L’evangelista Giovanni, nel Prologo del suo vangelo, ci aveva presentato Giovanni il battezzatore, come testimone della luce: «Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce» (Gv 1, 6-8). Dopo aver annunciato la luce vera nell’evento dell’incarnazione – «E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14) – l’evangelista ritorna a parlare del Battista dicendo le stesse parole ascoltate oggi: «Giovanni gli dà testimonianza e proclama: «Era di lui che io dissi: Colui che viene dopo di me è avanti a me, perché era prima di me» (Gv 1, 15).

Accogliamo l’invito del Cristo risorto, il quale oggi ci chiede di prendere consapevolezza della nostra responsabilità di essere testimoni della sua luce in tutte le relazioni che intessiamo nella nostra vita quotidiana.

Per essere testimoni della «luce vera che illumina ogni uomo» (Gv 1,9), cioè Cristo Signore, come vogliamo procedere? Vogliamo farlo immedesimandoci nella persona di Giovanni Battista. Egli oggi ci sorprende per la sua profonda conoscenza delle Sacre Scritture e ci insegna che, per essere testimoni di Cristo Signore, «Luce del mondo» (Gv 8, 12; Gv 12,35-36; 1Gv 1,5) ci sono due cose da scegliere: pregare e custodire nel cuore e nella mente la Parola di Dio ed  essere servi in condivisione con i più sofferenti.

Solo chi si nutre del pane della Parola di Dio ogni giorno, solo chi si nutre del pane dell’Eucaristia, adorando e accogliendo lo stesso Cristo non solo nel pane consacrato, ma anche nella carne dei più sofferenti, sentirà la gioia profonda della «grazia e pace» dello Spirito che unisce eternamente il Padre e il Figlio e che unisce in comunione gioiosa «tutti quelli che in ogni luogo invocano umilmente il nome del Signore nostro Gesù Cristo» (1Cor. 1,2).

don Franco Bartolin

Con il Battesimo del Signore, assieme all’Epifania e alle Nozze di Cana,  la liturgia ci fa celebrare la “manifestazione del Signore”: Cristo Gesù si manifesta Re-Pastore nella piccolezza (Epifania), Figlio amato del Padre (Battesimo), Sposo dell’umanità (Nozze di Cana).
          Nel brano di oggi l’evangelista Matteo riporta la vicenda del Battesimo di Gesù segnalando la forte resistenza del Battista all’idea di battezzare Gesù: ”Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: ”Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?”. Nella resistenza del Battista affiorano anche le nostre domande:” Perché Gesù si fa battezzare, viste le sue origini e la sua regalità divine? Non c’è una contraddizione con il significato penitenziale del Battesimo praticato da Giovanni”?

Matteo replica a questa difficoltà riferendo la risposta di Gesù:” Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia”.

Adempiere la giustizia, nel linguaggio biblico indica la disponibilità a compiere la volontà di Dio, obbedendo al suo piano d’amore, che è quello di mostrare come Egli non si lasci respingere dal mondo a causa del peccato degli uomini, ma intende mostrarsi come Padre che perdona e salva.

Bisogna che Gesù renda evidente questa decisione divina di essere il Dio con noi, anche per l’umanità peccatrice. Deve quindi rivestire una duplice solidarietà: con Dio perché innocente, libero dalla ribellione del peccato; con l’umanità bisognosa di perdono e di redenzione.

E’ questa la giustizia che Gesù vuole inaugurare con tutto se stesso e lo fa a partire proprio da questo momento che è il suo Battesimo.

Le parole di Gesù aiutano il Battista a superare le proprie resistenze e a battezzarlo. Non appena esce dall’acqua, accade a Gesù qualcosa di assolutamente importante: l’aprirsi dei cieli e lo scendere su di Lui dello Spirito di Dio.

            Il racconto evangelico tenta di dire qualcosa di un’esperienza intima vissuta da Gesù. Lo squarciarsi dei cieli attesta che Dio non resta isolato da questa terra, ma la incontra, trasformandola e portandovi la sua novità.

L’apice del racconto sta nella voce divina che lo raggiunge. Dio lo dichiara Figlio amato, oggetto di tutto il suo compiacimento. La voce che Gesù sente è parola di rivelazione, in cui Dio riconosce il suo Servo, che annuncia alle genti il suo messaggio di vita e di perdono.

Il Battesimo di Gesù rappresenta la sua investitura ufficiale come Messia, l’inizio del suo ministero pubblico. Ma è un Messia che lascia sorpresi, perché il primo gesto che compie è quello di mescolarsi con i peccatori.
            La Liturgia ci fa celebrare questo mistero di Cristo per illuminare anche il nostro Battesimo, fatto come quello di Gesù “in acqua e Spirito Santo”.

                                                                      sr Annafranca Romano

La nascita del Salvatore è gioia per alcuni (i pastori, i semplici, gli umili) e rovina per altri (re, orgogliosi, superbi). Erode cerca di uccidere il bambino (v. 13) perché teme di perdere il potere esercitato sul suo popolo. Allora Giuseppe deve fuggire (v. 14) per metterlo in salvo fino alla morte del re Erode. Bella scena familiare quella presentata oggi dal vangelo di Matteo: Giuseppe prende con sé il bambino e sua madre (v. 14) per fuggire in Egitto. Sono delineati chiaramente i ruoli familiari: il capofamiglia (Giuseppe) si prende cura dei membri più indifesi e deboli: il bambino e sua madre (v. 14). Credo che questa pericope ben si presti ad una riflessione sul senso della famiglia oggi. Ci sono ancora questi valori quali la premura, la custodia, l’attenzione all’altro? O regna una profonda indifferenza, forte egoismo, alta superbia? Ci riconosciamo in questa famiglia santa? Siamo di sposti ad “alzarci” (vv. 13.19) per soccorrerci mutuamente o siamo ancora avvolti nel sonno della pigrizia? Eppure siamo stati creati a immagine di Dio, quindi ad immagine della Trinità che fa delle differenze una ricchezza nell’unità. Anche le nostre famiglie sono sede di realtà profondamente diverse: c’è il padre, la madre, i figli…ognuno con un’identità e un compito familiare ben preciso. Ma a volte i ruoli sono sovvertiti, regna il vuoto, la mancanza, l’indifferenza. Non siamo capaci di fare della nostra diversità, un forte dono di unità. E allora si incontrano difficoltà, disagi, paure. In tutto questo, però, abbiamo bisogno di fare come Giuseppe che si alza con decisione per custodire la sua famiglia. Ogni membro è così chiamato alla disponibilità reciproca, all’apertura e soprattutto al dialogo; un dialogo serio, sincero, in cui ognuno si dona all’altro facendosi conoscere nella propria interiorità: forse è questo che manca oggi nelle nostre famiglie? Forse su questo dobbiamo puntare se vogliamo fortificarci nei rapporti familiari e vivere serenamente? Su questo credo che siamo chiamati a riflettere con attenzione e sincerità.
Alziamoci, dunque, accogliamo la volontà di Dio che è il Suo progetto su di noi, accogliamoci reciprocamente con stima, affetto, sincerità. Accresciamo la nostra disponibilità per fare delle nostre differenze un’unità compatta, ad immagine della trinità che vive dentro di noi. In questo modo sarà sempre Natale, perché nascerà ogni giorno Dio nelle nostre case, nei nostri affetti, nei nostri cuori.

suor Simona Farace

Siamo ormai giunti al termine del cammino dell’Avvento, oggi quarta domenica, tra qualche giorno è Natale.

La liturgia della Parola di questa domenica ci pone dinanzi a due personaggi che hanno una reazione molto diversa dinanzi alla promessa di Dio: il re Acaz, modello di incredulo e Giuseppe, modello di ogni credente.

Il Vangelo di oggi, Mt 1,18-24, racconta come è stato generato Gesù e ci chiede di fermare il nostro sguardo su Giuseppe e di lasciarci accompagnare da lui, perché anche noi possiamo, sul suo esempio, essere uomini e donne che generano Gesù nella propria vita e nella vita degli altri.

Dio, per realizzare il suo disegno di amore si è servito di uomini che hanno accolto la Sua volontà senza remore, prontamente, incondizionatamente. Giuseppe è uno di questi uomini che con fede e umiltà, portano avanti con Dio la storia della salvezza; egli non ostacola il disegno di Dio, entra nel mistero, anche senza comprenderlo fino in fondo.

Giuseppe è l’uomo giusto che si fida totalmente del progetto di Dio, che crede alle sue promesse anche quando queste diventano strane e poco comode.

Giuseppe è l’uomo obbediente, che per Dio rinuncia anche a ciò che ha di più caro, Maria, per poi riaccoglierla in modo differente.

Giuseppe è custode, perché sa ascoltare Dio, si lascia guidare dalla sua volontà.

Giuseppe vive la sua vocazione di custode di Maria, di Gesù, della Chiesa nella costante attenzione a Dio, aperto ai suoi segni, disponibile al Suo progetto e non al proprio.

Anche noi, come Giuseppe, siamo chiamati ad a generare Gesù nella nostra vita,

accogliendo le nostre notti, le nostre paure, i nostri turbamenti, le nostre domande, ponendoci in ascolto, di Dio che entra nella vita di chi lo cerca. Chiediamo al Signore di essere pronti a dare il nostro assenso sincero e gioioso a tutto ciò che il Signore ci chiede per poter custodire nelle nostre vite il “Dio con noi” ed essere disponibili a servirlo in ogni nostro fratello.

suor Assunta Cammarota

In questa Domenica Terza di Avvento risuona più volte l’invito a gioire, a rallegrarsi. Perché il Signore è vicino e il Natale è questo. Il messaggio cristiano si chiama “vangelo”, cioè “buona notizia”, un annuncio di gioia per tutto il popolo; la Chiesa non è un rifugio per gente triste, la Chiesa è la casa della gioia! E anche coloro che sono tristi trovano in essa la gioia, la vera gioia!

Scrive papa Francesco nell’Evangelii Gaudium: “La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia. Il grande rischio del mondo attuale, con la sua molteplice ed opprimente offerta di consumo, è una tristezza individualista che scaturisce dal cuore comodo e avaro, dalla ricerca malata di piaceri superficiali, dalla coscienza isolata. Quando la vita interiore si chiude nei propri interessi non vi è più spazio per gli altri, non entrano più i poveri, non si ascolta più la voce di Dio, non si gode più della dolce gioia del suo amore, non palpita l’entusiasmo di fare il bene. Anche i credenti corrono questo rischio. Molti vi cadono e si trasformano in persone risentite, scontente, senza vita”.

Certo, quella del Vangelo non è una gioia qualsiasi. Trova la sua ragione nel sapersi accolti e amati da Dio. Come ci ricorda oggi il profeta Isaia, Dio è colui che viene a salvarci, e presta soccorso specialmente agli smarriti di cuore. La sua venuta in mezzo a noi irrobustisce, rende saldi, dona coraggio, fa esultare e fiorire il deserto e la steppa, cioè la nostra vita quando diventa arida. E questa gioia vera rimane anche nella prova, perché non è una gioia superficiale, ma scende nel profondo della persona che si affida a Dio e confida in Lui.

La gioia cristiana, come la speranza, ha il suo fondamento nella fedeltà di Dio, nel suo amore che è per sempre. “Rallegratevi sempre nel Signore, ve lo ripeto, rallegratevi – dice san Paolo – il Signore è vicino!” Per aprirmi alla gioia ho bisogno di essere povero, di spirito e anche materialmente.

Gesù opera tanti miracoli, che sono il segno della sua bontà, della sua tenerezza, del suo amore, della sua salvezza per sempre. Quando Giovanni Battista manda i suoi discepoli a chiedere, “se è Lui, Gesù, il Messia oppure dobbiamo aspettare un altro”. Gesù risponde: “Riferite a Giovanni che tutte le promesse di Dio si stanno realizzando. “I ciechi acquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo”.

I segni ci sono: si tratta di aprire gli occhi, di saperli vedere, di capire che sono i segni della presenza del Signore. Impariamo a riconoscere i segni della presenza di Dio, alziamo lo sguardo, apriamoci alla bellezza e alla gioia del bene che il Signore opera attraverso tante persone. Il Salvatore è in mezzo a noi e riempie di doni i suoi figli.

don Franco Bartolino

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Nel nostro nome "Piccole Missionarie Eucaristiche" è sintetizzato il dono di Dio alla Congregazione. Piccole perchè tutto l'insegnamento di Madre Ilia sarà sempre un invito di umiltà, alla minorità come condizione privilegiata per ascoltare Dio e gli uomini.
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