«In quei giorni, venne Giovanni il Battista e predicava nel deserto della Giudea dicendo: “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino”!... Allora Gerusalemme, tutta la Giudea e tutta la zona lungo il Giordano accorrevano a lui e si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. Vedendo molti farisei e sadducei venire al suo battesimo, disse loro: “Razza di vipere! Chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all'ira imminente? Fate dunque un frutto degno della conversione” (cfr. Mt 3,1-12).
Non ci deve sorprendere la durezza delle parole di Giovanni ai farisei e sadducei . Giovanni conosceva bene la Scrittura e la responsabilità delle autorità religiose di istruire il popolo, sostenere la speranza e preparare la venuta del Messia; loro invece, hanno trasformato la legge e la profezia in fardello pesante alla gente, sciupando la speranza del popolo. La parola di Giovanni è forte perché è accompagnata dalla sua testimonianza di povertà e semplicitità, concentrando la sua vita sull’essenziale: « Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!». Ma soprattutto Giovanni è l’ultimo profeta che grida nel deserto dei cuori degli uomini, testimone del l’agire di Dio, che assume lui stesso gli eventi della Storia preparando, con quelli che si schierano dalla Sua parte, l’arrivo del Messia: Re di Pace!
Ma forse neanche Giovanni aveva compreso bene che Dio non usa le armi della violenza. L’unica arma che possiede è la Parola, il Suo Figlio diletto, il re mite e umile di cuore, che « Non giudicherà secondo le apparenze e non prenderà decisioni per sentito dire; ma giudicherà con giustizia i miseri e prenderà decisioni eque per gli umili della terra. Percuoterà il violento con la verga della sua bocca,con il soffio delle sue labbra ucciderà l'empio» (cfr. Is 11,1-10).
Sappiamo bene como dalla bocca di Gesù non è uscito mai una parola di condanna, neanche per i suoi nemici. La verga della sua bocca, che taglia i cuori più induriti è la misericordia del Padre, facendo valere la sua giustizia che è amore, il Padre che non riposa finché non vedrà tuti i suoi figli salvati, rigenerati, santificati, riprendendo il cammino di ritorno alla casa, intorno alla sua mensa e in armonia con tutto il Creato uscito dalle Sue mani:
«La giustizia sarà fascia dei suoi lombi e la fedeltà cintura dei suoi fianchi. Il lupo dimorerà insieme con l'agnello; il leopardo si sdraierà accanto al capretto; il vitello e il leoncello pascoleranno insieme e un piccolo fanciullo li guiderà. La mucca e l'orsa pascoleranno insieme; i loro piccoli si sdraieranno insieme. Il leone si ciberà di paglia, come il bue. Il lattante si trastullerà sulla buca della vipera;il bambino metterà la mano nel covo del serpente velenoso.Non agiranno più iniquamente né saccheggeranno in tutto il mio santo monte, perché la conoscenza del Signore riempirà la terra come le acque ricoprono il mare» (cfr. Is 1,1-10).
Utopia? No, realtà umile e silenziosa, nascosta a chi ancora è schiavo da se stessi e dalle ambizioni egoistiche di questo mondo. Quelli invece, che si chiamano cristiani, difatto e non di sola parola, permettono il compiere della profezia e della salvezza di Cristo. Se non fosse vero, noi non saremo qui, ancora a credere, a cercare, a vivere l’attesa della Sua venuta.
« Fratelli, tutto ciò che è stato scritto prima di noi, è stato scritto per nostra istruzione, perché, in virtù della perseveranza e della consolazione che provengono dalle Scritture, teniamo viva la speranza. E il Dio della perseveranza e della consolazione vi conceda di avere gli uni verso gli altri gli stessi sentimenti, sull'esempio di Cristo Gesù, perché con un solo animo e una voce sola rendiate gloria a Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo. Accoglietevi perciò gli uni gli altri come anche Cristo accolse voi, per la gloria di Dio. Dico infatti che Cristo è diventato servitore dei circoncisi per mostrare la fedeltà di Dio nel compiere le promesse dei padri; le genti invece glorificano Dio per la sua misericordia, come sta scritto: «Per questo ti loderò fra le genti e canterò inni al tuo nome»( Rm 15,4-9).
Prima di tuffarci nel Tempo di Avvento, la liturgia ci mette davanti agli occhi la novità scandalosa di un Dio che presenta la sua regalità dal trono della Croce. Al centro del Vangelo di oggi c'è appunto la Croce ed è la festa di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell'Universo; un titolo che forse può sembrare anacronistico eppure, se ci pensiamo, è il motivo per cui hanno ucciso Gesù.
Facciamo fatica a seguire un Dio che rivela la sua regalità nell'amore, nel servire e non nella pretesa d'essere servito. Facciamo fatica perché l'idea di un Dio onnipotente, che amministra in maniera autoritaria la sua giustizia, è una distorsione mentale che continuiamo a portarci dentro.
La bella notizia di questa festa liturgica è che Dio è onnipotente solo nell'amore! Un Dio che mi ama anche se lo rinnego, anche se lo tradisco, anche se lo rifiuto. Insomma il nostro Re non pretende nulla ma semplicemente mi ama di un amore folle perché lui è il Re dei perdenti, dei malati, degli ultimi, dei sofferenti. Il nostro Re è differente dagli altri re perché sa che l'amore o va fino all'estremo o non è amore!
«Dunque, tu sei re?» chiede Pilato a Gesù. Si caro Pilato, Lui è Re ma di un altro mondo. È uno strano Re Gesù che ha varcato solo una volta la soglia di una reggia ma per essere condannato a morte infatti il suo primo trono fu una mangiatoia, l'ultimo una croce. Da quella non ha voluto scendere, eppure avrebbe potuto.
Durante questo Anno liturgico in compagnia di Luca, ci siamo davvero convinti che questo è il nostro re? Abbiamo davvero messo in discussione le immagini non evangeliche della nostra fede per accogliere il vero volto di Dio rivelato da Gesù? Abbiamo davvero scelto di essere discepoli di un Dio così?
L’anno liturgico volge al suo termine e il nostro cammino riprenderà con il tempo di Avvento, inizio di un nuovo anno. Gesù, nel Vangelo, coglie l'occasione per il suo insegnamento, interrompendo l'estasi di chi si era soffermato nell'ammirazione delle bellezze esteriori, come il Tempio, compiute dall'uomo, con parole che devono farci meditare ed immetterci in un impegno rinnovato e consapevole.
Il cristiano più degli altri deve lavorare, donare, servire il prossimo, amare: solo così può attendere senza paura il giorno di Dio. Gesù prevede guerre, rivoluzioni, terremoti, carestie... tutti segni che parlano della malattia profonda del mondo e invitano a guardare al di là di questo mondo, che non è ancora pienamente redento: la redenzione è per ora un lievito, un seme.
Gesù prevede confusioni, divisioni e persecuzioni. Ma la Chiesa cresce anche nelle persecuzioni: "il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani, diceva Tertulliano. Gesù promette la sua forza e la sua salvezza: "Io vi darò lingua e sapienza..."Avrete occasione di dare testimonianza. Sarete odiati, ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita".
Ciò di cui parla il Signore non è nulla di nuovo, le cose che presenta ai suoi ascoltatori sono realtà terribilmente ordinarie anche nella vita della nostra umanità, sia a livello esterno e catastrofico come possono essere i terremoti, sia per quanto riguarda le tragedie che si consumano nell’ambito delle nostre relazioni più care. In tal modo il Signore ci chiede di non lasciarci distrarre dagli eventi che sembrano straordinari per rimanere attenti, vigilanti e profondamente centrati sulla nostra interiorità, per comprendere quale sia il nostro posto. La consegna non lascia dubbi: ”Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita”.
Il regno di Dio si realizza e si compie non nella sospensione o nella fuga dal nostro vissuto, ma “in mezzo” a tutto ciò che fa la nostra vita e quella dei nostri fratelli e sorelle in umanità. L’apostolo Paolo non solo smorza le grandi attese escatologiche dei cristiani di Tessalonica, ma li esorta a non trasformare il desiderio e l’attesa del ritorno del Signore in un pretesto per non vivere fino in fondo le proprie responsabilità storiche, esistenziali e solidali.
Se è vero che attendiamo con desiderio grande il compiersi delle promesse e l’avvento del Regno, rimane pur vero che in Cristo Gesù è stato rivelato che il regime in cui tutto ciò si può e si deve dare è quello dell’incarnazione e dell’impegno nella storia. La storia non è una realtà che dobbiamo subire in attesa che si consumi e ci assolva così dal grave compito di attraversarla e di trasformarla. La sfida non è quella di cominciare il conto alla rovescia della fine della storia, ma di cominciare ogni mattina a dare il proprio apporto alla storia come se fosse il primo giorno e come se fosse anche l’ultimo… come se fosse l’unico.
È al cuore delle nostre vite che si incrociano magnificamente il mondo presente e quello che attendiamo nella fede, nella speranza e nell’amore. È proprio facendo esperienza dei più grandi desideri che portiamo dentro, con il necessario confronto con ciò che è segnato dal limite, dalla caducità e dall’effimero, che il Regno di Dio si costruisce oltre noi, ma mai senza di noi. Ogni situazione può e deve diventare «occasione» per «dare testimonianza».
«In quel tempo, si avvicinarono a Gesù alcuni sadducèi – i quali dicono che non c’è risurrezione – e gli posero questa domanda: «Maestro, Mosè ci ha prescritto: "Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello". C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. Da ultimo morì anche la donna. La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie»(cfr. Lc 20,27-38).
Non ci deve scandalizzare Il fatto che una donna al tempo di Gesù fosse data in matrimonio più volte nel circolo della parentella del primo sposo quando ancora oggi, nelle tradizioni dei popoli antichi si usa questa pratica; e tanto meno ci deve scandalizzare quando nel nostro contesto della società contemporanea il legame tra uomo e donna non è più quello di “una volta per sempre”.
Ma non è questo il punto a cui Gesù vuole richiamare l’attenzione, perchè più che un fatto di garanzia generazionale come nel caso delle antiche tradizioni, o un fatto di moralità, come nel secondo caso,il cui giudice può essere soltanto il Signore, Gesù vuole indicare soprattutto la grande fedeltà di Dio alla Vita. La Vita che non corrisponde soltanto al Bios ma a quel Principio Vitale che è proprio dell’essere in Dio.«Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio».
Il Dio di nostro Signore Gesù Cristo, quindi, è Padre, e garantisce la vita che viene da Lui e ritorna a Lui perché Dio non gioca con la vita, in modo che oggi c’è e poi non esiste più. Nonostante la malvagità di questo mondo avido di potere e di soppressione dei piccoli e degli indifesi , ieri (cfr. 2Mac 7,1-2.9-14) come oggi sotto i nostri occhi ogni giorno, il Signore si mette dalla parte di coloro che fanno esperienza del Suo amore e vivono della Sua Parola che è Parola di Vita eterna.« Per il resto, fratelli, pregate per noi, perché la parola del Signore corra e sia glorificata, come lo è anche tra voi, e veniamo liberati dagli uomini corrotti e malvagi. La fede infatti non è di tutti. Ma il Signore è fedele: egli vi confermerà e vi custodirà dal Maligno» (cfr. 2Ts 2,16 – 3,5).
Attraverso la fede della Chiesa si mantiene viva la speranza, in questo mondo, delle realtà che ci spettano, e anche se la fede non è di tutti, come dice Paolo, e ciascuno rimane libero di rispondere o di rifiutare, la nostra responsabilità come cristiani è proporla a tutti, senza alcuna distinzione assumendo la Passione del Padre che vuole la vita di tutti, in Cristo Gesù, Risorto dalla morte. In Lui, il passato, il presente e il futuro risplendono perché «Dio non è Dio dei morti, ma dei vivi: perché tutti vivono per lui».
Ecco allora, il segreto della nostra gioiosa speranza! E non è di questo che il mondo oggi ha tanto bisogno?
Il viaggio verso Gerusalemme è quasi finito e la città di Gerico è l'ultima tappa. Nella galleria dei personaggi "dipinti" da Luca, Zaccheo è la figura del peccatore convertito, dopo essere stato amato. Zaccheo era il capo dei pubblicani; questi erano gli impiegati del fisco, di solito appaltati dal Governo romano, spesso esosi e corrotti e, anche per il loro collaborazionismo con le forze di occupazione dell'Impero romano, erano detestati dal popolo e posti al livello dei peccatori pubblici e delle prostitute.
Zaccheo è il capo, il più ladro di tutti, e tutti lo sanno perché ha molto rubato e vuole vedere Gesù. Cercare di vedere esprime un desiderio: probabilmente è insoddisfatto, inquieto, per questo "cerca di vedere" altro ed è piccolo di statura. Luca non ci sta indicando la sua altezza ma la sua percezione, si sente piccolo, inferiore, incapace ed è il momento di prendere il coraggio a due mani. Zaccheo non ha paura di apparire ridicolo e non si vergogna di compiere un gesto indegno per il suo stato sociale. Bisogna vincere la paura del giudizio degli altri per trovare la propria strada. Lui, uno degli uomini più conosciuti, più temuti della città sale su di un sicomoro, un albero i cui rami spuntano a poca distanza dalla terra e da lì, sa che tutti lo vedranno.
C'è molta confusione e Gesù cammina tra la folla, strattonato da chi cerca una guarigione, chi implora un aiuto, chi gli riversa addosso miserie e fatiche.
Gesù si ferma, alza lo sguardo e incrocia gli occhi di Zaccheo che non voleva incontrarsi con Gesù, voleva solo vederlo, sapere chi fosse ma è impossibile tentare di vedere Gesù senza essere visti da lui. Lui voleva vedere Gesù, ora si sente guardato, raggiunto da quello sguardo, il solo sguardo che non giudica, non condanna, non umilia ma che libera.
Che cosa avrà visto Zaccheo in quegli occhi? Non lo sappiamo. Sappiamo solo che dopo quello sguardo nulla è più stato come prima. «Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». «Devo» dice Gesù, è il dovere dell'amore. Se Gesù avesse detto: “Zaccheo, pentiti, restituisci ciò che hai rubato, riconosci i tuoi sbagli ed io verrò a casa tua”, sono certo che Zaccheo sarebbe rimasto sull'albero. Nessuna predica, nessuna richiesta di pentimento. Non gli è chiesto di convertirsi, non gli è chiesto di cambiare vita, perché Dio perdona, non attende il pentimento. Lo chiama per nome. Per tutti era semplicemente "il capo dei pubblicani” ma per Gesù è Zaccheo. Chiamare per nome vuol dire dare dignità e dare un volto.
Lo invita a scendere, innanzitutto dal piedistallo sul quale si era messo. Finalmente qualcuno ha fatto breccia nel suo cuore, ha smesso di giudicarlo. Zaccheo finalmente si sente amato per quello che è. Gesù non pone condizioni e Zaccheo fa lo stesso. Nessuno gli ha chiesto di dare la metà dei suoi beni ai poveri, nessuno gli ha chiesto di restituire non il dovuto ma quattro volte tanto il rubato. Egli fa molto più di quanto la Legge poteva esigere. Gesù ama Zaccheo gratuitamente e Zaccheo fa lo stesso. È l'amore che cambia la vita. Ci si sente amati, perdonati, quindi ci si pente e i due se ne vanno, tra lo scandalo generale della folla.
Gesù entra nelle nostre vite e nelle nostre case così come siamo, viene a visitarci perché ha una bella notizia da portarci: «Oggi la salvezza è entrata in questa casa».