Il momento che stiamo vivendo in questo tempo di pandemia, ci rende più che mai familiari con il gruppo degli apostoli rinchiusi nella sala: anche loro sono costretti a dire: “io resto a casa!”.

            Quel primo giorno di Pasqua ciascuno di loro era chiuso nel suo mondo, nei suoi dubbi, nelle sue speranze, nella sua tristezza, tutti schiavi della paura come noi in questi giorni. Solo Tommaso era fuori: “non era con loro quella mattina di Pasqua” come ci racconta Giovanni nel suo Vangelo. Certamente oggi, la Pubblica Sicurezza l’avrebbe fortemente multato! Tommaso aveva invece preferito rinchiudersi ancora di più in un'esperienza di fede individuale e solitaria.

            La prima apostola, Maria Maddalena, era appena tornata per la seconda volta dal gruppo rinchiuso nella casa. Questa volta però aveva annunciato loro, di aver visto il Signore Gesù e che l'aveva chiamata per nome. Quale risposta ricevette dal gruppo? Un silenzio pesante! Il cuore era indurito, chiuso, come erano chiuse le porte del luogo in cui si nascondevano.

            Anche noi da sempre viviamo una dolorosa esperienza di cuori induriti, dalla subdola tentazione del voler pretendere di bastare a noi stessi, da quel delirio di onnipotenza di avere tutto sotto controllo e invece stiamo toccando con mano la vulnerabilità della nostra condizione umana, la paura della morte che ci può travolgere a causa di un demonio così invisibile e micidiale come ricordavo nel giorno di Pasqua e  assistendo impotenti alla strage degli innocenti: i nostri anziani nelle case di riposo; i poveri delle periferie costretti a bruciare i corpi dei loro cari abbandonati in strada.

            Eccoci allora chiusi in casa come gli apostoli, con tutto il travaglio interiore a macinare e frantumare la durezza del nostro cuore, divenuto un cuore frantumato ancora incapace di sentire gioia. Eppure la Parola di Dio di questa Domenica Seconda di Pasqua o della Misericordia, irrompe nel nostro pesante isolamento.

            Tra le cose più belle che si potrebbero dire di un funzionario pubblico, o di un operatore pastorale, o di un presbitero, o di una consacrata, c'è sicuramente quello di essere una persona capace di comprendere e di stare fra la gente. È bello e gratificante quando ti senti dire dalla “tua” gente che si sente da te compresa, capita, accompagnata, parli il loro stesso linguaggio, condividi la loro quotidianità, stai in mezzo a loro senza atteggiamenti di superiorità, ma è soprattutto il Vangelo di oggi a ricordarci che dobbiamo imparare a sentirci sempre meno "alla testa del gruppo" e sempre più "in mezzo alla gente", senza per questo rinunciare al ruolo di guida all'interno di una comunità, naturalmente con le dovute cautele.

            L'episodio suggestivo che l'evangelista lo ripete per ben due volte nell'arco di pochi versetti: ossia, che Gesù risorto venne nel luogo dove i discepoli si trovavano a porte chiuse e "stette in mezzo" è l'esatto opposto che "stare alla testa del gruppo": significa non sedersi sullo scanno dell'autorità, pronto solo a giudicare ed emettere sentenze, ma mettersi in mezzo, parlare con loro, ascoltarli e cercare di comprenderli nella loro angoscia di aver rinnegato il Maestro e di essere fuggiti quand'egli veniva crocifisso. Gesù invece di sedersi di fronte a loro, pronto a giudicarli per il loro atteggiamento, "sta in mezzo a loro" perché così essi, facendosi tutt'intorno a lui, possano essere raggiunti dal suo amore e dalla sua misericordia; ed egli affida questo suo amore alle parole più belle che essi potevano sentirsi dire: "Shalom".

            Era di questo, che avevano bisogno i discepoli: la pace interiore, una pace che avevano perso al Getsemani e che due giorni dopo la drammatica morte del Maestro ancora non avevano ritrovato. Di fronte all'annuncio della tomba vuota, del corpo sparito e delle voci di chi lo ha visto in vita, l'unica cosa certa di cui avevano bisogno era la pace.

            È questa la maniera di rivivere, oggi, la venuta del Signore risorto in mezzo a noi, nella condizione in cui ci troviamo a vivere, condizione di prova, di sacrificio, di restrizione, di povertà, di incertezze per il futuro.

            Lasciamo allora sprigionare la forza liberante e consolatoria dello Spirito, eredità incorruttibile già presente dentro di noi, per poter vivere la gioia di un tempo di nuove relazioni tra di noi dove regna la gioia della nostra comunione fraterna, la scelta della preghiera quotidiana e la bellezza della condivisione di vita e di beni tra di noi, come ci fa sognare il bellissimo ritratto della comunità cristiana offertoci nella testimonianza degli Atti degli Apostoli.

            Se ancora non possiamo condividere il pane eucaristico che ci rende uniti, ci sostenga almeno questo vento di letizia e di semplicità di cuore, frutto del dono dello Spirito che ci rende uniti nella carità.

                                                                                                                                                    don franco Bartolino

       Il testo giovanneo che la liturgia di questo mattino di Pasqua offre alla nostra meditazione è un invito a guardare con profonda speranza al nostro futuro. Nel tempo della pandemia che ha sconvolto la nostra vita, la Parola di Dio infonde serenità al nostro cuore, certezza che, dopo il tempo del buio, sorgerà per tutti una nuova primavera che ci aiuterà a guardare ogni cosa con uno sguardo più limpido e grato.       

 “Nel giorno dopo il sabato, Maria di Magdala si recò al sepolcro di buon mattino, quand’era ancora buio, e vide che la pietra era stata ribaltata dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro….”.  

       Come tutti quelli che avevano assistito alla morte di Gesù, Maria di Magdala era tanto sicura di trovarlo nella tomba che credette che gli avessero cambiato posto quando non lo incontrò come sperava e tornò indietro con la tenebra nel cuore: il suo incontro con la tomba vuota non la condusse alla fede nella vita. Era tanto sicura della morte di Gesù che non poteva immaginare che fosse già risuscitato.

       Maria è figura di ogni discepolo che confonde la sua necessità di Gesù con la fede, la sua voglia di credere col fatto accaduto: l'amore che sentiva per Gesù morto non la condusse alla convinzione che era vivo. Accorsa al sepolcro di buon mattino, si trovò dinanzi un insolito scenario e presa dallo stupore e dalla paura, non riuscì a fare altro che ripercorrere la stessa strada, in fretta, per portarne l’annuncio ai discepoli, timorosi ed increduli.

 Anch’essi intrapresero il cammino verso il sepolcro con la convinzione che si trattasse di un abbaglio. Corsero, ansimando e confermarono quanto era stato loro riferito: il sepolcro era vuoto.

                Il racconto evangelico ci ricorda gli inizi della nostra fede cristiana: quello che è successo in quell'alba, vicino alla tomba vuota di Gesù, segna il principio della nostra esperienza. Lì accorse Maria e continuò a cercare il corpo di Gesù; lì si affrettò Pietro e rimase sorpreso di quanto vide; lì arrivò e credette, l'altro discepolo, quello che non dubitò mai dell'amore che Gesù aveva per lui.

             In questi tre discepoli possiamo vederci rispecchiati tutti noi, se vogliamo davvero celebrare la sua resurrezione ed arrivare alla convinzione che Gesù vive realmente.

                 Pietro non fu il primo ad arrivare alla tomba, ma fu il primo che entrò, si avvicinò al mistero e poté comprovare la verità di quello che era successo. Lo slancio e la fretta lo condussero alla tomba, ma non alla fede.

                 L'altro discepolo, che era arrivato per primo alla tomba ed aveva atteso Pietro, subito credette e seppe resistere alla sorpresa della tomba vuota senza fuggire, sapeva di essere amato da Gesù. Chi si sa amato da Gesù, sa che Egli è vivo: non ha dubbi sul suo amore. Chi si sa amato da Dio scopre ovunque le orme della sua presenza.
        Credere nella risurrezione di Gesù è scoprirsi amati da Dio, senza meriti propri. Non dovrebbe risultarci  difficile: basterebbe che lo lasciassimo parlare, riconoscendoci suoi discepoli in docile ascolto.

               La domenica di Pasqua, il primo giorno della settimana, dischiude un tempo completamente diverso, nel quale tutto ciò che è stato compiuto fino ad ora si rivela come novità. Il Signore è Risorto proprio per dirci che, di fronte a chi decide di "amare", non c'è morte che tenga, non c'è tomba che chiuda, non c'è macigno che non rotoli via, non c’è virus che non possa essere debellato…

 

     “Cristo, immagine radiosa del Padre, principe della pace, che riconcili Dio con l’uomo e l’uomo con Dio, donaci di cercarti con desiderio, di credere in Te nell’oscurità della fede, di aspettarti nell’ardente speranza, di amarti nella libertà e nella gioia del cuore.

              Fa’ che non ci lasciamo vincere dalla potenza delle tenebre, sedurre dallo scintillio di ciò che passa.

              Donaci il Tuo Spirito, che diventi Egli stesso in noi desiderio e fede, speranza e umile amore. Allora ti cercheremo nella notte, vigileremo per Te in ogni tempo e i giorni della nostra vita mortale diventeranno come splendida aurora, in cui tu verrai, stella chiara del mattino, per essere finalmente per noi il Sole che non conosce tramonto. Amen.    Alleluia!”     (Bruno Forte)

                                                                                                          sr Annafranca Romano

DIO MIO, DIO MIO PERCHE’ MI HAI ABBANDONATO?

Il racconto della Passione del Signore è il centro di tutti e quattro i Vangeli; essa rappresenta la vera novità dell’annuncio (kerigma) posta alla fine di una grande introduzione rappresentata da tutti i capitoli precedenti. Ogni evangelista darà una sfumatura diversa agli eventi, ma tutti e quattro saranno concordi nella narrazione dei fatti.

Matteo, nel proporci il racconto della passione del Signore, ci invita a scendere vicino a Lui, a camminare con lui e ad essere Cirenei nell’aiutarlo e nel condividere gli eventi più drammatici ma anche più significativi per tutti noi.
Il contesto in cui avviene il racconto è quello della cena. Gesù è a tavola con i suoi per celebrare la Pasqua ebraica, mentre fuori il popolo, la folla, i sommi sacerdoti, Giuda, sono già pronti a “consegnarlo”. Ormai hanno deciso in cuor loro, spinti da satana, a preparare un complotto contro Gesù, devono solo decidere come attuarlo. È importante riflettere su ognuno di questi personaggi, ma anche su quelli che si alterneranno successivamente nella lettura del testo; quante volte anche noi decidiamo di eliminare Gesù dalla nostra vita per essere magari più liberi e cerchiamo modi “giusti” per poterlo fare; quante volte anche noi, verso gli altri, siamo come Giuda o come i sommi sacerdoti, sempre pronti a tradire o condannare?
In tutto questo, Gesù è a tavola con i suoi e nel pane spezzato e nel sangue versato insegna loro, come a noi, il valore del dono di sé e del “martirio”, per noi testimonianza vera fino alla fine. Gesù non parla della sua morte, ma della forza dell’Amore che si esprime in quella del dono e infine, in quella del servizio. Gesù è in mezzo a noi come colui che serve, anche noi dobbiamo imparare a stare tra gli altri come coloro che servono e non come coloro che desiderano solo di essere serviti e riveriti! Per far questo però, abbiamo bisogno di riscoprire la virtù dell’umiltà, la capacità, cioè, di ritirarci per far spazio agli altri, per accoglierli nella nostra vita e per vivere con loro in atteggiamento di solidarietà, di apertura, di consegna.
Dopo la cena, Gesù si spinge fin nell’orto degli Ulivi per pregare, insieme ai discepoli. Ha bisogno di compagnia, sente forte in sé il dramma della solitudine, prende Giacomo Giovanni e Pietro con sé, ma il sonno li prende e il torpore li assale e così non sono capaci di dargli conforto e sollievo.

Gesù sarà arrestato e portato davanti a Caifa perché ritenuto sobillatore delle folle con il suo insegnamento, le sue parole, le sue opere e nell’indecisione sulle sorti da prendere, viene inviato da Pilato, che, insieme a sua moglie, lo trova innocente. Ma la folla acclama la liberazione di Barabba e alla fine sarà Gesù prenderà su di sé la croce. Lungo questo cammino, Gesù incontrerà diverse persone a cui continuerà a mostrare il suo sguardo di misericordia e nelle quali, ancora una volta, ognuno di noi potrà rispecchiarsi: il Cireneo che lo aiuterà lungo la via e le donne di Gerusalemme alle quali Gesù chiederà non compassione, ma conversione!
La morte in croce di Gesù, apre un tempo, seppur breve, di solitudine, di abbandono, ma questa non sarà l’ultima e definitiva parola… Ci sarà un evento nuovo, forte, gioioso: la resurrezione del Signore che farà di noi, uomini e donne, persone redente, salvate dal suo Amore!

Accompagniamo Gesù in questo suo tragitto e mentre camminiamo al suo fianco chiediamogli coraggio e forza per poter anche noi metterci alla sua sequela scegliendo di portare ogni giorno la nostra croce con Lui soprattutto in questo tempo così difficile per ognuno di noi. Chiediamogli di poterlo abitare con consapevolezza e di imparare a vivere con lui…come lui un’esistenza donata!
Suor Simona Farace

Credo che il Maestro non ne abbia a male, se pure noi, oggi, ci prendiamo la licenza di rimproverarlo come fecero le due sorelle di Betania, Marta e Maria: “Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!”. Sì, perché questa è la sensazione che alberga nei nostri cuori, in questi giorni: la sensazione che Dio sia rimasto in silenzio, lontano, assente. Perché se fosse stato presente, come glielo abbiamo più volte chiesto, a volte in maniera intima e solitaria, a volte in forme più straordinarie ed eclatanti, forse avrebbe mostrato la sua presenza in maniera forte, evitandoci sofferenze che, peraltro, sembrano non finire mai.

“Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello, qualunque nostro fratello, non sarebbe morto!”. Ma lui è morto, un'infinità di volte e se è morto, significa che tu non sei stato qui, altrimenti sarebbe ancora in vita.
“Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!”: e rimproveraci pure tu, se vuoi, dicci pure che non abbiamo abbastanza fede, che diciamo così solo perché adesso i nostri occhi sono ancora annebbiati dalle lacrime e quindi parliamo senza sapere quello che diciamo, che poi il tempo sistema tutto, che adesso dobbiamo guardare avanti. Dicci pure tutto quello che vuoi, ma “se tu fossi stato qui, Signore, mio fratello non sarebbe morto!”.
E per cortesia, evita quelle frasi di circostanza che lasciano il tempo che trovano e che hai pronunciato, in risposta, a Marta: “Tuo fratello risorgerà”. Marta è una come noi, concreta, immediata e molto pratica: “Lo so che risusciterà nell'ultimo giorno”. Ma adesso io ti ho chiesto altro: ti ho chiesto di esserci e tu non ci sei stato. E te l'abbiamo anche fatto sapere che il tuo amico era malato: e allora, perché non ti sei fatto subito presente, che forse ci avresti evitato questa sofferenza? Preferiamo che tu non dica nulla di circostanziale e che ascolti quello che abbiamo da dirti: “Anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà”. Per cui, datti da fare: c'è ancora gente da salvare.
Per nostro fratello non abbiamo più speranze: sono passati quattro giorni, tutt'intorno c'è silenzio, lamento, non avvertiamo più nemmeno i profumi della primavera, ma solo sapore di morte. Ma guarda a chi ancora è in vita e rischia di non farcela, dacci speranza, dacci certezze, facci sentire che ci sei!

Con Maria ci sei piaciuto di più, ti abbiamo sentito più vicino, non hai risposto al suo stesso rimprovero con frasi di circostanza perché Maria non è come Marta, Maria soffre, Maria continua a piangere, Maria non è una donna forte, è prostrata a terra, non si rialza con facilità, perché il suo modo di dimostrare l'amore verso il fratello morto. Ma sei stato bravo con lei: hai capito che non servivano parole. Non hai fatto altro che entrare nel suo dolore e in silenzio hai pianto con lei, e le hai chiesto qualcosa che per te, allora, sembrava scontato e normale, ma che per noi, oggi, non è affatto scontato, tutt'altro: “Dove lo avete posto?”. “Signore, vieni a vedere!”.
No, oggi non potresti neppure venire a vedere e nemmeno noi riusciremmo a dirti dove lo abbiamo posto, perché la stragrande maggioranza delle persone non ha nemmeno potuto assistere ai funerali dei loro cari.
Adesso, ti chiederemmo un'ultima cortesia: quella di lasciare la tomba chiusa, per noi è come una ferita che con il tempo si rimarginerà.
Ma tanto non ci hai ascoltati prima, quando ti avevamo chiesto di esserci, e nemmeno vuoi ascoltarci ora, perché - ci dici - “se crediamo vedremo la gloria di Dio”.

Se crediamo! Ci costa, ma certo che crediamo, cosa vuoi che facciamo, che smettiamo di credere in te? Non abbiamo mai pregato così tanto come in questi giorni: vuoi che non crediamo? Crediamo, sì, anche se ci costa.
Ora che ci tirerai fuori da quest'ombra della morte - e speriamo davvero che tu lo faccia presto - liberaci e lasciaci davvero andare, come hai fatto con Lazzaro. Lascia andare i nostri fratelli e le nostre sorelle lungo i marciapiedi della città eterna, come facevano quando erano ancora in vita: ci sembrerà di averli ancora un po' con noi. Liberaci e lascia andare anche noi: abbiamo bisogno di tornare a incontrarci, ad abbracciarci, a guardarci negli occhi, ad asciugarci reciprocamente le lacrime, per continuare a sperare e a credere in te, Signore, amante della Vita. Amen.

don Franco Bartolino

Nel nostro cammino verso la Pasqua siamo giunti alla quarta domenica del tempo di Quaresima e oggi, protagonista della liturgia della parola, è la luce.
”Un tempo eravate tenebra” leggiamo nella seconda lettura (Efesini 5,8-14), “ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come figli della luce; ora, il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità”.
È Lui la luce del mondo, le nostre tenebre saranno illuminate da Cristo, solo Lui può aprire i nostri occhi alla luce.
Nel Vangelo (Gv, 9,1-41) la riflessione parte dalla guarigione di un povero, cieco dalla nascita; il miracolo raccontato, avviene a Gerusalemme, lontano dal tempio e suscita reazioni diverse tra la gente che conosceva il “Cieco nato”.
Il brano del cieco nato ci presenta la condizione degli uomini: chi accoglie la luce, Gesù Cristo e chi, invece, si mette in contrasto con Lui che è la luce del mondo.
La luce di Cristo è un dono gratuito: questo è ciò che ci mostra il vangelo della guarigione del cieco nato. Il cieco nato non chiede nulla, è Gesù che posa il suo sguardo su di lui e lo guarisce.
Questo episodio dà la possibilità ai discepoli di interrogarlo sul legame, per loro stretto, tra il peccato e l’infermità. Ma Gesù subito afferma con chiarezza che “né lui né i suoi genitori hanno peccato; tutti siamo “malati” e bisognosi del “medico celeste” che per primo volge lo sguardo su di noi, per primo prende l’iniziativa: necessaria al miracolo però è la disponibilità e l’apertura all’opera di Gesù.
Alla iniziativa di Dio il cieco deve fare qualcosa, deve obbedire alla parola di Dio, non deve giustificarsi per il fatto che non vedendo non può dirigersi alla piscina. Deve rischiare di camminare ancora nel buio, di inciampare, di cadere, se confida nella parola del Signore che l’ha raggiunto con amore, solo allora può sperimentare la potenza dell’azione divina nella sua esistenza e cominciare a vedere. Perché la luce entri e ci illumini è necessario la nostra parte: ascoltare la Parola di Dio e metterla in pratica. Il cieco, inconsapevolmente, ha compiuto un itinerario dalle tenebre alla luce della fede in Gesù. Crede e riconosce in Colui che gli ha dato la vista, il Signore della sua vita. È questo l’incontro che il Signore chiede ad ognuno di noi: ci chiede un’adesione piena e incondizionata alla sua persona, ci chiede di incontrare la Sua presenza viva e vera e vivere per Lui solo. Se Lui è la nostra luce, noi vedremo nella Sua luce e diventeremo trasparente manifestazione delle sue meraviglie nella nostra vita.
Chiediamo al Signore che la Sua luce ci liberi sempre dalle tenebre del peccato, illumini il nostro cammino verso di Lui senza mai perdere di vista la meta verso la quale è orientata a nostra vita cristiana.
Suor Assunta Cammarota

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Nel nostro nome "Piccole Missionarie Eucaristiche" è sintetizzato il dono di Dio alla Congregazione. Piccole perchè tutto l'insegnamento di Madre Ilia sarà sempre un invito di umiltà, alla minorità come condizione privilegiata per ascoltare Dio e gli uomini.
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