Che bello, se Dio intervenisse nella nostra vita e nelle sorti dell'umanità a risolvere ogni situazione complicata! Che bello, se Dio ci rispondesse immediatamente, ogni volta che lo invochiamo! Sarebbe davvero fantastico avere a nostra disposizione un Dio che trova una soluzione a tutto: che ci dica come porre fine a tutte le guerre, che ci dica come fare in modo che i popoli vivano nella concordia e nella pace, che ci dica come poter guarire da malattie gravi e dolorose, che ci dica come fare per uscire da situazioni economiche difficili, e via dicendo. E invece, ci troviamo spesso a dover gridare come il profeta Abacuc nella prima lettura di oggi: “Fino a quando, Signore, implorerò aiuto e non ascolti?

            Fino a quando l'umanità dovrà gridare in attesa di un Dio che tarda a fare giustizia? Fino a quando il mondo sarà nelle mani delle lobby dei potenti, nelle mani dei disonesti e di coloro che non hanno scrupoli e non si fermano nemmeno di fronte allo scorrere del sangue innocente?

            Le parole di Abacuc risuonano oggi più forti che mai, di fronte alle infinite situazioni di ingiustizia e di degrado che non accennano a diminuire, neppure con l'accrescimento del benessere e del progresso o con l'avvento di nuove tecnologie, le quali sicuramente contribuiscono ad accrescere il tenore di vita, ma lo distribuiscono in maniera iniqua, squilibrata, ingiusta. 

            Grazie a Dio, la giustizia secondo le categorie di Dio non si misura sulle buone e tante opere che l'uomo è pure capace di fare; perché il giusto - come ci ha ricordato il profeta - non vive per le proprie capacità e i propri meriti. “Il giusto vivrà per la sua fede”. Il giusto, colui che vive la giustizia e la annuncia, ha la possibilità di esercitare la giustizia non per i propri buoni meriti, ma per la grandezza della grazia di Dio.

            Siamo spesso convinti, infatti, che un'opera di bene funziona nella misura in cui chi la compie elargisce a piene mani i propri sforzi, le proprie capacità, i propri mezzi al raggiungimento di questo scopo; mentre ciò che fa vivere il giusto è la fede in un Dio che può molto di più delle nostre povere mani e delle nostre povere parole. In fondo, le nostre opere non accrescono affatto la grandezza dell'opera di Dio.

            Il nostro operare è “inutile”, come ci dice il Vangelo: non perché non serva a nulla, ma perché non ha un utile sul quale confidare e contare, non produce ricchezza, non accresce ulteriormente ciò che già la grazia di Dio ci dispensa. La nostra presenza sulla terra, anche qualora fosse fatta di totale servizio e dedizione ai nostri fratelli, è una presenza totalmente inutile.

            Ascoltare una frase di questo tipo, al termine del Vangelo di oggi, certamente ci sconvolge, e forse non ci fa neppure molto piacere, soprattutto dopo aver investito energie fisiche, morali e materiali in un'attività di volontariato e di carità verso il prossimo. Eppure, per il credente, nasconde una sacrosanta verità: non siamo noi i protagonisti sul palcoscenico della storia; non siamo noi - per quanto possiamo compiere opere meravigliose, necessarie, e forse a volte da noi ritenute addirittura indispensabili - i salvatori del mondo. Ci ha già pensato un Altro!

            Quello che noi facciamo è “inutile” alla salvezza dell'umanità, perché compiere buone opere, grandi o piccole che esse siano, contribuisce solo in minima parte alla missione di salvare il mondo. Anzi, forse, è più indispensabile alla nostra salvezza che a quella del mondo. Di certo, però, ha la sua utilità: ci mantiene uniti a Dio e alla sua opera, e la nostra unica gioia è quella di aver fatto il nostro dovere.

                                                                                                                                  don Franco Bartolino 

 

 

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