Le letture di questa quarta domenica di Quaresima ci fanno riflettere sull'infinito amore di Dio per l'uomo: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna».
Il Padre ha tanto amato l'umanità da mandare il Figlio sulla terra. Egli si è fatto uomo, ha condiviso la nostra condizione in tutto, fuorché nel peccato e ha dato la sua vita per la nostra salvezza, ha fatto sua la Volontà del Padre ed ha scelto di rimanere con noi tutti i giorni sino alla fine del mondo, nel sacramento dell'Eucaristia, per essere nostro sostegno e nutrimento. Quanto più si ama, tanto più si è disposti a soffrire per la persona amata. Il dolore diventa come la prova inconfutabile del vero amore. Nel Vangelo di oggi si parla della Croce. Non poteva mancare questo riferimento nel cuore della Quaresima, quando ci prepariamo a celebrare la Passione, la Morte e la Risurrezione di Gesù Cristo. Nicodemo, dottore della legge mosaica, si reca di notte da Lui per ascoltare il suo insegnamento, che si fonda proprio sul mistero della Croce. Per questo Gesù prende spunto da un episodio dell'Antico Testamento: «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna». Durante l'esodo attraverso il deserto, gli Ebrei si resero infedeli a Dio e furono puniti con l'invasione di serpenti velenosi, i quali penetrarono nell'accampamento e un gran numero di israeliti morì. Il popolo supplicò Mosè di intercedere ed egli innalzò un serpente di bronzo su di un palo così che tutti quelli che venivano morsi dai serpenti, se guardavano a quello di bronzo, avevano salva la vita. Quest’ episodio nasconde un significato molto profondo. Il serpente, che con il suo morso uccide il corpo, simboleggia il peccato che conduce alla morte dell'anima. Il serpente di bronzo, innalzato sull'asta, simboleggia Gesù che per amore si è addossato tutti i nostri peccati ed è stato crocifisso per la nostra salvezza. Chiunque guarda a Lui e crede fermamente, sarà salvato e avrà la Vita eterna. Non si tratta di una fede astratta e sterile, ma della piena adesione a quanto Dio ci ha rivelato. Per conseguire la salvezza, dobbiamo mettere in pratica quanto abbiamo conosciuto per mezzo della fede.
La salvezza diventa un gioco di sguardi. Guardando a Gesù crocifisso, comprenderemo il senso della buona notizia che Dio ha voluto comunicarci; comprenderemo l’agire di Dio, che non giudica, ma offre la salvezza a chi entra in relazione con Lui. Un Dio che non tira le somme, né fa distinzioni, ma si offre per tutti, senza calcoli. Non volgendo lo sguardo a Gesù, l’uomo si autoesclude dalla possibilità di andare oltre il livello terreno ed oltre la morte.
Gesù in croce si offre allo sguardo di Nicodemo, del popolo di Israele e dell’intera umanità. Ciò che conta è credere e tenere fisso lo sguardo su di Lui, soprattutto nei momenti di difficoltà. La constatazione amara di Giovanni è che molti amano le tenebre perché le loro opere sono lontane dalla verità di Cristo.
Concretamente, dobbiamo rinnegare le opere delle tenebre e operare quello che Gesù ci ha insegnato. Egli dice: «Il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque fa il male odia la luce». Nicodemo si muove dalle tenebre verso la luce, come ogni uomo in seria ricerca.
Oggi siamo invitati ad aprire i nostri cuori all’amore infinito di Dio e alla sua misericordia ricca di delicatezza e di generosità. In questo tempo di Quaresima la nostra gioia consiste proprio in questa apertura del cuore, per vivere una vita animata dalla giustizia, dalla carità e dalla condivisione in modo che la nostra esistenza diventi testimonianza dell’Amore infinito di Dio.
Il popolo di Israele era ormai abituato a vivere da schiavi in Egitto e quindi doveva imparare a vivere in libertà e responsabilità. La Legge data a Mosè sul Monte Sinai era la magna carta che costituiva il popolo come “popolo di Dio”. Non si trattava solo di norme di comportamento, ma il modo attraverso il quale Dio stesso garantiva la libertà e la dignità del Suo popolo. Compiere la Legge era lo stesso che firmare il patto di Alleanza con Dio; ma imparare a vivere la libertà è qualcosa che va ben oltre il deserto, perché la libertà è tale soltanto se vissuta “insieme”. Sono veramente libero quando sono capace di volere e fare il bene all’altro. La Legge quindi, costituiva lo stile di vita del popolo di Israele, e così fino ad oggi.
Per noi cristiani, la legge non è più una carta magna, ma una Persona: Gesù, il Figlio di Dio. E' il Crocifisso, scandalo per i giudei e stoltezza per i gentile, al tempo di Paolo ma anche oggi. Scegliere Gesù, non è solo un atto della nostra libertà, ma anzittutto, un atto della nostra coscienza, perché se possiamo sceglierlo è perché Egli ci ha scelto per primo, e ha dato se stesso, lasciandoci un esempio da seguire.
La Legge di Dio è santa, ma la Legge senza Gesù può essere tradotta o interpretata al modo di mercato. E quando entra la logica del mercato, entrano gli interessi, la corruzione, lo sfruttamento, l’ingiustizia, e questo Gesù non tollera perché mai il Nome di Suo Padre può essere causa di giustificazione all’oppressione, alla discriminazione, alla morte. Ecco perchè Gesù ha preso una sferza di cordicella...
Esiste un’unione molto forte tra Dio e i poveri, i bsognosi, gli ultimi... Fare mercato con il nome di Dio è togliere la libertà e la dignità dei piccoli, o quanto meno, condizionarla e questa è già una forma sottile di schiavitù. Ad ogni uomo e donna noi predichiamo Gesù che ha vinto la morte con la sua morte e ogni forma di corruzione e divisione con la sua resurrezione.
L’evangelista Marco mette al centro del suo Vangelo l’episodio della trasfigurazione proprio per ricordarci che se viviamo il Vangelo, la nostra vita si trasfigura!
Dio si è mostrato in tutta la sua seducente bellezza, perché è nell'interiorità che Dio svela il suo volto e Gesù porta Pietro, Giacomo e Giovanni a fare un'esperienza “bella” perché tutto ciò che è bello parla di Dio. Abbiamo bisogno di recuperare il senso del “bello” nella nostra vita perché la bellezza ci spinge verso Dio e le persone guardandoci dovrebbero capire che è bello credere!
Esiste per tutti noi un Tabor, esiste per tutti noi il momento in cui, per un attimo, tocchiamo il cielo con un dito e facciamo esperienza della bellezza di Dio: un cielo stellato, un tramonto radioso, una veglia di preghiera silenziosa. Sono questi alcuni momenti di “trasfigurazione”; momenti in cui prendiamo coscienza che vale la pena di vivere. Sono questi i momenti che ti danno la forza e il coraggio di affrontare le “discese” quotidiane.
Il vangelo di questa domenica tenta di dare una risposta alla domanda su che cosa rende veramente felici nella vita. In fondo, la trasfigurazione è vedere cose che si possono vedere solo con il cuore: «Beati i puri di cuore perché vedranno Dio». Per chi ha un cuore puro, tutto è puro e vede Dio in ogni cosa, anche nel dolore, perfino nella morte. Forse abbiamo smarrito la bellezza nel raccontare la fede. Abbiamo ridotto il cristianesimo a un'esperienza triste. Il Vangelo, al contrario, ci dice che credere può essere splendido.
«La bellezza salverà il mondo», afferma il principe Miškin nell'Idiota di Dostoevskij e aveva ragione e Pietro lo capirà dopo la resurrezione. La trasfigurazione ci mostra di che stoffa siamo fatti: siamo fatti a immagine di Dio! Siamo impastati di cielo. Siamo fatti tutti per il Paradiso!
Siamo all'inizio del Vangelo di Marco. Dopo aver fatto l'esperienza della vicinanza di Dio con il Battesimo, Gesù fa una nuova esperienza: quaranta giorni di deserto. È li che si decide tutto della vita, ed è li che si formano le nostre scelte. Il deserto è spietato perché ci mostra quello che siamo per questo cerchiamo di evitarlo, per questo cerchiamo di non andarci. Marco a differenza degli altri evangelisti, non dice quali siano state le tentazioni, ma ci ricorda l'essenziale: le tentazioni non si evitano, ma si attraversano! Le tentazioni sono necessarie perché non esisterebbe la scelta, scomparirebbe la libertà. Anche Gesù ha dovuto confrontarsi con il male.
Nel deserto Gesù ha dovuto scegliere quale volto di Dio annunciare. Egli annuncerà un Dio che è amore, solo amore, totalmente amore che ama tutti indipendentemente dal loro comportamento perché figli amati. Ecco la domanda che sgorga dal cuore di Gesù nel deserto: Capirà l'umanità che Dio non chiede nulla ma è Lui che si dona? Egli appena uscito dal deserto, si reca in Galilea. Predica il regno di Dio e dice a tutti di convertirsi, di cambiare vita e di credere al vangelo. Sono quattro i pilastri dell'annuncio:
- Il tempo è compiuto. È finita l'attesa. È terminato il tempo in cui l'uomo doveva fare delle cose per Dio, per accaparrarsi la sua benevolenza e la sua misericordia. È iniziato il tempo in cui Dio fa per noi e con noi.
- Il regno è vicino. Dio è vicino a te, con amore. Non devi sforzarti più di raggiungere Dio perché Lui si è fatto incontro, ha accorciato le distanze.
- Convertitevi. Non è un comando ma un invito, una preghiera. L'evangelista non usa il verbo che indica un ritorno a Dio perché Dio è già qui, è solo da accogliere. Il verbo richiama un cambiamento di mentalità che incide profondamente nel comportamento. “Vi prego”, sembra dire Gesù, “cambiate modo di pensare su Dio, su voi stessi e sugli altri”.
- Credete al Vangelo. Credete alla bella notizia. È un annuncio buono per tutti, non solo per i “buoni” ma per tutti. Intraprendiamo, allora, il viaggio quaresimale, sospeso tra cenere e acqua come diceva don Tonino Bello. Cenere in testa e acqua sui piedi. È tra questi due riti (il mercoledì delle ceneri e il giovedì santo) che si snoda la Quaresima. Una strada, apparentemente breve, ma, in verità, molto più lunga e faticosa. Si tratta di partire dalla propria testa per arrivare ai piedi degli altri. Certo, a percorrerla non bastano quaranta giorni infatti occorre tutta una vita, di cui il tempo quaresimale vuole essere la riduzione in scala.
Il vangelo di questa sesta domenica del Tempo Ordinario ci porta ai piedi di Gesù dove si trova la condizione umana più disperata per un ebreo. E’ un lebbroso ad avvicinarlo, a supplicarlo in ginocchio di liberarlo, di purificarlo.
Gesù ha appena lasciato la città di Cafarnao per recarsi in Galilea quando incontra la più temuta delle malattie, la lebbra, il male che per gravità superava gli spiriti immondi. Per comprendere questa richiesta così singolare che non è di guarigione, bensì di purificazione, occorre considerare prima la questione dell’impurità. La lebbra era ritenuta un castigo, il frutto di una maledizione. Il malato era costretto ad andare in giro gridando: “impuro, impuro!” e doveva portare abiti strappati e capelli disciolti.
Il lebbroso, impuro, doveva vivere emarginato dalla società civile, allontanato dalla famiglia e dalla sua comunità, escluso dal lavoro e dal culto, non solo per paura del contagio, ma anche perché giudicato peccatore e colpevole del suo male. Non solo il suo corpo veniva tremendamente sfigurato, ma la sua stessa identità era annientata dalla malattia. Si trattava di una sofferenza che colpiva l’uomo sia a livello fisico che sociale.
Quest’uomo, malato e peccatore, si getta ai piedi di Gesù, pieno di speranza in lui che sicuramente potrà aiutarlo. Questo primo movimento verso il Signore è un vero e proprio atto di fede perché implica il riconoscimento di un Dio che salva. Il lebbroso, nella sua disperazione, prova ad oltrepassare la soglia che lo separa dagli altri e che forzatamente lo tiene lontano da Dio.
La risposta di Gesù è immediata e parte dalle sue stesse viscere: ‘profondamente commosso’ si fa vicino alla sofferenza dell’uomo ‘soffrendo con’ lui, stende la mano fino a toccarlo il lebbroso, superando lo sbarramento che la società e la religione avevano imposto. Toccando lo scomunicato, improvvisamente si ristabilisce una relazione con Dio, che annulla le distanze tra il puro e l’impuro e svela agli occhi del mondo il volto del Signore che, ben lungi dall’essere lontano dal peccato e dalla morte, è invece accanto a noi, anzi così vicino, da toccarci.
Gesù agisce “sporcandosi le mani”, prendendo su di sé il male di quest’uomo, divenendo lui stesso lebbroso e impuro perché chi tocca un impuro resta impuro fino a sera e si carica, così, di ogni “impurità” dell’uomo. Gesù di Nazareth è l’agnello di Dio, colui che porta su di sé il peccato del mondo.
Una volta liberato dal suo male, il lebbroso verrà reintegrato nella sua comunità, mentre Gesù, al contrario, sarà il reietto, l’espulso che morirà come un maledetto fuori le mura di Gerusalemme. Infine, accade che, pur essendo stato ammonito da Gesù a non rivelare quanto era avvenuto, l’uomo liberato dal suo male non può tacere l’esperienza di grazia che ha vissuto e diventa testimone ed annunciatore di ciò che il Signore ha compiuto, proclamando la “buona novella” della propria salvezza.
Il lebbroso, l’immondo, l’impuro diventa discepolo. Accadrà qualcosa di simile anche il giorno di Pasqua, quando la prima ad annunciare la risurrezione sarà proprio Maria di Magdala, perdonata e accolta da Gesù dopo l’esperienza di peccato ed emarginazione.
Come il lebbroso, anche noi siamo chiamati a risollevarci dalla miseria del male che ci separa da Dio e dagli altri, certi della Sua misericordia: “non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; non sono venuto per chiamare i giusti ma i peccatori”.
E’ questa la parola che ci rimette in piedi e ci spinge ad andare avanti, forti della misericordia e dell’amore infinito di Dio, che superando tutte le umane barriere, ci accoglie come suoi figli e ci rigenera interiormente.