La solennità di Pentecoste, a 50 giorni dalla celebrazione della Pasqua, ci riporta nel cenacolo dove gli apostoli, insieme a Maria, sono in attesa del promesso Spirito Consolatore che Gesù aveva anticipato di inviare, dopo la sua Ascensione al cielo.
Nella prima lettura gli Atti degli Apostoli ci raccontano ciò che avvenne in quel momento e quello che avvenne subito dopo con gli effetti della discesa dello Spirito Santo. Infatti "a quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: «Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa?».”(At 2, 6-8)
Questo è il chiaro segno che il miracolo della Pentecoste si era ormai compiuto: l'unità dell'umanità in un solo grande progetto di amore, comprensione, dialogo, fraternità.
Da qui parte la Chiesa della missione e in missione per portare l'annuncio della gioia e della salvezza in ogni angolo della terra.Annuncio che diviene possibile solo con la forza e il coraggio donatici dallo Spirito.
Nella seconda lettura di oggi, tratta dalla sua lettera ai Galati, ci viene illustrato il cammino spirituale che il cristiano è chiamato a percorrere in ascolto dello Spirito Santo. L’apostolo Paolo raccomanda di camminare secondo lo Spirito per non tendere a soddisfare il desiderio della carne: i desideri della carne e quelli dello Spirito si oppongono a vicenda. Se il cristiano si lascia guidare dallo Spirito, non sarà sotto la Legge.
Gesù aveva preparato il gruppo degli apostoli all’accoglienza dello Spirito dicendo che “quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me; e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio". (Gv 15, 26-27)
Uno Spirito che conferma la fede degli apostoli e che li sosterrà nel loro ministero di portare il Vangelo in ogni parte del mondo.
Chiediamo allora con forza al Signore il dono del Suo Spirito affiche questo ci renda annunziatori audaci , senza paura, che annuncino al mondo la loro fede e la loro speranza… sempre!
A quaranta giorni dalla Pasqua celebriamo l'Ascensione del Signore Gesù in attesa della Pentecoste. Fino al V secolo si celebrava tutto in un'unica festa: Resurrezione, Ascensione e Pentecoste; perché queste tre feste fanno parte dell'unico evento: la Risurrezione.
Oggi celebriamo due partenze: Gesù va verso il Padre e gli apostoli sono invitati ad andare verso il mondo per annunciare la bella notizia di un Padre che ci ama alla follia. È la prima Chiesa in uscita. “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura" (Mc 16,15). Tutta la creazione ha bisogno di buone notizie e di questi tempi di quante “buone notizie” ne abbiamo veramente bisogno.
Oggi anche noi riceviamo questa consegna: cosa dobbiamo fare? Solo e semplicemente annunciare questa bella notizia e niente altro. Gesù chiede di continuare il ministero della Parola che aveva formato la sua principale attività.
A noi, per quanto sgangherati, il Signore affida il Vangelo, come tesoro custodito in fragili vasi di creta. Quando annunciamo il Vangelo, diciamo parole infinitamente grandi perché hanno sapore d'eternità. E Gesù assicura che ce la faremo a trasmettere la Parola anche se le difficoltà ci sembreranno insormontabili, ma l'ultimo versetto è la fonte della nostra certezza: “il Signore operava insieme con loro”. Noi non siamo mai soli con le nostre forze, con noi ci sarà sempre la forza di Dio.
Possiamo essere certi che la nostra fede è autentica se da speranza, se conforta la vita e fa fiorire sorrisi intorno a noi. E il prodigio sta in una parola: il Signore opera insieme a noi. Il Signore opera con te quando offri un bicchiere d'acqua, quando accudisci un ammalato, quando aiuti un povero, quando offri una parola di conforto.
L'Ascensione prepara l'arrivo di un’altra Persona: lo Spirito Santo. In fondo l'Amore funziona così: chi ama è disposto a fare un passo indietro affinché l'altro diventi protagonista, emerga con la sua diversità e la sua specificità. L'Ascensione è il passo indietro di Gesù, un passo indietro necessario affinché lo Spirito Santo possa davvero sconvolgere le nostre vite.
La liturgia di questa 6^ domenica di Pasqua ci apre all’amore del Padre, che passa attraverso il cuore di Gesù e giunge sino a noi.
Un amore narrato e, nel contempo incarnato, fino all’annullamento sulla croce, dove la morte si fa dono di vita per tutti. Questo amore ci unisce ancora oggi gli uni agli altri e ci lega a Cristo, proprio come i tralci che devono restare attaccati alla vite perché al di fuori di questo legame non avrebbero alcuna possibilità di vita. Esso diviene oggi, più che mai, comando da custodire per restare in Cristo. Si tratta di un comandamento antico, perché pronunciato da Gesù fin dall’inizio, ma anche nuovo, perché ultimo e definitivo, in quanto in esso trova sintesi e compimento tutta la Legge. Non si tratta di dottrine, ma di atteggiamenti esistenziali, che prendono spunto dall’amore di Cristo, che procede dal Padre e grazie all’azione dello Spirito Santo raggiunge noi e, tramite noi gli altri per ritornare nuovamente al Padre come frutto di fede e testimonianza dell’uomo che ama e quotidianamente incarna la Parola nella sua vita.
Gesù ci fa capire che il nostro amore dev’essere effettivo e deve manifestarsi nell’osservanza dei comandamenti, ma soprattutto nella vita concreta, attraverso le opere. Gesù ci rivela che il suo amore è pieno di delicatezza e di generosità, dicendoci: “Voi siete mieiamici…Non vi chiamo più servi…”.In questa straordinaria sinergia di amore e conoscenza, l’uomo non è chiamato ad essere servo, ma amico: viene ribaltata la logica antica della distanza e sottomissione che definiva il rapporto tra la divinità e l’uomo.
Gesù non può pensare ad un rapporto che non sia quello proprio dell’amicizia. Essere amici di Gesù vuol dire essere chiamati a divenire responsabilmente partecipi del progetto di vita che Dio ha per il mondo, conoscerne la missione e il significato.
Per essere in comunione con Dio occorre assumere i suoi stessi atteggiamenti. Il primo passo non è amare, ma lasciarsi amare. Per poter amare bisogna fare prima l’esperienza dell’essere amati, è l’esperienza propria del discepolo. Non è un amore che ci lascia uguali, ma ci riscatta da una sorta di condizione servile rispetto alla vita e ci eleva ad una qualità più alta. Si è amici quando ci si accorge che qualcuno ci ama fino a dare la vita per noi, ma lo si diventa quando si matura un amore disposto a dare la propria vita per gli altri. Finché l’amore in noi non diventa dono, rimane solo pretesa e chi vive nella pretesa, molto spesso è insoddisfatto.
Chi, invece, ha scoperto questo amore nuovo sente crescere dentro di sé un’intima gioia. È la gioia piena di cui parla Gesù nel Vangelo: «Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena».
Ringraziamo il Signore che ci rende partecipi del suo progetto di amore e prendiamo coscienza di dover progredire continuamente per corrispondere alla nostra vocazione cristiana e sviluppare in noi un amore universale.
Aggrappati a Gesù, come i tralci alla vite (Gv 15, 4a-5b). È l'immagine forte di questa V Domenica di Pasqua, nella quale predomina il verbo "rimanere", che segna decisivamente la qualità della nostra fede, della nostra speranza e del nostro amore. "Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi chiedete quello che volete è vi sarà fatto"...E qui, possiamo farci qualche domanda: "Cosa chiedere? Cosa veramente importa? Cosa è veramente necessario?" Gesù stesso ci indica cosa dobbiamo desiderare, cercare, chiedere, insistere: glorificare il Padre attraverso i nostri frutti. Come? Rimanendo in Gesù, rimanendo nelle sue parole. È la consuetudine con la Parola che ci purifica, rendendoci capace di amare nella verità, fidandosi più di Dio che dei nostri cuori, perché "Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa" (cfr IGv 3,18-24). Conosce ogni cosa, tutto conduce secondo i suoi disegni di salvezza, guidando la storia di ognuno personalmente e, attraverso ognuno, la storia di tutta la Chiesa come ci raccontano gli Atti degli Apostoli. È questa la forza innovativa del Vangelo: il raccontare l'azione di Dio in Cristo Gesù nella forza dello Spirito Santo. È questo che fa Paolo senza nascondere chi era prima dell'incontro con Gesù e chi è diventato dopo. Sì, c'è un prima e c'è un dopo l'esperienza con il Risorto e questo è il punto determinante di ogni vocazione. Nella misura in cui raccontiamo l'operato del Signore nella nostra vita avviene ciò che in fondo desideriamo: rimanere in Lui e Lui in 'noi. E "la Chiesa si consolidava e camminava nel timore del Signore e, con il conforto dello Spirito Santo, cresceva di numero" (cfr. At 9, 26-31): il numero è consequenza della qualità. Chiediamo a Maria, in questo mese dedicato a lei, che interceda per noi, che ci prenda per mano e ci insegni l'arte di essere discepoli del Figlio Suo nell' ascolto amoroso e attento della Sua Parola. Faremo esperienza anche noi del frutto di un amore che ci mantiene aggrappati a Lui ora e sempre.
Oggi, IV domenica di Pasqua, è la domenica dedicata alla figura del Buon Pastore. La liturgia ci offre un brano tratto dal capitolo 10 del vangelo di Giovanni (vv. 11-18) e ci presenta Gesù come Colui che conosce personalmente le sue pecore e offre la vita per loro.
Dopo aver parlato del pastore in generale nei versetti precedenti, (Gv 10,2-4), al v. 11 Gesù afferma: Io sono il buon pastore, o, per rispettare la traduzione dalla lingua originale, Io sono il pastore bello. Che sia un pastore buono lo comprendiamo dal rapporto che vive con le sue pecore: Lui le conosce e loro conoscono Lui. Questa non è una conoscenza superficiale poiché Gesù stesso paragona la conoscenza tra le pecore e il Pastore a quella tra il Padre e il Figlio.
Sappiamo, per esperienza, che nella vita si segue solo chi si conosce; possiamo dire di conoscere Gesù nella misura in cui lo seguiamo concretamente. La familiarità con la Sua Parola ci aiuta a distinguere la sua voce, quella del buon pastore, dai tanti mercenari che ci sono in giro.
Al mercenario non interessa la vita delle pecore, mentre invece al buon pastore interessano anche le pecore che non appartengono ai recinti tradizionali; nessuno è escluso dall’attenzione e dall’amabilità del buon pastore. Il Signore si presenta come Colui che ci difende dal pericolo e ci conduce ai pascoli della vita, invitandoci a seguirlo con fiduciosa sicurezza nel cammino sul quale ci precede e ci accompagna. Se Gesù, però, si fa per noi pastore che chiama, noi dobbiamo avere l’umile docilità di essere suo gregge, tendere l’orecchio e udire la sua voce.
Ascoltare la voce di Gesù è segno di disponibilità a seguirlo dovunque lui ci vuole condurre. Ognuno di noi è chiamato da Gesù perché è anzitutto amato da Lui, e nessuno quindi è privo di una specifica vocazione perché tutti siamo destinatari dell’infinito amore di Dio. Se Dio chiama, attende una risposta da parte nostra, una risposta generosa, gioiosa e contagiosa.
Lasciamoci allora ancora raggiungere dalla voce del buon pastore che ci continua ad amare e a guidare e la nostra vita sarà così un dono accolto e ridonato. Dio ci ama gratis, a noi il compito di imparare ad amare gratuitamente come Lui ci ha amati.