Siamo sempre in partenza! Attraversiamo il deserto della vita e portiamo ogni giorno la nostra croce. Ma non siamo soli, e tanto meno camminiamo senza meta, al contrario, siamo coscienti della voce del Padre che ci chiama e ci invia (cfr. Gen 12,1-4). Sappiamo che la meta è la trasfigurazione, la comunione piena con la Trinità e nella Trinità con tutto l’universo. 

Ma l’esperienza della trasfigurazione (cfr. Mt 17,1-9) costituisce non solo la meta da essere attinta, come pure la triplice testimonianza della fedeltà di Dio ad Abramo e alla Storia: la benedizione è attestata dall’autorità del Padre: «Questi è il Figlio mio, l'amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo».

E’ attestata dalla Storia, rappresentata da Mosè ed Elia. E’ attestata dai discepoli, primizie della Chiesa  nascente. Con Pietro, Giacomo e Giovanni, anche noi abbiamo bisogno di sicurezza, di pace; ma come loro, impariamo ad ogni giorno che, anche se non riusciamo a capire, la nostra sicurezza sta’ proprio nell’accogliere nell’abbracciare l’obbedienza del Figlio, seguirlo mentre cammina verso il Golgota.

 Anche lì lo vedremo trasfigurato, l’uomo del dolore perché ha preso su di sé tutte le nostre brutture con quelle di tutta l’umanità. Anche lì dobbiamo dire con Pietro: Signore, è bello per noi essere qui! Nel tuo volto trasfigurato dal dolore incontriamo la pace e la bellezza della nostra immagine, guardando Te, il volto dei fratelli diventano familiari, e se la morte che hai condiviso con la nostra natura sembrava essere la fine del cammino, invece scopriamo che essa sta solo all’inizio del monte, dove saliamo con Te Signore, per raggiungere la meta luminosa della Pasqua.

Il cammino è esigente e costa fatica, ma la comunione fraterna, nonostante i nostri limiti e fragilità, è sostegno e garanzia. Siamo eredi di una «vocazione santa che ci è stata data in Cristo Gesù fin dall'eternità, rivelata ora, con la manifestazione del salvatore nostro Cristo Gesù. Egli ha vinto la morte e ha fatto risplendere la vita e l'incorruttibilità per mezzo del Vangelo» (cfr. 2Tm 8b-10).

                                                                                                                          suor Maria Aparecida

Dopo aver ricevuto il battesimo, Gesù è "trasportato" dallo Spirito nel deserto per essere tentato. Il deserto nella tradizione d'Israele è il luogo della prova, il luogo in cui si verificano le proprie scelte ed è una situazione esistenziale per tutti e Gesù vi si trattiene per quaranta giorni affrontando un digiuno teologico, ma dopo quaranta giorni sente il bisogno di cibarsi della Parola per poterla poi donare. Il termine tentazione, per noi credenti, è un termine ambiguo perché vuol dire essere spinti a commettere una trasgressione, ma per le Sacre Scritture vuol dire invece "mettere alla prova", per vedere cosa c'è dentro di noi.

            La prima tentazione: sostituire Dio. «Se sei figlio di Dio, dì a questa pietra che diventi pane». L'uomo è tentato da sempre di credere che tutto il suo futuro risiede nelle cose materiali, anche in un pezzo di pane, ma Gesù gli risponde: «Non di solo pane vive l'uomo». L'uomo non deve implorare solo pane, ma vita, amore, felicità e vivere di ciò che viene dalla bocca di Dio per questo ne sente profonda nostalgia.

            La seconda tentazione: una sfida a Dio. «Se tu sei Figlio di Dio, gettati giù». È la provocazione di sempre quella cioè di volere un Dio a nostra completa disposizione, pronto a intervenire all'occorrenza ma Gesù gli risponde: «Non mettere alla prova il Signore Dio tuo». È la tentazione di ridurre la presenza di Dio allo spazio del miracoloso, una fede spettacolare, fatta per rispondere all'ansia di sicurezza che induce a cercare continuamente segni di conferma. Insomma, è la tentazione di avere Dio sotto controllo e magari cercando di raggirarlo con preghiere e digiuni. E le tentazioni non ci mollano nemmeno quando ci si trova in luoghi sacri, anzi, qui si fanno più sottili; e in questa terza tentazione, infatti, satana alza il tiro: «Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai».

            Nelle due tentazioni precedenti il satana voleva mettere alla prova l'effettivo potere di Gesù; questa, invece, è la tentazione di mercanteggiare con Dio. Satana invita Gesù a essere realista ed è come se dicesse: Il mondo ha dei problemi, risolvili! La gente ti chiederà miracoli, guarigioni, esaudiscili! Ma Gesù gli risponde: «Vattene satana - il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto».

            Nel deserto Gesù ha dovuto scegliere da che parte stare e ha scelto di giocarsi la vita puntando sull'amore. Egli, solidale con la nostra umanità, vive l'esperienza delle tentazioni perché l'unico modo per andare oltre è solo ed esclusivamente amare.

                                                                                                                          don Franco Bartolino

Puntualmente ritorna la Quaresima! Un tempo importante che personalmente aspetto con grande interesse e anche con gioia perché è un tempo che “mi sta a cuore!”. È un tempo per me, per voi, sorelle carissime: è un dono, un’opportunità che anche quest’anno ci viene regalato. Prendiamo coscienza di questa opportunità e chiediamoci subito: per fare cosa? Come vogliamo vivere questa Quaresima? Vi suggerisco di trovare una risposta a partire dalla realtà storica che stiamo vivendo.  Lo sguardo sulla condizione umana e planetaria che stiamo attraversando può essere guidato dalle riflessioni attente e profonde di un grande pensatore contemporaneo, Edgar Morin che scrive: «Se fossi guidato solo dal lume della ragione, dovrei dire che il mondo va verso la catastrofe, che siamo sull’orlo dell’abisso. Tutti gli elementi che abbiamo sotto gli occhi ci prospettano scenari apocalittici: guerre, terremoti… Ma nella storia dell’umanità esiste l’imprevisto, quel fatto inatteso che cambia il corso delle cose. Ecco perché, in fondo, sono ottimista».

 Noi tutti sappiamo che esiste un imprevisto, che nella nostra esistenza si mantiene forte l’attesa di qualcosa di grande. È l’urgenza della speranza che non può essere resa pia illusione, non si riduce al desiderio di un “miracolo” che cambi tutto improvvisamente. Abbiamo tutti compreso che le varie speranze, le illusioni, i sogni miracolistici ci fanno cadere ancor di più nella disperazione. E mentre avvertiamo il bisogno di speranza siamo colti da una terribile paura. La paura è la nuova ideologia! Attanaglia tutti perché insieme alla parola crisi si declina in tante forme diverse spingendo l’esistenza ad una deriva che oscilla tra la rassegnazione e fatalismo, pessimismo ed indifferenza.

Per vincere, o tentare di contrastare almeno, la deriva alla disperazione, possiamo dare fiato alla speranza che è figlia della conversione. La speranza dell’imprevisto si accende soltanto con un cambiamento. Per questo la Chiesa propone la “conversione” nel tempo quaresimale. E il paradigma della Quaresima quest’anno può essere: “liberare in noi la speranza che è figlia della conversione”. Se ci convertiremo torneremo a sperare e la rinnovata speranza genererà in noi il cambiamento. Dobbiamo lavorare e impegnarci sulla conversione per fare veramente Pasqua. A partire da cosa? Spesso dichiariamo che vogliamo cambiare, ma non sappiamo da dove cominciare.

            Ho trovato un ottimo suggerimento in una pagina del diario del cammino interiore di Esther Hillesum, ebrea olandese, uccisa ad Auschwitz, scrive: «Non vedo nessun'altra soluzione, veramente non ne vedo nessun’altra, che quella di raccoglierci in noi stessi e di strappare via il nostro marciume. Non credo che si possa migliorare qualcosa nel mondo esterno senza aver prima fatto la nostra parte dentro di noi. È l'unica lezione della guerra: dobbiamo cercare in noi stessi, non altrove».

            Questo è il percorso da compiere per la conversione: vivere e agire a partire dall’interiorità, tesoro nascosto di forza e di pace, verso l’esteriorità.  Questo può essere il vero esodo pasquale della nostra vita: dal di dentro al di fuori di noi! Lavorare su noi stessi è il compito più difficile ma più liberante e significante! “Lavorare sulla propria anima” che è quanto di più importante abbiamo perché ha un destino che ci sorpassa, e noi lo crediamo. Se vogliamo fare Pasqua, cioè “andare oltre” dobbiamo avventurarci in questo viaggio dal di dentro al di fuori.

            Rivolgo a tutte voi un appello: dentro la nostra anima scopriamo una grave malattia da cui dobbiamo guarire tutti. La malattia dell’egoismo, come l’ha definita qualcuno, essa è una sindrome spirituale e psicologica che determina il ripiegamento narcisistico dell’io su sé stesso e ne compromette la disponibilità a vivere “con” e “per” gli altri in spirito di dedizione. Ed è una malattia che a lungo andare, se non è riconosciuta e curata uccide l’io che si irrigidisce sempre di più snaturando la sua identità. Allora dobbiamo curare la nostra anima e la Quaresima è un’ottima opportunità.

            Il cammino di questa Pasqua, l’esodo che siamo chiamati a fare in questi 90 giorni: si tratta proprio di 90 giorni: 40 del Tempo di Quaresima e 50 del Tempo di Pasqua che si conclude con la Pentecoste. Abbiamo un tempo lungo, unico per fare il nostro cammino di liberazione e di conversione. Questo percorso ci può far vivere la “compatibilità cristologica”, il nostro cercare di conformare la nostra vita a Cristo. Non è né impossibile, né difficile se siamo costanti nella preghiera personale e comunitaria, se pratichiamo astinenza e digiuno e se viviamo nella carità.

            Concludo con le parole illuminanti di Dietrich Bonhoeffer: «Alla domanda su «che cosa» è la vita si risponde indicando «chi» è la vita. La vita non è una cosa, un'entità, un concetto, ma una persona, e una persona unica e ben determinata, non in quello che essa ha in comune con gli altri ma nel suo io: l’io di Gesù. Egli pone questo suo io in drastica contrapposizione con tutti i pensieri, i concetti e le vie che pretendono di costituire l’essenza della vita. Non dice: io ho, ma io sono la vita». «Io sono la vita» (Gv 14, 6; 11, 25).

            Scrive ancora Bonhoeffer: «È ormai impossibile separare la vita dall'io di Gesù, dalla sua persona».  Preghiera, digiuno, astinenza, carità sono condizioni essenziali per fare verità su noi stessi e per raggiungere la consapevolezza, come afferma san Paolo che “Cristo è la mia vita” (Fil 1, 21) e che quello che è vero della mia vita è vero di tutto il creato.

Buon esodo di liberazione a tutte voi, carissime!     

                                                                                                                         don Franco Bartolino

Una delle pagine più difficili da accettare è questa pericope di Matteo. Il brano riguarda le nostre relazioni. Il Signore non ci chiede perfezione nei codici o nei regolamenti, ci vuole perfetti, certo, ma nell'amore. In una società primitiva la legge del taglione aveva l'intento di circoscrivere la vendetta entro certi limiti. Affermava la responsabilità personale delle proprie azioni, l'uguaglianza delle persone davanti alla legge e la giusta proporzione tra il reato e la punizione e cercava di porre un argine al male. Se gli altri ci feriscono, manteniamo sempre vivo l'amore perchè porgere l'altra guancia, mostra la nostra capacità di amare. Gesù non ci propone di essere deboli, anzi, ci chiede di fare il primo passo, perdonando.

Amare è una faccenda tremendamente seria e Gesù ci chiede di non scendere a patti con il male. Era normale odiare i nemici e Gesù invece cosa dice? «Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano» ed è l'insegnamento più sconvolgente e più radicale. Egli ci propone una dilatazione dell'amore: il tuo prossimo è anche il tuo nemico. Tutto il Vangelo è qui: amatevi, altrimenti la vittoria sarà sempre del più violento, del più armato e del più crudele. Il Maestro non scherza, ci chiede il meglio di noi cioè un amore che chiama a raccolta tutte le forze che sono nell'uomo. È un amore che ci rende perfetti come il Padre che è nei cieli, ed è un amore che ci rende quello che siamo: figli del Dio amore. Facciamo sorgere un po' di speranza a chi ha il buio dentro. A volte basta un ascolto fatto col cuore per far sorgere il sole negli occhi di una persona. Gesù sembra essere esigente: amate, pregate, benedite, fate il modo che Dio ha di comunicare la sua forza divina e non sono dei comandi, ma una possibilità. Un giorno il nostro cuore sarà il cuore stesso di Dio e allora saremo capaci di un amore divino che ha il sapore dell'eternità.

                                                                                                                                               don Franco Bartolino

Con il brano evangelico odierno, continua la lettura del discorso della montagna. Dopo quello dedicato alla nuova legge delle Beatitudini ed alle caratteristiche del discepolo (sale della terra e luce del mondo), Gesù dichiara la sua posizione nei confronti di quello che era l'elemento fondamentale della religione ebraica: la Legge di Mosè.

Nel lungo brano di oggi afferma che con la sua predicazione la legge non viene abolita, ma portata a compimento. In filigrana possiamo leggere i problemi che la comunità di Matteo doveva affrontare nel suo passaggio dalle usanze ebraiche alla nuova religione, annunciata da Gesù. Anche Paolo dovette pronunciarsi su questo argomento e fu molto duro, accusando la Legge di essere addirittura "complice del peccato".

 Matteo assume una posizione più conciliante, non distrugge il passato, ma indica la "incompletezza" di una legge ed invita a cogliere i valori che in essa erano racchiusi. Le parole del Signore non sono semplici ingiunzioni o precetti alla cui osservanza è promessa la nostra beatitudine futura, ma modalità di partecipazione alla stessa vita divina, spazi di comunione con lui e con i fratelli, luoghi di intimità.

Il senso della nostra vita si gioca non nel fare semplicemente il bene, ma nel farlo per entrare nel segreto di Dio. E’ un’intimità che fa vivere la vita dentro un’obbedienza ed un’alleanza che sperimentiamo a nostro favore; un’intimità capace di riempire il cuore e di rendere la vita degna di essere vissuta.

Gesù comunica con vigore le esigenze di una vita segnata dall’essere figli di Dio e dalla fraternità verso tutti e partendo da Mosè che dona la Legge sul monte Sinai, fa capire il precetto della legge ebraica e lo fa da Maestro. La sua posizione – seduta - ricorda l’atteggiamento del rabbi ebraico che interpreta la Scrittura ai suoi discepoli. Gesù stesso aveva dato l’autorità di estrarre dal loro «tesoro cose nuove e cose antiche».
Il suo messaggio si concentra sulla felicità in senso biblico, che pone l’uomo nel giusto rapporto con Dio, con la totalità della vita: una felicità legata alla realtà stessa del regno dei cieli. Nella seconda parte del brano evangelico viene sviluppato il tema della «giustizia» del regno dei cieli.                         
      Negli esempi che porta, Gesù mostra la reale intenzione di Dio per l’uomo quanto all’esigenza della santità della vita, perché non ci si chiuda nella menzogna. Non basta evitare di uccidere, Gesù svela la natura omicida dell’ira, del disprezzo, della ribellione contro il proprio fratello, insita nel cuore umano. La preghiera è gradita a Dio, ma solo a condizione che il cuore l’innalzi dallo spazio di riconciliazione voluto e cercato con i propri fratelli.

 La giustizia superiore alla quale Gesù invita i suoi discepoli non si riferisce ad opere diverse da quelle comandate in precedenza, ma alla percezione ed alla fedeltà all’intenzione segreta di Dio, a cui le opere rimandano. Il compimento di cui parla Gesù non allude all’aggiunta di qualcosa, ma alla radicalità dell’esperienza, che risalterà in tutto il suo splendore nel momento della sua passione e morte, che mostra la profondità e la bellezza della promessa di Dio, racchiusa nei comandamenti, perché l’uomo possa godere della comunione con il suo Dio, dentro un’umanità solidale.

                                                                                                                   sr Annafranca Romano

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Nel nostro nome "Piccole Missionarie Eucaristiche" è sintetizzato il dono di Dio alla Congregazione. Piccole perchè tutto l'insegnamento di Madre Ilia sarà sempre un invito di umiltà, alla minorità come condizione privilegiata per ascoltare Dio e gli uomini.
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