È duro il Vangelo di questa domenica perché ci chiede di liberarci da quelle esperienze demoniache di fede che ci allontanano dal Dio rivelato.
Gesù entra nella sinagoga di Cafarnao e si mette ad insegnare. Egli non partecipa al culto ma prende lui l'iniziativa e le persone sono colpite dal suo modo di insegnare: “Non come gli scribi ma come uno che ha autorità”. Ed proprio a loro che Gesù dirà: “Insegnano dottrine che sono precetti di uomini”, spacciando per “leggi di Dio”, norme e regole prodotte da loro. Marco ci sta dicendo che la prima liberazione, avviene dentro la comunità, nel luogo della preghiera e dell'incontro. Pertanto siamo invitati a partire da "dentro", da quell'impasto di santità e di peccato, di slanci e di fatiche, che sono le nostre comunità.
Perché Marco mette proprio all'inizio del suo vangelo questo episodio? L'indemoniato, simbolo di tutte le obiezioni che ci impediscono una fede autentica, abita anche nelle nostre chiese e nelle nostre comunità, per questo la sua affermazione è terribile: "Che c'entri con noi, sei venuto per rovinarci!"
Il Vangelo è liberante per chi ama la vita, ma straziante per chi ama semplicemente obbedire. Per essere trasformati dalla Parola occorre stare in silenzio, fermarsi, e questo la pandemia può essere un'occasione: interrompere le frenesie pastorali e dare tempo al seme gettato di marcire e portare frutto. Gesù oggi ci dice: “Vuoi vivere? Non importa se tu sei buono o cattivo, puro o impuro. Se hai questo desiderio, vieni e seguimi.
Il Vangelo di oggi (Mc 1,14-20), quarta domenica del tempo ordinario, ci racconta gli inizi del ministero di Gesù. Il tempo è compiuto, il regno di Dio è vicino: convertitevi e credete al Vangelo! In altre parole, è finito il tempo dell'attesa, Dio è venuto nella storia diventando uno di noi! Gesù mostra l'inizio di questo regno guarendo, liberando, guarendo, abbattendo muri e divisioni.
Ora è il momento di decidersi per il Signore, di cambiare orientamento del cammino,credendo in Gesù e nel Suo Vangelo. Gesù inizia la sua missione mettendosi alla ricerca di coloro che gli saranno più vicini in quest’opera di salvezza. Essi rispondono generosamente e decidono di seguirlo, senza condizioni, senza calcoli, né riserve. Tutti, in quanto battezzati, siamo chiamati a seguire il Signore e la chiamata alla fede può avvenire in tanti modi. In ogni chiamata del Maestro ci sono delle caratteristiche comuni; innanzitutto l'iniziativa è di Gesù. Dietro ogni conversione e vocazione l'iniziativa è sempre del Signore. È lui che passando, fa udire interiormente la sua voce, parlando a ciascuno secondo le proprie capacità e possibilità.
La chiamata poi, avviene nell’ordinarietà della vita di ognuno: i discepoli vengono chiamati mentre stanno lavorando, il Signore può passare in qualsiasi momento della vita e proporci qualcosa di più. Seguitemi! La vita cristiana è seguire una persona, Gesù. Questo significa cambiare modo di pensare, lasciandosi guidare da lui attraverso il Vangelo. Vi farò diventare pescatori di uomini. Gesù apre al futuro: i discepoli al momento in cui lasciano tutto per seguirlo non sono ancora perfetti, dovranno crescere, imparare. La conversione non si esaurisce in un momento, ma è un cammino che dura tutta la vita. Seguire Gesù non toglie nulla, anzi, dà pienezza, eleva: da semplici pescatori a pescatori di uomini. E subito i discepoli lasciarono le barche e il padre, per essere liberi di amare e seguire totalmente il Signore Gesù, per mettersi al servizio del Regno, che è il fine della nostra vita. Chiediamo al Signore di renderci capaci di ascoltare la sua voce per poterlo rispondere, ognuno a suo modo, ognuno rispondendo alla sua chiamata. Chiediamogli di renderci capaci di saper lasciare il tutto di noi per poter accogliere Lui, il suo Regno e far si che altri, possano incontrare Lui.
Per riconoscere Dio che passa non basta guardare, occorre fissare lo sguardo. L'amore funzione così: uno sguardo che ti entra dentro e vede ciò che tu non vedi. Sembra che l'intreccio degli incontri tra Giovanni, Gesù e i discepoli, sia governato dalla casualità: per caso Giovanni stava lì con i suoi discepoli e per caso Gesù passa proprio davanti a loro. Giovanni non era lì per aspettare Gesù, ma appena lo vede non se lo lascia sfuggire! Ci sono due domande: “che cercate?” e “dove abiti?” e una risposta: “venite e vedrete”.
Gesù inizia la sua predicazione con una domanda provocatoria, che non lascia spazio alle banalità della retorica religiosa, che ci sveste dalle nostre certezze e ci obbliga ad andare al cuore della nostra ricerca e dei nostri desideri: “Cosa cercate?”.
Con questa domanda Gesù si rivolge ai nostri desideri profondi, fa appello non all'intelligenza, ma al cuore. La stessa domanda la pone a noi oggi: Cosa cerchi nella fede? Consolazione, rifugio? Perché vai a Messa? Per paura? Perché sei cristiano? Per abitudine, per tradizione? Gesù non chiede sacrifici, rinunce, impegni e sforzi. Ci chiede di entrare dentro noi stessi, di conoscere il nostro cuore, per capire che cosa appaga profondamente la nostra vita.
“Dove abiti?”, chiedono i discepoli. Non cercano informazioni religiose e non ambiscono a indottrinarsi con le parole del maestro di turno. Desiderano invece un incontro, una relazione. Mi chiedo quanto nelle nostre comunità è ancora vivo questo desiderio, questa passione di incontrare Gesù e di fare l'esperienza della Sua presenza. Gesù ti propone un cammino. Se lo vuoi, lo percorri. E non ha fatto una catechesi, ha detto solo: “Venite e vedrete” cioè: “State un po' con me, venite a casa mia, ascoltate quello che dico, guardate quello che faccio”.
Certamente non lo troveremo mai nei luoghi dove la vita è già stabilita, lo troveremo solo dove la vita scorre perché è la vita che guarisce la vita. Dio non si incontra solo in chiesa, ma nella vita e in chiesa lo incontri solo se la chiesa è vita.
In questa seconda domenica dopo Natale, voliamo altissimo in compagnia del teologo Giovanni che fissò nel suo Vangelo la profondità di Dio. Giovanni, ultimo evangelista a scrivere, non racconta nulla della nascita di Gesù ma cerca di spiegare il senso della sua nascita. Egli risponde soprattutto alla grande domanda: "Dov'è Dio?". Per lui la risposta è chiara: Dio è qui! Guardati attorno, guarda bene perché Lui è vicino ed è dentro di te.
"Il Verbo si è fatto carne". Tutto ciò che esiste è "Dio" se hai occhi per vederlo, ma tutto ciò che esiste è nulla se non hai occhi per vederlo. Tutto è niente, se rimani in superficie, tutto è vita, se raggiunge il tuo cuore. Se il Verbo si è fatto carne allora vuol dire che tutto ciò che esiste parla di Lui.
“La luce splende nelle tenebre e le tenebre non l'hanno vinta”. La luce è ostinata, Dio è ostinato, non si dà per vinto. Il nostro peccato, la nostra indifferenza, non potrà mai fermare il Suo amore.
“Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto”. Il Natale è la descrizione di un incontro tra Dio e l'uomo dove l'uomo semplicemente non c'è. In fondo c'è ben poco da festeggiare ed è per questo che nei secoli abbiamo sentito il bisogno di ricoprire questo evento di tanto miele. Per attendere qualcuno bisogna essere pronti a farsi sorprendere.
“A quanti l'hanno accolto ha dato il potere di diventare figli”. Ecco in sintesi il Vangelo. Perché è venuto? Perché gli uomini diventino figli di Dio e diventare figli è una strada infinita, un cammino che ha sapore di eternità.
C'è una piccolissima parola, nel Vangelo, che ci spiega con semplicità questo cammino. La parola è l'avverbio “come”. Una parola che da sola non ha molto senso, che rimanda oltre. Siate perfetti come il Padre; siate misericordiosi come il Padre; amatevi come io vi ho amato. Figli di Dio allora non si nasce, lo si diventa.
Allora ripartiamo da qui, dalla certezza che il tempo che Lui ci dona è pieno della Sua presenza. È la nostra quotidianità il luogo in cui possiamo fare esperienza di Dio. In questo nuovo anno, impariamo a dare ordine alle vere priorità. Ogni spazio e ogni luogo delle nostre giornate è tempo per incontrarlo, un'occasione per gustare la Sua presenza per sempre.
Il vangelo di questa domenica (LC 2,22-40), in cui si celebra la festa della Santa Famiglia di Nazareth, ci offre la scena della presentazione di Gesù nel tempio di Gerusalemme.
Il racconto è ambientato nel tempio, il luogo della presenza di Dio; Maria e Giuseppe, obbedienti alla legge ebraica, entrano nel tempio come membri del popolo di Dio per offrire il primogenito al Signore e per la purificazione della madre. Ma, entrati nel tempio, protagonista della scena diventa la profezia del vecchio Simeone, che, guidato dallo Spirito Santo, riconosce in Gesù il Messia atteso e lo manifesta attraverso una professione di fede: egli ha visto il Salvatore, gloria del popolo d’Israele, luce e salvezza per tutte le genti.
Questa luce però avrà le sfumature del dolore, perché Gesù sarà segno di contraddizione, e la stessa Maria sarà coinvolta nel dolore del figlio. L’atteggiamento evangelico al quale oggi veniamo spinti, è quello della donazione di se stessi a Dio e ai fratelli; amare sull’esempio di Gesù significa donarsi, dimenticare se stessi, cercare il bene degli altri fino a sacrificare i propri interessi, le proprie idee, la propria stessa vita.
È questo lo stile con cui ha vissuto la santa Famiglia di Nazareth, è questo lo stile al quale vengono oggi invitate tutte le famiglie cristiane: gratuità, servizio. Amore che si dono a tutti con generosità.
La Santa Famiglia non era una famiglia senza difficoltà; Nazareth ci insegna che Dio viene ad abitare in casa, che nella quotidianità e nella ripetitività dei gesti possiamo realizzare il Regno, fare un’esperienza mistica, crescere nella conoscenza di Dio, è solo la Sua presenza che dona forza, serenità e pace.