Con questa prima domenica di quaresima dell’Anno A, siamo invitati a compiere il nostro viaggio verso la maggiore comprensione del nostro battesimo. In queste domeniche, infatti, vivremo l’itinerario dei catecumeni, di coloro che si preparano a ricevere il sacramento del battesimo, della penitenza e dell’eucaristia, da adulti, seguendo queste tappe: con oggi, siamo invitati a prendere coscienza dei nostri limiti e delle tentazioni che albergano nel nostro cuore; nella seconda domenica, la parola ci invita a riflettere sulla nostra condizione futura, quella della vita eterna, facendoci riflettere sulla trasfigurazione del Signore; liberi dalle tentazioni e aperti alla dimensione escatologica, nella terza domenica, con la samaritana, siamo chiamati a riflettere sul dono dell’ “l’acqua viva”: Gesù, estingue la nostra sete con la sua presenza e la sua parola; nella quarta domenica, con il cieco nato, Gesù vince la nostra cecità; nella quinta domenica, con Lazzaro, siamo chiamati a risorgere per vivere un’esistenza rinnovata ad immagine del Figlio di Dio. Un bel cammino, direi, esigente, ma entusiasmante. Soffermiamoci, quindi, sul Vangelo odierno. Gesù è condotto dallo Spirito nel deserto (v. 1); anche lui è chiamato a considerare le tentazioni possibili, proprie del suo ministero, e ad affrontarle con la Parola per essere un uomo veramente libero da tutto. Vive tre tentazioni che riassumono un po’ anche il nostro mondo interiore; la prima riguarda il pane (vv. 3-4) e riguarda tutto ciò che materialmente ci affascina, tutto ciò che il mondo ci propone, abbagliando gli occhi della vista e del cuore! La seconda (vv. 5-7) è simile alla prima ma non è legata agli oggetti che il mondo ci propone, bensì alla gloria fatua e alla mania di grandezza che ognuno di noi vive e insegue per “essere qualcuno”! La terza (vv 8-10), è legata al problema dell’idolatria che nasce quando non riconosciamo più Dio come l’unico Signore, ma apriamo il cuore a tanti falsi idoli che tante volte ci sovrastano rendendoci schiavi e non liberi figli di Dio! A tutto questo Gesù risponde sempre con la Parola di Dio, una parola che anche satana conosce, ma che usa a modo proprio. Anche questa è una tentazione per noi: quante volte, infatti, facciamo dire alla Parola ciò che essa non dice solo per giustificare i nostri comportamenti? Ma tutto ciò non è vivere la Parola, bensì strumentalizzarla a proprio piacere! Solo la Parola, invece, può renderci forti dinanzi alle tentazioni che tante volte ci assalgono. Ma oggi si parla ancora di tentazione? Ad uno sguardo all’intorno, a mio avviso, oggi tutto sembra lecito perché “sentito”, presente dentro di noi. Oggi si accoglie tutto come vero, bello, buono, senza soffermarci a riflettere se veramente lo è, se tutto ciò che sto decidendo è un bene per me e per gli altri. Manca il discernimento, la riflessione e ci buttiamo a capofitto in tutte le cose perché tutti fanno così! Preferiamo essere massificati anziché decidere in piena libertà. La quaresima, allora, che ci chiede “conversione”, è il tempo propizio per ritornare a Dio con tutto il cuore, per abbandonare le pretese del “falso pane” che ci riempie, ma non ci sfama, per allontanarci dalla mera gloria che ci illude di renderci persone importanti, ragguardevoli, mentre in realtà è solo gloria effimera, passeggera, per allontanarci dagli idoli che ci abbagliano, ma non ci indicano la vera Luce. Non sprechiamo questa possibilità! Apriamo il nostro cuore alla Parola di Dio, ritorniamo a Lui e preghiamo sempre per tutta l’umanità bisognosa di pane, bisognosa di Dio! Buona quaresima a tutti…
La liturgia della Parola di oggi, settima domenica del tempo ordinario, continua e conclude il discorso della montagna proclamato da Gesù nelle scorse domeniche con un forte invito alla radicalità.
Il vangelo di oggi, Matteo 5, 38-48, ci chiama ad un’impresa umanamente impossibile: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano.
Il rimando che Gesù fa all’Antico testamento ci riporta alla legge del taglione, basata sul principio della rivalsa: la via indicata da Gesù invece non prevede un metodo violento basato sulla vendetta ma esclusivamente sull’amore.
La follia della predicazione di Gesù rivoluziona l’ordine: amare chi ti ama non è opera lodevole, pregare per chi ti è nemico, augurargli la conversione, non la morte, significa imitare il Padre e il Figlio, che sulla croce perdona i suoi assassini.
È umano trovare antipatico chi ci ostacola, difendere le proprie cose, il proprio territorio, la propria famiglia, ma è evangelico scegliere di passare sopra alle antipatie per trovare ciò che unisce, scegliere il dialogo, il confronto, la conoscenza reciproca.
È dell’uomo che ogni tanto la parte negativa presente in noi emerga, ma è evangelico lasciare che la parte luminosa sconfigga la parte peggiore di noi. Se essere cristiani non cambia le nostre scelte, se non cambia la nostra vita, le nostre reazioni, significa che il Vangelo non ha davvero cambiato il nostro cuore. Gesù è chiaro e diretto, chiede tanto perché dona tanto; vuole che i suoi discepoli siano uomini e donne capaci di dire chi è veramente Dio e dire come può essere davvero l’uomo.
Siate perfetti come il Padre vostro celeste è perfetto; la perfezione dell’amore sta nel perdono, nel dono che in Dio giunge a dare ciò che più ama: il suo figlio Gesù.
Talvolta mi piace mettermi nei panni di un evangelista alle prese con il compito di trasmettere il “vangelo” a coloro che lo avrebbero poi letto, da qualunque “provenienza religiosa o culturale” fossero partiti.
In questo caso si tratta di Matteo, alle prese con il difficile compito di scrivere tenendo presente la complessa situazione in cui si trovavano i primi cristiani provenienti dal giudaismo e attaccatissimi alla legge Mosaica, e i primi cristiani provenienti dal paganesimo e ignoranti delle leggi ebraiche. E Matteo, da saggio ebreo divenuto poi fedele cristiano, svolge bene questo compito e chiarisce, proprio all’inizio del suo vangelo, l’unico passaggio obbligato per giungere ad un punto di arrivo comune, quello di accedere all’anima della legge, anziché fermarsi alla osservanza formale della medesima.
Accomuna cioè le due categorie di cristiani provenienti dal giudaismo e di cristiani provenienti dal paganesimo, proponendo loro un unico salto di qualità spirituale convergente sul Messia. Con i suoi fratelli ebrei lo fa rassicurandoli che Gesù Cristo, il Messia preannunciato, non va “contro” la legge, ma “oltre”, che non è alternativo a Mosè, ma perfezionativo, migliorativo, completivo. Gli appartenenti al nuovo Regno non dovranno accontentarsi di una osservanza esteriore, seppur scrupolosa, della Legge, ma accedervi al suo interno per trovarvi l’anima, cioè l’Amore.
Esemplificazioni di estrema attualità, perché anche oggi è sempre in agguato per noi cristiani il pericolo di cadere nella tentazione subdola di limitarsi a comportamenti di osservanza formale con il rischio di arrivare addirittura ad una osservanza sospettosa, guardinga e tirchia del medesimo comandamento dell’Amore. Se in nome della Legge è stato ucciso l’Amore, in nome dell’Amore viene vivificata la medesima Legge.
L’invito di Gesù con quel suo martellante e paradossale uso dell’espressione “Mosè vi ha detto… ma IO vi dico”, non lascia spazio a tatticismi interpretativi ed indica la strada della sequela senza “se”, senza “ma”, senza “però”, senza “distinguo”.
L’invito di Gesù indica la strada per accedere all’anima della Legge che è l’Amore. Invito che sant’Agostino sintetizzerà in una dei suoi fulminanti aforismi: “Ama e fa’ quello che vuoi”. Non certamente da interpretare nel senso di “fare come ci pare”, ma da interpretare nel senso di amare “facendo come Dio comanda”. E il cerchio si chiude perché Dio è Amore.
Il brano evangelico di questa quinta domenica del Tempo Ordinario è tratto dal discorso della montagna ed è il proseguimento del brano delle beatitudini. Gesù annuncia ai discepoli che sono il valore più prezioso, indispensabile per la terra. Essi hanno accolto la sua chiamata e sono definiti “beati” in vista del Regno dei cieli.
Se con le beatitudini Gesù indica come rispondere al suo appello, nella pericope odierna indica ai discepoli il destinatario e la natura della loro missione: essere il sale della terra e la luce del mondo, pienamente inseriti nella sua azione di annuncio.
Egli dice: ”Voi siete sale…voi siete luce” e non voi sarete. La sua chiamata impegna immediatamente la totale esistenza dei discepoli: non vi è spazio per una decisione da prendere, essa è stata già presa per loro da Gesù.
Le immagini del sale e della luce, così semplici ed incisive, che appartengono al vivere quotidiano, indicano l’irrevocabilità dell’annuncio.
Essi sono chiamati a permeare il mondo con la sapienza del Vangelo, custodendo l’universo degli uomini nell’alleanza con il loro Dio, che li vuole in comunione con lui e tra di loro, per far splendere la sua presenza e rendere la vita desiderabile ed amabile.
Diventano luce del mondo nel senso che la presenza di Dio, resa visibile attraverso il loro agire secondo le beatitudini, costituisce l’orizzonte di senso della vita.
Essere il sale della terra e la luce del mondo significa vivere da poveri, non violenti, misericordiosi, impegnati per la pace, perseguitati per l’annuncio dell’amore di Dio per l’uomo, passando attraverso la croce e la risurrezione nel vissuto concreto.
Lo scopo è quello di dare sapore, gusto e senso alle cose. E’ tenere accesa la luce quando il buio tenta di prevalere. Un cristiano si occupa di insaporire le cose e di illuminarle.
Il nostro “esserci” deve trasformare la realtà in termini di qualità, non di quantità. “Vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli”. E’ la visibilità dell’amore.
Un cristiano è chiamato a mostrare un bene che indica molto di più di ciò che sembra; è chiamato a rendere visibile la profondità delle cose, la preziosità del creato, la dignità della vita. Essere sale e luce non può mai significare, per il cristiano e per la comunità nel suo insieme, un dato acquisito una volta per tutte e una garanzia; ma è sempre un evento di grazia che avviene quando c’è l’obbedienza del credente e della comunità alla Parola del Signore Gesù, quando si custodisce e si vive la Parola del Vangelo. suor Annafranca Romano
In questa IV settimana del tempo ordinario, trova spazio l’antica festa della presentazione del Signore al tempio e dunque dell’incontro tra Gesù e l’umanità. Di fatto, il vangelo proposto per l’odierna liturgia ci presenta l’ingresso di Giuseppe e Maria al tempio, essi, non fanno neanche in tempo ad entrare che incontrano subito braccia pronte ad accogliere il bambino, braccia che per lungo tempo sono state in attesa di poter stringere a sé la luce che vince le tenebre. Braccia “solide” di due anziani, Simeone ed Anna, due persone desiderose di incontrare il Signore e, seppur anziani, ancora carichi di attesa e di desiderio. Questa loro attesa deve diventare sprone per ognuno di noi e deve essere di aiuto per interrogarci circa la nostra capacità di attesa e di speranza. Attendere significa tendere verso qualcosa o qualcuno. E noi? Verso chi tendiamo le braccia? La nostra fede, il nostro incontro personale con il Signore, deve essere alimentata sempre dal desiderio e dalla speranza. Una speranza non vuota, sterile, inutile che aspetti chissà cosa piova dall’alto, ma una speranza certa, sicura della presenza di Dio nella nostra vita e nella nostra storia. Egli c’è ad illuminare le tenebre del nostro cuore, Egli è presente come nostro compagno di cammino; Egli è presente come aiuto nelle difficoltà, forza nelle prove, sollievo nella sofferenza. E noi? Ce ne rendiamo conto? Sperimentiamo questa presenza verso cui tendiamo le braccia? Se sappiamo aspettare, impareremo ad essere attenti, vigili verso tutto ciò che ogni istante siamo chiamati a vivere e man mano sapremo anche uscire dall’abitudine che spesso attanaglia la nostra vita privandoci della capacità di stupirci ancora del dono della vita. Sperimenteremo così la salvezza di Dio, il suo dono di prossimità, il suo abbraccio che ci unisce alla sua vita, al suo amore. Con il Signore nella nostra vita cadrà in rovina tutto ciò che ci lega, ci opprime, ci blocca, tutto ciò che contraddice la nostra vita in lui e impareremo a vivere liberi nella gioia e nella forza della risurrezione che ci rende figli chiamandoci ad essere fratelli.