Si apre la seconda parte del Vangelo di Luca. Gesù dalla Galilea si incammina, insieme con alcuni discepoli, verso Gerusalemme per la festa di Pasqua e per arrivarci sceglie di passare per la Samaria. Luca ovviamente non è interessato alla mappa stradale del Maestro, ma ricorda a noi la Sua scelta libera di incamminarsi verso il luogo della verità e il cammino non inizia nel migliore dei modi: è rifiutato dai samaritani e incompreso dai discepoli che vogliono letteralmente incenerire i samaritani.
Giacomo e Giovanni fanno una pessima figura per il loro carattere impetuoso. «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». Neanche il minimo cenno di risposta da parte di Gesù: troppo meschina è la loro proposta: «Gesù si voltò e li rimproverò».
Lungo questo cammino avvengono tre incontri. Il primo incontro è l'occasione per ricordare che il discepolo vive nella precarietà e nell'insicurezza. «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo». Chi segue il rabbi di Nazareth, non ha una vita comoda, non cerca Dio per sentirsi al sicuro. Gesù smaschera i facili entusiasmi e la superficialità, non garantisce protezione e tranquillità ma la felicità.
Il secondo incontro è l'occasione per ricordare che il regno di Dio ha il primato assoluto nella vita del discepolo. «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va' e annuncia il regno di Dio». Gesù vuole scuotere i nostri cuori assopiti e sollecita di stare con la vita, non con la morte. Anche l'amore più grande viene dopo l'assoluto di Dio. Il discepolo ha delle priorità ben chiare e che il Regno ha precedenza assoluta nella sua vita.
Il terzo incontro è per gli eterni indecisi, per chi rinvia sempre. «Nessuno che mette mano all'aratro e poi si volge indietro è adatto per il regno di Dio». Quante persone vivono di nostalgie per quello che hanno lasciato e non si permettono il gusto della novità. La vita cristiana non sopporta sterili nostalgie, richiede coraggio. Il discepolo, non si rifugia nel "si è sempre fatto così" ma guarda avanti, lascia andare il passato e guarda oltre.
Gesù non cerca eroi incrollabili per il suo Regno, ma persone autentiche che sappiano semplicemente sceglierlo, ogni giorno, di nuovo.
Luca racconta la condivisione dei pani e dei pesci pensando alla celebrazione eucaristica delle prime comunità. Tutto avviene mentre scende la sera; probabilmente la comunità di Luca celebrava l'Eucaristia domenicale proprio la sera: come non pensare al protagonista dell'episodio dei discepoli di Emmaus? Ma è sera e c'è un problema: dove far mangiare tutta questa gente? Mentre le folle seguono Gesù, i dodici gli sono lontani, gli si devono avvicinare, ma lo fanno per un motivo sbagliato: invitano Gesù letteralmente a “mandare via la gente”, anche se non si dice che la gente si fosse stancata di ascoltare Gesù.
Gesù osserva la folla che è lì per Lui, ha fame di Lui e non si gira dall'altra parte ma chiede ai dodici di dargli una mano. Gli apostoli, come noi, attendono da Dio una soluzione e invece chiede a loro di risolvere il problema: e come sempre Gesù spiazza tutti: «Voi stessi date loro da mangiare». È una frase dal doppio senso: da una parte invita gli apostoli a sfamare quella gente; dall'altra ricorda che l'unico vero dono nella vita è dare sé stessi: date “voi stessi” a queste persone. Possiamo dare le nostre cose, il nostro tempo, ma l'unico vero dono è dare sé stessi, fare della propria vita un dono perché è l'unica cosa che dà valore alla vita di un uomo.
Di per sé è una richiesta illogica: gli apostoli hanno soltanto cinque pani e due pesci. Illogica per chi non ha fede, per chi non ragiona con il cuore che è l'unico modo per condividere anche ciò che non si ha. Gesù non moltiplica, non compie un gesto magico. Il vero miracolo è la condivisione, è il pane spezzato che sazia la fame di chi ascolta la Parola. Gesù non calcola secondo i nostri criteri; Egli prende, benedice, spezza e dona: sono i verbi dell'Eucaristia che indicano la circolarità dell'amore.
Luca ricorda alla sua comunità e a noi, che non siamo i proprietari di questo pane, ma solo servi e non sta a noi decidere chi è degno di partecipare a questa mensa, a noi spetta solo distribuire. Ecco il senso della moltiplicazione: più si condivide più le cose si moltiplicano. Se ognuno fa la sua parte, l'impossibile diventa possibile. Penso a tutte le risorse che ci sono nelle nostre comunità e se mettessimo in circolo ciò che sappiamo fare? Mentre la società tende ad isolare, il vangelo spinge a condividere.
Gesù deciderà di rimanere in mezzo a noi, nel segno fragile e quotidiano del pane. Sarebbe potuto rimanere in mille modi, magari lasciandoci un segno potente e inequivocabile della sua presenza in modo da convincere tutti anche i più dubbiosi, invece no: non sarebbe stato nel suo stile. Tutto il Suo corpo, la Sua storia, la Sua vita appassionata d'amore sono lì, in quel fragile pezzo di pane, da mangiare, da contemplare, da custodire.
Celebriamo oggi la solennità della SS. Trinità, il cui mistero ci introduce nell’intimità stessa di Dio. Ci rivela che Dio in se stesso è amore tra tre Persone distinte, ma che sono talmente unite tra loro da formare un solo Dio.
Nel brano evangelico Gesù parla dello Spirito Santo che dovrà venire, mandato dal Padre nel suo nome. Gesù lo chiama Spirito di verità, che rivela tutto il mistero di Dio e manifesta che è uno Spirito di amore, che non cerca la propria gloria, ma quella di Gesù e del Padre.
La vita intima di Dio è uno scambio continuo di amore tra tre Persone distinte, ma unite tra loro. La loro unione si manifesta nel modo in cui esse si occupano di noi.
Tutta la nostra vita cristiana è illuminata e trasformata dal mistero della Trinità. Siamo stati battezzati nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Il battesimo ci ha introdotto nel mistero della Trinità, nella comunione Dio amore delle tre Persone divine. E i sacramenti che riceviamo, in particolare l’Eucaristia, servono a rafforzare la nostra comunione con la Trinità.
«Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso». Questo versetto non ci dice quali siano le cose che Gesù ha ancora da dire. Qualunque cosa fosse Gesù non ne parla ai suoi discepoli proprio per il fatto che essi non sono in grado di portarne il peso.
Finché si trovano con Lui i discepoli non possono capire la portata e il significato di ciò che stanno vivendo e di ciò che accadrà. Gesù ha fatto loro conoscere «tutto» ciò che ha udito dal Padre, ma, affinché possano avere un'intelligenza profonda, deve agire lo Spirito.
Solo lo Spirito è l'interprete autorizzato di Gesù. Lo Spirito della Verità guida, parla, annuncia. Queste le sue tre azioni, che ascolterà da Gesù,come Egli stesso ascoltava dal Padre. La sua parola non risuona alle orecchie come faceva la parola di Gesù, ma raggiunge il cuore. Celebrando la solennità della Trinità a coronamento del tempo pasquale, professiamo la nostra fede in un Dio che si è messo e continuamente si mette in gioco, per donarci l’accesso alla «grazia» di sentirci «in pace» con Lui, con noi stessi e con il mondo intero.
Tocca ora a noi dimostrare di essere “persone” capaci di riprodurre nella nostra vita la stessa immagine di Dio, che è unità perché è assoluta e amorosa differenza nella sua Trinità.
Così scrive Giovanni della Croce: «La trasparenza mai viene offuscata, so che di qui ogni luce è originata: eppure è ancora notte…». Nelle notti ricorrenti che offuscano le nostre giornate, spesso affaticate da relazioni sempre da curare e da re-inventare, il mistero della Trinità è per noi, non solo motivo di «speranza» ma anche di creativa ispirazione.
La comunione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo ci sostiene, ci illumina e ci trasfigura per renderci capaci di donare, ricevere e diventare amore.
Chiediamo al Signore di farci apprezzare questo dono veramente straordinario della conoscenza della sua vita intima.
La Domenica di oggi vuole essere una lode allo Spirito Santo che fedelmente accompagna la vita della Chiesa e della Storia. Il vento gagliardo di cui parla la prima lettura (At 2,1-11) non ha mai smesso di soffiare su questi poveri discepoli di Gesù, distribuendo a ciascuno i doni e i carismi necessari per portare avanti il Regno inaugurato da Gesù.
E’ Spirito di unità perché, da sempre, riunisce la molteplicità delle lingue in un unico ascolto rispettando le differenze e creando armonia nella distinzione. «Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi. Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua».
E’ Spirito di unità perché parla il linguaggio comprensibile a tutti e ad ognuno, per cui dobbiamo essere attenti a non confondere le lingue che ci dividono o ci distinguono tra migliori e meno buoni, più capaci e meno capaci, santi e peccatori… No, lo Spirito parla in modo comprensibili perché parla la lingua di ogni popolo e nazione, riunendoli e donando la capacità di aprirsi all’unico e buon Pastore: Cristo Gesù.
La festa di oggi ci dice ancora una volta che il disegno Salvifico di Dio non finisce con la Passione e la glorificazione di Gesù alla destra del Padre, ma nell’effusione dello Spirito Santo che, attraverso la docilità dei discepoli fedele a Cristo, distribuisce nel mondo i frutti dell’Amore del Padre a tutta l’umanità.
«Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre. Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato» (Gv 14,15-16).
Gesù lascia chiara la missione della chiesa: vivere l’amore, l’ascolto alla Sua parola. Lo Spirito non è dato al mondo, ma ai discepoli, a quanti rispondono con amore all’amore del Padre, e cioè, a coloro che ascoltano la parola, che si lasciano abitare dalla parola, a coloro che diventano figli nel Figlio.
«Infatti tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: «Abbà! Padre!». Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria» (cf. Rom 8,8-17).
Quello che è naturale in Gesù è grazia per noi, cristiani: apparteniamo a Dio e quindi, dobbiamo agire come figli di Dio. Abbiamo la forza dello Spirito che ci sostiene nel nostro cammino, che ci rende conforme all’immagine del Figlio, partecipando alle sue sofferenze per essere partecipi della sua gloria.
Manda il Tuo Spirito Signore, a rinnovare la Terra (cf. Sal 103/104)!
Con il racconto dell'Ascensione termina il Vangelo di Luca. In realtà si tratta di un brano cerniera poiché l'opera continua con gli Atti degli Apostoli che riprende la narrazione proprio dall'Ascensione. Luca forza un po' la cronologia: il suo intento è presentare il mistero della morte, risurrezione e ascensione come un tutt'unico, quindi inutile cercare un'esattezza cronologica.
A tutti è sorta questa domanda: non poteva Gesù rimanere? Non poteva restare in mezzo a noi da risorto? Gesù aveva bisogno di liberarsi del tempo e dello spazio per essere definitivamente presente in ogni angolo del mondo. Questo modo è la possibilità che ogni uomo ha di poter dire: posso anch’io incontrare il risorto.
Gesù quando è ritornato al Padre si è portato dietro tutta la nostra umanità. Da allora, sotto lo sguardo del Padre, ci sono le nostre gioie, i nostri dolori. Insomma, niente di ciò che ci rende umani ora è sconosciuto a Dio. Tutti adesso possiamo fare esperienza di Dio, perché Lui vive in noi. Fine delle apparizioni: per i discepoli è ora di ritornare a Gerusalemme, insomma, adesso tocca a loro e tocca anche a noi raccontare Dio.
Siamo chiamati a essere narratori credibili del vangelo e di un incontro che ha cambiato la nostra vita. La chiamata a evangelizzare non è un optional nel cristianesimo ma è un elemento essenziale della vita del discepolo. Siamo sinceri, l'esperienza di un'assenza non piace perché ci fa sentire soli, ci provoca inquietudine. Siamo sempre a caccia di presenze, di certezze. Gesù ci dà una certezza ma su un altro piano, ci dona la certezza dell'essere. L'Ascensione, insomma, prepara l'arrivo dello Spirito, una presenza diversa. In fondo l'Amore funziona così: chi ama è disposto a fare un passo indietro affinché l'altro diventi protagonista della sua vita.