In pieno tempo di pandemia, la liturgia di questa domenica chiama tutti noi alla responsabilità di fronte alla vita personale e fraterna. Prendere coscienza che veramente tutto è collegato è compito di tutta una esistenza, a livello personale, comunitario e mondiale. Infatti il Signore, Dio della Storia, non ha fatto mai mancare al suo popolo, alla Chiesa e al mondo la sua voce, richiamando ogni essere umano al principio della comunione con Lui, da cui dipende anche la comunione con gli altri.

Di fronte al dono incommensurabile della vita propria e altrui, il profeta Ezechiele è la voce che non solo richiama alla corresponsabilità della correzione fraterna, ma indica anche il grande valore che questa ha in rapporto alla vita e alla vita futura nella sua dimensione escatologica: “... Se tu avrai ammonito l’empio della sua condotta, perchè si converta ed egli non si converte, egli morirà per la sua iniquità, tu invece sarai salvo” (Ez 33,9).

L’apostolo Paolo ci aiuta a ritrovare il posto che ognuno di noi occupa nella Storia dell’intera Umanità. Siamo tutti debitori dell’amore, perchè riguardo all’amore nessuno può sentirsi in grado di dire: “già ho amato sufficientemente, adesso basta!”... Se guardiamo intorno a noi, e con sincerità guardiamo dentro di noi, capiamo subito quanto veramente siamo debitori “perchè l’amore non fa nessun male al prossimo” (Rm 13,10).

E allora, ecco l’antidoto contro l’indifferenza - che è la malattia odierna- rispetto al quale il Coronavirus è una spada a doppio taglio. Da un lato ci obbliga a stare attenti alla vita altrui, dall’altro può anche generare quell’atteggiamento di “riguardarsi da tutti per non farsi del male”, chiudendosi ancora di più nell’individualismo. Come vivere allora da buon cristiani la grande prova che stiamo attraversando, per uscirne migliori e non peggiori?

Il Signore Gesù ci indica ancora una volta il cammino dell’uscita: “prendersi cura dell’altro” nel bene e nel male. L’altro è parte di me, siamo membri di un unico Corpo che è Chiesa: se è malato soffre e fa soffrire; il bene di uno è bene di tutti; il male di uno è male per tutti. Ecco il senso della corresponsabilità fraterna. E Gesù ci dona anche un cammino pedagogico da fare nel rispetto, nella discrezione e nella libertà.

Se esiste l’amore, è l’amore del singolo che lo fa andare verso il fratello per non perderlo; se esiste l’amore vicendevole, è l’amore fraterno che spinge ad incontrare il fratello in errore per non perderlo; se esiste l’amore comunitario e ecclesiale è tutta la comunità che corre a salvarlo, lasciandogli comunque piena libertà.  Se questo fratello nell’errore non vuole convertirsi o ritornare, il Signore dona ancora due ali all’amore: considerarlo un pubblicano, come Matteo, che ha trovato in Gesù lo sguardo della misericordia; affidarlo alla preghiera incessante della Comunità perché “...se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà. Perchè dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Mt 18, 19-20).

Ecco la speranza che riempie di gioia la nostra vita e le nostre comunità. Non lasciamo che nulla ci tolga questa speranza e non permettiamo di lasciarci vincere dal male o dallo scoraggiamento, anche le chiusure dei fratelli possono diventare porte spalancate, se le affidiamo a Dio con amore.

suor Maria Aparecida Da Silva

Nel Vangelo di questa domenica di fine agosto, e si spera di fine afa, - mentre ancora l’indice dei contagi Covid mantiene sospesa e in apprensione la nostra quotidianità – Gesù “spiega” ai suoi il senso della sua missione. E’ un discorso impegnativo per loro, e per noi, che sconvolge i piani e i progetti umani.

Gesù non vuole suicidarsi, nè cerca la sofferenza a tutti i costi. Vuole dire ai suoi che non intende "rinnegare" davanti agli scribi, ai capi dei sacerdoti la sua identità e missione. Aveva percorso le strade della Palestina insegnando, annunciando il Regno di Dio come possibilità di vita abbondante, come bene prezioso nelle mani di tutti; aveva fatto conoscere il volto di Dio Padre misericordioso, di un Dio che non condanna, che non fa la conta delle nostre colpe e poi chiede il conto… Aveva fatto miracoli, raccontato parabole bellissime, fatto incontri decisivi. Aveva messo in discussione la religiosità ipocrita, falsa e autoreferenziale dei farisei con parole dure. Era consapevole che questa franchezza, questa fedeltà alla sua passione di salvare il mondo, sarebbe diventata anche la sua croce.

Era il rischio grande per Gesù che egli sceglie e accoglie, “decisamente si dirige verso Gerusalemme” (lc 9, 51)…E’ il rischio grande, quello di perdere la vita, quando si vive, si lavora per un sogno, con il desiderio nel cuore. Ciò che si ama richiede tempo, presenza, energie, sofferenza... Ma diventa anche la misura del nostro essere umani: “quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita?”. E’ vero, “non avere nessuno per cui valga la pena perdere la vita, è già morire”. (p. E. Ronchi)

Il Vangelo percorre una strada umanissima, ricordando ad ogni uomo questa verità del cuore umano. Una verità che ci attrae e ci sconvolge allo stesso tempo. Perchè quel “rinnegare se stessi”, quel non essere al centro, quel non essere il principio e la fine, ci spiazza. Quel prendere “la propria croce” fa paura a Pietro, ma anche a noi, e come lui ci ribelliamo. Vogliamo insegnare al Maestro a fare il Messia, insegnargli come deve salvare il mondo, magari senza farsi, e farci, troppo male. Le parole di Pietro sono giudicate demoniache da Gesù, poichè nascondono un’idea di Messia supereroe, imbattibile, immortale, con i super poteri che Gesù ha sempre rifiutato… Pietro va in una direzione opposta a quella di Gesù, alla sua missione, al suo stile eucaristico. La salvezza passa per il dono della vita, per l’offerta del proprio amore e Gesù nel Vangelo lancia questo invito a tutti “Se qualcuno vuol venire dietro a me…”. ...Se vuoi, infatti. Non impone la verità, ma ci offre una possibilità. La possibilità di vivere la vita come la tua, in pienezza, con passione, “fino alla fine” (Gv 13, 1-2).

                                                                                                                                                                                 Viola Mancuso pme

Nel vangelo di questa domenica, XXI del Tempo Ordinario, troviamo Gesù che rientra in patria, a Cesarea di Filippo, e chiamati a sè i suoi discepoli fa loro una domanda: "La gente chi dice che io sia?" e dopo aver ascoltato la risposta della gente Gesù pone la stessa domanda agli apostoli: "E voi chi dite che io sia?".

Chi era Gesù per la folla? sicuramente un grande profeta.

Chi era Gesù per i discepoli? Era il loro Maestro e Signore per il quale avevano lasciato casa, barca, padre, per seguirlo, ma erano ancora lontani dall'averne capito il mistero. Si aspettavano ancora un Messia, un liberatore d'Israele. Ma questa volta Pietro dà una bellissima risposta:"Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente", tanto da farsi definire beato da Gesù stesso: "Beato te Simone, perché né la carne, né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli".

La domanda, posta da Gesù: “Voi chi dite che io sia?” è rivolta ancora oggi ad ogni uomo, ad ognuno di noi. Io, cosa penso di Cristo? Forse lo conosciamo perché viviamo in una società in cui ancora si intravedono i Suoi principi. Lo conosciamo, forse, per l'educazione religiosa ricevuta. Ma la domanda resta e le nostre labbra, spesso, sono senza risposta, o perlomeno senza una risposta piena, perché la sentiamo troppo impegnativa, perché implica tutto il nostro essere umano e spirituale: conoscerlo vorrebbe dire seguirlo e vivere per Lui e in Lui.

Conoscere Lui significherebbe anche conoscere chi siamo noi, ma finché non sappiamo bene chi Gesù è per noi, non sappiamo bene neppure chi siamo noi.Così, a bruciapelo, oggi Gesù domanda a te e a me: chi sono io per te? Cosa sei disposto a giocarti su di me? Quanto conto sul serio nella tua vita di tutti i giorni?

Pietro rischia, osa tutto. Questo significa dire a Gesù che è il Cristo, il Messia tanto atteso, il senso vero della vita.

Domenica della scelta allora, scelta che continuamente siamo chiamati a compiere, giorno dell'incontro con lo sguardo del Nazareno che ci chiede adesione al suo progetto, che non vuole un'appartenenza di abitudine, ma una passione almeno pari a quella che lui ha per ciascuno di noi.

Sr Maria Assunta Cammarota

Le donne silenziose che nessuno nota, ma che sanno continuamente amare, sono quelle che scrivono la storia del mondo. Crescono custodendo la meraviglia dei doni di cui Dio le ha rese preziose. Sanno soffrire senza lamenti. Sanno amare con tutta la loro persona. Portano le fatiche e la grazia dell'esistenza quotidiana. Sono sempre pronte al dono. Piangono in silenzio e sorridono con delicatezza. Spesso non le notiamo, tanto sono discrete. Un giorno, quasi per miracolo, le incontriamo nelle circostanze più normali della nostra ferialità: attente e premurose.

         La Donna che, tempestata di luce viene assunta al cielo, è questo stupore di semplicità ed è la Donna dalla quale è nato il Figlio dell'Altissimo. È la Donna che, immersa nel vortice dell'Amore Divino, sa essere premurosa con una cugina che ha bisogno di Lei. Non solo le dona l'aiuto ma, straordinariamente, le porta Dio in casa.

         La Donna è Maria di Nazaret, la Madre di Gesù. Colei che nutre. Colei che educa. Colei che ama. Soprattutto, colei che soffre la pienezza d'amore del Figlio fino ai piedi della croce. In quel momento inizia la “dormizione” che la renderà simile in tutto al Figlio, fino a morire come Lui: povera, fragile, umile, debole, trasformata sempre dal fuoco dell'amore, fino all'incontro pasquale con il Figlio, fino all'effusione dello Spirito.

         In quel momento per Lei si compie la missione. Si addormenta per vivere il passaggio dell'incontro glorioso col Figlio. È assunta in cielo. Supera i cieli dei cieli: Lei primizia della nostra risurrezione nel corpo ha patito con noi, è stata solidale dei nostri tormenti, ha attraversato le nostri notti oscure e in ogni esperienza ha amato a dismisura.

         Oggi entra, in uno sfolgorio di gioia, nella Casa del Padre che l'ha scelta, del Figlio nato dal suo grembo, dello Spirito, Amore instancabile che l'ha condotta.

         Se noi, abituati soprattutto a tenere lo sguardo rivolto alla polvere della terra, alle morti che ci circondano, ai dolori che non sappiamo spiegare, solleviamo appena gli occhi, vediamo Lei: la Donna, la Madre. Sempre con la stessa tenerezza, sempre con il caldo del suo abbraccio, sempre con l'ospitalità del suo grembo, sempre accanto, sempre pronta. La nostra vita trova ristoro, il nostro cuore trova consolazione, i nostri occhi trovano la Luce, la nostra orfanezza trova la Madre: splendente, bellissima, unica, dolcissima. Quel suo fulgore non ci incute soggezione, scatena i desideri inappagati della nostra vita e in Lei vediamo la speranza che si realizza, l'amore che ci coinvolge, il cielo che ci accompagna nell'anima, mentre ancora come pellegrini camminiamo sulla terra.

Dedicato a tutte le donne umiliate, perseguitate, uccise!

                                                                                                                    don Franco Bartolino

Il Vangelo di questa Domenica XX del Tempo Ordinario, racconta la storia di una povera donna, una pagana, una lontana da Dio. Essa si avvicina a Gesù urlando e invocando una guarigione. Il Maestro non le rivolge neppure una parola, il suo è un atteggiamento duro che obbliga la donna a cambiare stile. E intanto Dio tace! La donna cananea  riflette, mette da parte il suo amor proprio e confessa: «Hai ragione Signore, sono proprio un cane, vengo da te solo ora che ho bisogno. Però, ti prego, fai qualcosa. Il volto duro di Gesù si scioglie in un accogliente sorriso: «Risposta esatta: la tua fede ora produce miracoli». Il Vangelo ci dimostra che anche uno schiaffo ci richiama a verità. Il silenzio di Dio, talora, è teso a metterci in discussione, a suscitare la fede, a produrre la conversione del cuore. Solo chi sa restare al di là di queste sensazioni incontra davvero Dio e non un Dio qualunque, ma un Dio che salva, perché è un Dio che ama e ama tutti.

                                                                                                      don Franco Bartolino

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Nel nostro nome "Piccole Missionarie Eucaristiche" è sintetizzato il dono di Dio alla Congregazione. Piccole perchè tutto l'insegnamento di Madre Ilia sarà sempre un invito di umiltà, alla minorità come condizione privilegiata per ascoltare Dio e gli uomini.
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