povero. Ci pensa lui a togliere Lazzaro dalla vista del ricco, per farlo portare dagli angeli accanto ad Abramo. Così il ricco potrà continuare a banchettare senza vedere scene raccapriccianti fuori dalla porta della sua casa.
Eppure, un giorno muore anche il ricco: con tutti i suoi beni e nessuno viene a prenderlo per portarlo in cielo: di lui si sa solo che fu sepolto, una bella pietra sopra ed è tutto finito. Magari fosse tutto finito! Anche lui va in un altro mondo, solo che là non lo aspettano i suoi beni, ma solo tenebre e tormenti e finalmente gli si aprono gli occhi e ci vede bene perché vede di lontano Abramo e Lazzaro accanto a lui. E inizia a fare ciò che nella vita non ha mai fatto: grida di dolore. E osa dire ciò che non ha mai detto: chiamare Abramo “Padre”, e soprattutto chiamare Lazzaro per nome. Quindi vuol dire che lo conosceva bene, quando era vivo! Sapeva chi era nella vita terrena! Il ricco non era cieco: ci vedeva bene, ma non voleva vedere Lazzaro perché gli dava fastidio! Sapeva chi era, perché abitava fuori dalla sua porta e per lui non ha fatto nulla! Si è proprio dimenticato. Ma Dio no, non dimentica: e Abramo invita il ricco quantomeno a “ricordarsi” come stavano le cose nella vita e a prendere coscienza che adesso tutto si è ribaltato. Per di più, il giudizio di Dio è inappellabile e cercare di ricorrere alla sua misericordia per avere anche solo una goccia d'acqua è come voler percorrere un “grande abisso”: niente da fare, la misericordia di Dio è finita.
E non solo per il ricco: anche per i cinque fratelli, a cui il ricco, vorrebbe inviare Lazzaro perché “li ammonisca severamente e non vengano anch'essi in quel luogo di tormento”! Ma Abramo taglia corto con questi inutili sprazzi di pietismo: “Hanno Mosè e i profeti, ascoltino loro”. Non servono a niente le apparizioni miracolistiche a far cambiare la testa a chi non vuol cambiarla, o a far aprire gli occhi a chi non vuole aprirli! Che mondo disumano, quello creato dalla ricchezza disonesta e cieca! Quando finirà tutto questo? A volte, pare che di fronte alla logica del Dio denaro non esista soluzione alcuna. Ma non è così. La parabola è fin troppo chiara e questa sentenza di Dio sulla ricchezza, per di più, è inappellabile.
don Franco Bartolino
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