L’augurio più necessario, più desiderato e più urgente all’inizio dell’nuovo anno è quello della Pace. La Liturgia della Chiesa, e nella Chiesa, ricorda al mondo e ad ogni essere umano che la pace è frutto della benedizione di Dio. Ma la novità dell’annuncio di pace che esce dalla Chiesa è quello di dare al mondo la benedizione di Dio nel volto di Gesù, il figlio della Vergine Maria: «quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna» (Gal 4,4-7).
La benedizione di Dio data a Aronne e che passa di generazione in generazione tra gli israeliti diventa persona da accogliere, da incontrare, da contemplare, da custodire e curare. Una presenza che riempie il cuore e la vita di gioia e di speranza come ai pastori nella notte di Betlemme, che senza indugio, andarono alla ricerca del bambino annunciato dagli angeli. Avendolo incontrato, diventano loro stessi annunciatori della buona notizia, testimoni di una nuova gioia «e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori...I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com'era stato detto loro» (Lc 2,16-21).
Per incontrare la Pace, dunque, è necessario andare da Quel Bambino, che non ha voluto essere trovato solo e potente, ma fragile e dipendente, come accade ad ogni famiglia. Ha scelto di essere persona: essere in relazione di amore, di accoglienza, di dialogo... Ha voluto essere custodito da un padre in terra perché doveva, una volta per sempre, dire a tutti che siamo eredi di un unico e vero padre invitandoci a chiamarlo Abbà: nella forma più affettuosa, presente in tutte le lingue del mondo.
È proprio lì, che incontriamo la radice della nostra natura umana, ma è anche lì che incontriamo lo stile di crescita e maturazione per diventare veramente umani.
Dio ha definitivamente voltato il suo volto su di noi in Gesù, e troveremo la pace se riusciamo a risplendere questo volto in noi, riconoscendolo in ogni uomo e donna, fratello e sorella con i quali avremmo la grazia di percorrere questo nuovo tempo che ci è dato. Ed è da lei, Maria, la Madre di Gesù, Regina della Pace, che vogliamo imparare a custodire ogni cosa, meditandole nel nostro cuore.
Ti benedica il Signore e ti custodisca. Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace" (Nm 6, 22-27).
Cosa offro a te, in questo giorno santo, Signore Gesù, che ti sei mostrato a noi come uomo? Ogni creatura ti porta il proprio ringraziamento: gli angeli, il loro canto; i cieli, le stelle; i magi, i loro doni; i pastori, il loro stupore; la terra, la grotta, il deserto, la mangiatoia. E io che cosa ti offro? Forse il vuoto del cuore, l’aridità della mia fede, l’ipocrisia della mia vita. Ti porto la vanità, il piacere, il divertimento, la mondanità di queste giornate.
Come i pastori, devo andare a Betlemme a vedere cosa succede; iniziare un viaggio e intraprendere un cambiamento di vita, compiere un passaggio nella mia esperienza di credente, lasciando ciò che è sicuro per questo mondo e abbandonarmi a un coraggioso orizzonte di vita spirituale.
Mi piace allontanare le immagini dell’evangelista che racchiudono il riferimento alla grande luce, al cantico di pace, alla contemplazione del Bambino, per soffermarmi sulla fatica del viaggio di Maria e Giuseppe, da Nazaret a Gerusalemme, sul rifiuto ricevuto da Giuseppe che cerca un posto dove far nascere il Primogenito, sul freddo della notte e sul disinteresse con cui il mondo accoglie il Figlio di Dio.
Non è quello di allora lo stesso grigiore, lo scetticismo, la superficialità evidenziata dalle gravissime ingiustizie presenti ieri come oggi nel mondo? Il contesto del primo Natale, come quello di quest’anno, è di oscurità, dolore, solitudine, nonostante i bagliori luccicanti, i regali e le cene. Basti pensare all’urlo delle donne ammazzate dai loro compagni di vita, ai bambini ammalati e denutriti, di giovani disorientati e spenti a motivo di droghe e alcol, di famiglie senza casa e senza lavoro, di anziani abbandonati, di fratelli fuggiti dalla propria terra che respirano paura e rifiuto. Tutto questo è il nostro peccato.
Abbiamo mondanizzato il Natale escludendo Gesù, il festeggiato, che “venne tra i suoi, ma i suoi non l’hanno accolto” ci ha ricordato Giovanni nel suo Prologo (1,11).
Non posso incolpare il mondo, ma ricordare che Gesù chiede di non farci trascinare e di vegliare pregando. Il Natale cristiano è buono se interiore, celebrato nel silenzio, dentro la coscienza fatta attenta e preziosa.
Posso chiedere a Gesù: chi sei e cosa vuoi? Ascoltando la coscienza, avverto però che Egli è il mio sogno, il mio desiderio, il mio amore, il senso della mia vita, il futuro positivo di storia violenta e insanguinata dalla guerra. Natale diventa, così, impegno a crescere nell’amicizia di Gesù. È possibile se facciamo tesoro di una massima dell’Imitazione di Cristo: “Di tanto progredirai nella conoscenza di Dio, di quanto sarai capace di fare violenza a te stesso” (I, 25.52).
Rinunciare all’amore dell’io e lasciarsi andare all’amore di Dio è la chiave dello sforzo spirituale che mette ordine nel passato, interpreta il presente e lascia che Gesù infiammi di bene la vita. Il Signore, infatti, insegna a guardare le cose non per quelle che sono, ma per ciò che rappresentano: sono creature che richiamano il Creatore; sono belle e riflettono la bellezza divina; sono vere e dicono la verità tutta intera.
In questo Natale, Gesù mormora nel nostro animo: io sono la Parola, l’Amico, la Luce, la Vita, il Pastore buono, il Bambino che giace nella mangiatoia e ti accompagna nell’intimità divina. Dio ha voluto avvicinarsi a noi, vulnerabile come un fanciullo e noi possiamo presentarci a Lui con il viso e il cuore di bambini.
La santità è tutt’altro che chiusura in sé stessi. Essa è apertura e disponibilità del Bambino che sorprende e tutto rende possibile, come quel grazie che non ti aspetti e che arriva diritto o come il profumo di una speranza che si accende nel buio del dolore.
Sorelle e fratelli carissimi, ora è il tempo del mio Natale: Cristo nasce perché io rinasca. La nascita di Gesù vuole la mia rinascita dallo Spirito di Dio, perché sia sempre piccolo, libero e così umile da ragionare con il cuore.
Buon Natale a tutti voi perché Dio è con noi, non siamo soli e non lo saremo mai!
“Sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui e cenerò con lui ed egli con me”. (Ap. 3,20)
Bussa Gesù alla porta di Frenesia e Rumore. Ma nella casa di Frenesia e Rumore la gente è tutta indaffarata nelle proprie cose, bisogna fare, bisogna fare di più, bisogna fare in fretta: chi ha tempo per accogliere l’ospite che bussa? “Mi scusi, dice Frenesia, ma come vede siamo molto presi oggi. Forse domani, quando cominciano le ferie”. E Rumore non dice niente: neppure ha sentito che alla porta qualcuno bussa. Non c’era posto.
Bussa Gesù alla porta di Depressione e Rancore. La casa è troppo triste, la gente è troppo arrabbiata, non ha voglia di vedere nessuno. Anche una visita è un fastidio. Depressione preferisce starsene da sola, sprofondare nel vortice buio della disperazione. Rancore è sempre arrabbiato e sbatte la porta in faccia a chi chiede di entrare. “Che cosa vuole? Ne abbiano già abbastanza di fastidi e di impiccioni!”. Non c’era posto.
Bussa Gesù alla porta di Arroganza e Sospetto. Si fanno sulla porta con lo sguardo accigliato di chi si aspetta riconoscimenti importanti e visite illustri. Il viandante discreto non è nessuno, che cosa viene a fare? Se è mite e discreto certo nasconde qualche maliziosa intenzione, se è insistente e paziente certo ha qualche cosa da vendere. “Non c’è bisogno di niente in questa casa! Ce la caviamo da soli!”. Non c’era posto.
A Betlemme, nella casa del pane, per Gesù c’è posto in una mangiatoia, là dove si dirigono gli affamati di una vita che non finisce, di una gioia che resiste alle tribolazioni della vita, quelli che non bastano a sé stessi, e lo riconoscono. Non sono di quelli che si sottovalutano. Piuttosto sono riconoscenti perché il pane che si offre a Betlemme rivela che la vita è dono e che siamo vivi per grazia. Sono riconoscenti.
Per Gesù c’è posto in una mangiatoia, là dove si fermano uomini e donne che hanno tempo per sedere a tavola, che non si lasciano divorare dalla frenesia. Non sono di quelli che amano perdere tempo né sono pigri. Piuttosto sono saggi e sanno distinguere i tempi e riconoscono che non si vive per lavorare, ma si lavora per vivere. Sono amici delle feste. E attingono alla festa del pane la forza e la gioia di vivere, di lavorare, per sé e per gli altri. Sono saggi.
Per Gesù c’è posto in una mangiatoia, là dove si rivolgono uomini e donne provati dalla vita, riconoscendo nel bambino avvolto in fasce e deposto nella mangiatoia una luce amica, la rivelazione della gloria che avvolge di luce tutta la vita. Non sono ingenui, piuttosto sono inclini alla commozione: riconoscono di essere visitati proprio là sul ciglio dell’abisso, là dove la disperazione non sente ragioni. Quando gli argomenti si rivelano inadeguati a convincere, quando la volontà si è spezzata, quando i rapporti sono vissuti più come problemi che come aiuti, là la fragilità del Bambino nella mangiatoia offre il messaggio della tenerezza che restituisce la voglia e il dovere di vivere. Sono inclini alla commozione.
Coloro che hanno visto il segno diventano la moltitudine dell’esercito celeste incaricata di lodare Dio e cantare: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini che egli ama”. Allora l’esercito celeste apparve come una moltitudine di angeli. Oggi quelli che hanno visto il segno del bambino adagiato nella mangiatoia sono incaricati di percorrere la terra, di convincere fratelli e sorelle ad aprire la porta al Signore che bussa, a vincere le obiezioni, le resistenze, le diffidenze.
Sorelle carissime, lasciate che entri il Signore, irradiazione della gloria del Padre, perché ogni fraternità si riempia della gioia di Dio. Buon Natale!
Nel Vangelo di Luca l'annuncio è portato a Maria. Secondo il vangelo di Matteo, invece, l'angelo parla a Giuseppe: non una parola sul sì di Maria e nessuna sosta da Elisabetta. Se sovrapponiamo i due Vangeli, scopriamo che l'annuncio è fatto alla coppia perché Dio ha avuto bisogno del sì di Giuseppe e del sì di Maria. Giuseppe trova incinta Maria ed è sconvolto: come dargli torto. Deve essere stato difficile per Giuseppe dover accettare di trovarsi davanti alla gravidanza della ragazza che amava. Si sarà sentito ferito, tradito. Secondo la legge avrebbe dovuto denunciarla e quindi condannata a lapidazione. Giuseppe decide quindi di lasciare Maria per rispetto non per sospetto e lo fa perché è “giusto". Nella Bibbia giusto è chi è fedele alla Legge e Giuseppe non obbedisce alla legge ma al suo cuore, lascia che la corazza della legge sia scalfita dall'amore. «Giuseppe, destatosi dal sonno, fece come l'angelo del Signore gli aveva comandato e prese con sé sua moglie». Ecco il cristianesimo: assumersi la responsabilità di quello che accade. Dio sceglie Giuseppe perché è pronto a rallentare e a trovare il tempo per sognare, per riconoscere la Sua volontà. L'angelo ha per Giuseppe le stesse parole che furono per Maria: «Non temere». Dio invita Giuseppe a entrare nel Suo progetto per introdurre suo Figlio nella stirpe di Davide secondo la promessa. Che bello vedere che la storia di Maria e Giuseppe sia iniziata dentro questo identico invito: "Non temere". Nella nostra vita ingarbugliata Dio ci invita a non temere e per il coraggio di Giuseppe, Egli, il Signore Dio, avrà un Figlio tra gli uomini.
Giovanni aveva annunciato un Messia giustiziere che avrebbe punito severamente i peccatori, invece Gesù offre il suo amore a tutti. Dio non giudica, non condanna ma ama tutti e il Battista, di fronte al volto di un Dio inaspettato, va in crisi. Giovanni è perplesso: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Gesù non entra in polemica ma si riferisce ai fatti: «Andate e riferite a Giovanni ciò che voi udite e vedete: i ciechi recuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l'udito, i morti resuscitano, ai poveri è predicata la buona novella». È una crisi di fede che investirà anche i discepoli, quando si scontreranno con l'esperienza di un Messia perdente e umiliato. Gesù portava scandalo e lo porta ancora oggi: non stava con la maggioranza, ha cambiato il volto di Dio e le regole del potere, ha messo l'uomo prima della legge. Gesù elogia Giovanni: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento?». Che cosa siete andati a “vedere”, non a “imparare” perché Dio si mostra, non si dimostra. È giunto il tempo di fare piazza pulita di tutte le immagini false di Dio che ci portiamo dentro, di tutti i nostri desideri che appiccichiamo a Lui. Abbiamo bisogno di interrogare le nostre pretese su Dio alla luce del Vangelo, purificando le immagini strampalate di Lui che ci portiamo dentro. Se siamo capaci di rendere la vita più umana a qualcuno che non ce la fa da solo, allora quella persona capirà chi è il Signore che noi cerchiamo di amare e di incarnare.