La solennità dell’Immacolata Concezione di Maria ci riporta alla santità della prima origine e ci proietta verso il compimento finale del progetto divino.

L’evangelista Luca annota che Maria, dopo aver ascoltato il saluto dell’angelo, ragionava fra sé turbata, cercando di comprendere il significato profondo nascosto in quelle parole.

 La Vergine, però, non è caduta nell’inganno che tormenta gli uomini di tutti i tempi, anche lei è stata duramente provata nella sua umanità, ma con l’offerta di se stessa, ha permesso all’amore di Dio, nel suo Figlio, di svelarsi al mondo.

 In lei la sofferenza non ha generato ribellione, il desiderio non ha compromesso l’amore e questo perché l’unico rimedio all’inganno è andare incontro al Signore, tipico della sua anima, modello sublime per noi.

Entrando da lei, l’angelo disse:” Rallegrati, piena di grazia: il Signore è con te…        Hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un Figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù”(Lc 1,28-31).

Di fronte a tale, inaudito annunzio, Maria, nella sua umiltà, fu invasa da sacro timore, che la spinse a domandare:” Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?” (Lc 1,34). L’angelo le diede la sorprendente risposta: rimanendo intatta la sua verginità, avrebbe ricevuto il dono della divina maternità per opera dello Spirito Santo, concludendo il suo annuncio con la dichiarazione:”Nulla è impossibile a Dio”(Lc 1,37).

Maria credette e, fondata unicamente sulla fede, pronunziò il suo il suo sì per la meravigliosa avventura della grazia. Il suo “eccomi” costituì una nuova creazione,            aprì le porte del cielo all’ingresso di Dio nella storia.

 Da quell’eccomi iniziale seguirono tanti altri eccomi, segni tangibili della sua totale disponibilità ad accettare e a compiere sempre la volontà di Dio, che avrebbe coinvolto     la sua esistenza fino ad espropriarla totalmente di sé e a metterla tutta al servizio della Chiesa e dell’umanità.

L’ “eccomi” di Maria si avvera continuamente anche per noi oggi, dandoci la certezza che, proprio per il suo materno intervento, nulla ci mancherà di ciò che è necessario al conseguimento della salvezza.

L’ ”eccomi” è perciò la disposizione che deve dare inizio e compimento ad ogni nostra giornata. Infatti se consideriamo ogni istante, ogni giorno della nostra esistenza terrena, l’eccomi del mattino deve ripetersi la sera come “eccomi” di consegna del lavoro svolto nella giornata, con l’aiuto della divina grazia.

La generosa e lieta disposizione d’animo coltivata con l’eccomi, diventa così un appassionato canto alla vita e a Dio.

Al cantico del Magnificat di Maria anche noi dobbiamo sintonizzare le nostre voci, per passare continuamente dal sì dell’obbedienza alla volontà di Dio, al rendimento di grazie per le meraviglie che Egli compie nella nostra piccolezza e povertà.

sr Annafranca Romano

Oggi, XXXIV del Tempo Ordinario, la Chiesa ci fa contemplare il Signore della vita e della storia con la solennità di Cristo re dell’Universo.

Il Vangelo che la liturgia dell’anno C ci propone ( Lc 23,35-43), ci invita ad alzare lo sguardo per fissarlo su un Dio apparentemente debole e perdente, un Dio crocifisso.

Il racconto della crocifissione, presentato da Luca, ci mostra alcuni personaggi che stanno sul posto ad osservare la scena e questi sono fondamentali per comprendere la dinamica dell’evento.

I capi provocano Gesù con la terza delle tentazioni di Satana: lo mettono alla prova ricordandogli di essere il figlio prediletto di Dio.

Poi ci sono i soldati che ricordano politicamente cosa significhi essere re: un re ha potere e può salvarsi.

Infine c’è un malfattore, appeso alla croce di fianco a Gesù, che sta soffrendo come lui, che insidia il rapporto di Gesù con il Padre chiedendogli di salvare se stesso e loro.

I due malfattori sono anche la spiegazione di come il cristiano vive la regalità: possiamo come questo malfattore decidere di cambiare il mondo con il potere, oppure come l’altro,   accorgerci che l’uso della potenza non è risolutivo.

L’altro malfattore, infatti, riconosce la regalità di Gesù che sta con lui a soffrire e chiede la salvezza pregando al Signore di poter essere reso partecipe della sua vita, e Gesù accoglie questa richiesta; egli decide di affidarsi a Gesù chiedendo di entrare a far parte del suo regno

La regalità di Dio è lo scegliere l’ultimo posto, lo scegliere di stare accanto ad ogni disperazione, ad ogni morte, ad ogni esclusione, ad ogni condanna, aspettando il tempo della salvezza, lasciandosi salvare dal Padre.

Chiediamo al Signore Gesù, Re debole, di insegnare a questa storia la forza dell’amore, la rivoluzione del dono, la bellezza della gratuità. Chiediamogli di insegnarci a credere che solo il servizio al debole e al povero può ridonare al mondo il coraggio della speranza e la fede in Lui.

suor Assunta Cammarota

Il brano evangelico di questa domenica ci riporta la discussione dei sadducei con Gesù sulla fede nella risurrezione. Essi gli pongono una domanda insidiosa attraverso la storia di una donna che era stata moglie di sette fratelli, deceduti uno dopo l’altro. Gesù risponde con autorevolezza, interpretando diversamente l’idea della risurrezione: Egli rivela che questo mondo passa e che nella novità del Regno dei cieli non conterà più la necessità inscritta nella vita biologica di uomini e donne.

Il mondo che viene è una realtà altra da quella che conosciamo, vi entreranno quanti saranno ritenuti degni, “i benedetti del Padre” (Mt 25,34).

Noi cristiani siamo i testimoni della risurrezione; dicendo che il nostro Dio è il Dio dei vivi e non dei morti, facciamo un’affermazione che non riguarda solo l’aldilà, ma anche il presente.  Dio dei vivi, di chi già oggi è veramente impegnato nella vita per migliorare la storia dell’umanità. Vita che non può finire perché è la stessa vita di Dio, che continua al di là della morte fisica.  E’ la sicurezza cristiana della nostra vita, dalla cui certezza scaturisce la gioia e la pace.

L’insidia tesa a Gesù dai suoi oppositori gli offre l’occasione per approfondire e dilatare la meraviglia del suo Vangelo per noi e per tutta l’umanità. La perla che scaturisce dalla Parola di oggi è          la vocazione di tutta la storia e di ogni realtà umana ad essere segno. Segno di Lui, che raccoglie e porta a compimento la profezia di Israele ed entra in ogni spazio della creazione e della storia per farne “segno”    di Sé. Anche le pieghe e i drammi più dolorosi possono diventare orizzonte del suo mistero di amore e novità di vita.

Oggi Gesù considera e illumina la realtà profonda dell’amore che unisce l’uomo e la donna, realtà che fin dal principio è chiamata ad essere segno privilegiato del mistero dell’Amore e del mistero stesso di Dio.

Egli rivela che la norma riguardo alla discendenza, disposta dalla legge mosaica, era transitoria nell’attesa della sua venuta e della pienezza di grazia che avrebbe portato. Perciò “quelli che sono giudicati degni della vita futura e della e della risurrezione dai morti, non prendono moglie né marito…”.

Gesù ci lascia intravedere una realtà completamente diversa da quella che viviamo in questo mondo. Dopo la nostra morte, se giudicati degni della risurrezione, diventeremo figli di Dio, vivi nello spirito ed in intima comunione tra noi nell’unico amore che tutti attrae ed unisce.

Possiamo quindi dedurre che, pur non annullando quegli affetti e vincoli umani che ci hanno legato quaggiù, in cielo vivremo la pienezza dell’amore, che non ammette differenze e gradi. Per noi cristiani l’argomento definitivo, fondamentale per la nostra fede, è legato alla risurrezione di Cristo.

Il Dio in cui crediamo è un Dio che non vuol essere considerato come Dio dei morti, ma come il Dio dei viventi, perché la sua Parola, la sua presenza, il rapporto di alleanza che egli instaura con noi, ci strappa alla morte e ci lancia in un’avventura protesa verso l’eternità.

                                                                                                                                            sr Annafranca Romano

Spesso pensiamo che tutto il bello e il buono che vediamo rimarrà per sempre. Poi basta un evento drammatico per fare l’esperienza del transitorio, del “non per sempre”. Gesù, nel vangelo di oggi, ci porta in un futuro apparentemente disastroso, dove tutto ciò che esiste sarà cancellato. Il Signore Gesù, non vuole creare ansie e paure, semplicemente ci avverte, per dirla insieme con santa Teresa d’Avila, che “tutto passa, solo Dio resta”.

E allora quando accadranno queste cose? È questa la domanda che ci inquieta maggiormente. Non chiediamo dove, non chiediamo come o perché: il nostro problema più grande è il futuro, o meglio ancora, siamo sempre presi da un passato che non c’è più o da un futuro che non c’è ancora e che ci interroga e ci spaventa.

Badate di non lasciarvi ingannare! Gesù parla al presente: la Parola di Dio non parla ieri, o domani, ma oggi. È oggi che tu sei chiamato a vivere, a dare risposte coerenti con i valori che professi. Oggi è il tempo di Dio, eterno presente. E Gesù ci invita alla diffidenza di chi si improvvisa Dio, di chi ha fretta e improvvisa scenari da apocalisse. Vivi il tuo oggi e sii presente nel tuo presente. Vivilo fino in fondo, e quando vorresti scappare, ricorda le parole del Maestro: “Non andate dietro a loro.” Non farti prendere in giro!

Metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno. Effettivamente la prospettiva futura alla quale Gesù allude non è rosea, ma il Signore, in tutti questi sconvolgimenti, trova due aspetti positivi:

– a causa del mio nome. Vi succederà tutto questo perché il mio nome è presente nelle vostre vite, è il senso dei vostri giorni, è la presenza che consola, è il nome che asciuga le lacrime e che incoraggia a rialzarsi. La causa è una Persona, che da duemila anni continua a essere scintilla di un grande incendio,

– avrete occasione di dare testimonianza. Secondo aspetto positivo. Se il nome di Gesù è la causa di tante difficoltà, rendere testimonianza è la conseguenza di quanto detto sopra. Se Dio è il senso di tutta la mia vita, ogni situazione della vita, bella o brutta che sia, è l’occasione giusta per rendere testimonianza, per vivere la mia relazione con il Signore, per cogliere dalle sue mani ogni situazione e in ognuna di esse vivere l’amore e la donazione, concretamente, nelle mie giornate.

Questa perseveranza non è semplice resistenza o pazienza ma ispira un atteggiamento di fiducia e affidamento. Questo rimanere salverà la mia vita. Non la paura del domani, non la nostalgia di ieri ma il rimanere nonostante tutto e tutti. Nessun sconvolgimento naturale, sociale o politico potrà privarmi di quel Nome, e rimanendo sotto la sua croce, vivrò la salvezza nel presente di oggi, carico dell’esperienza di ieri e in cammino verso il futuro.

don Franco Bartolino

In questa 26^ domenica del t.o. il Vangelo ci pone davanti ad una parabola che misura la temperatura della nostra fede.

Con Gesù non possiamo illuderci, né barare, la sua parola sconfessa ogni nostro tentativo di crederci giusti, pii, devoti Invano vi alzate presto al mattino, andate a riposare tardi la sera…il Signore ne darà ai suoi amici (Salmo 127)…Non sono i riti, le liturgie, le abluzioni a renderci Suoi amici. Non è il nostro fare le cose di Dio che ci rende uomini e donne credenti, ma semmai fare le cose come Dio, con il suo stile.

Ed ecco che Gesù racconta, ai farisei appunto, la parabola del “ricco epulone”. Uomo senza nome, senza volto, di lui sappiamo solo del suo apparire “indossava vestiti di porpora e di lino finissimo” e si dava “a lauti banchetti”. E sappiamo anche di quanto fosse incurante del povero Lazzaro che stava alla sua porta, piagato e affamato. Ogni giorno si consumava davanti a quella casa un’ingiustizia che scavava un “grande abisso” di indifferenza, di noncuranza, di solitudine… La stessa ingiustizia che si consuma davanti ai nostri occhi, fatta di degrado umano, etico e ambientale (Laudato si’ 56).

La Parabola di Gesù è un invito pressante a ripartire dal nostro cuore – è qui che nascono le cattiverie, le chiusure, le invidie, la grettezza – e a prenderci cura di esso. Un cuore che ascolta è un cuore umile che sa raccogliere i messaggi di Dio, il grido del povero e della madre Terra. E’ un cuore ecologico.

Oggi, giornata mondiale del migrante e del rifugiato, e alla vigilia del Sinodo per l’Amazzonia  la parabola suona come un monito a intraprendere quel cammino di “conversione ecologica” (papa Francesco) che ci fa superare “la cultura dello scarto” e dello spreco e approdare all’incontro solidale e fraterno. Allora ci può essere ancora futuro per la comunità umana e per la nostra Casa comune.

viola mancuso, pme

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