Mt 22, 1-14

Tutto è pronto! Venite alle nozze.

È l’invito ripetuto ben tre volte in questo Vangelo di oggi.  Il re invita alla festa del Figlio, ma sono altre le preoccupazioni, altri gli affari, l’invito può essere declinato.

Ma il re non molla, ci ritenta, sembra quasi che prega gli invitati a partecipare a questo banchetto. Come a chi sta a cuore che essi ci siano, partecipino alla gioia, alla festa, condividano questo momento.

“Venite alle nozze!” Come dire rendetevi conto di ciò che vi offro, il mio figlio, la mia amicizia, la salvezza come dono gratuito. È per voi!

Al secondo rifiuto il re fa la sua scelta e non è quella di rinunciare alle nozze,  ma di rivolgere ad altri l’invito. Il dono è per chi lo accoglie, non può tornare indietro. E allora andate ai crocicchi delle strade, chiamate tutti, tutti quelli che troverete. I crocicchi, luogo di via vai, di intrecci di vite, di esperienze, è lì dove si è solo di passaggio che Dio trova gli invitati alle nozze. Solo chi non attende nulla, che sta andando per la sua strada, può recepire lo stupore, la gioia, la gratitudine per un invito…elementi indispensabili per dire sì ed esserci, partecipare, gioire, condividere le nozze del Figlio.

“La sala delle nozze si riempì di commensali”…perché il Regno di Dio è per tutti, è il dono della salvezza dato in abbondanza, e parteciparvi significa imparar a vivere nella gioia, avere un abito nuovo, l’abito di chi è gratuitamente ed eternamente amato.

Allora tutti invitati a nozze, non importa se recuperati ai crocicchi delle strade, se dopo aver rifiutato, se mentre si percorreva la propria strada…Importa che in questo banchetto ci siamo e magari con addosso l’abito della gratitudine.

Sr  Giuliana

Mt 21,33-43

Siamo ancora nel capitolo ventunesimo del vangelo di Matteo e continua il discorso di Gesù in sul Regno di Dio. Un’altra parabola diretta ancora una volta agli anziani e ai capi del popolo.  Gesù con questa parabola è ancora più chiaro, non lascia spazio ad alcun dubbio. Il padrone della parabola è attento, prima di affidare la vigna ai contadini si procura di recintarla, di scavare la buca per il torchio e poi di costruire la torre. È tutto pronto, i contadini dovranno solo coltivarla affinchè porti frutto.

Quando arriva il tempo di raccogliere i frutti, non solo non arrivano ma addirittura i servi che il padrone manda vengono maltrattati e uccisi, i primi, i secondi, e addirittura il proprio figlio.

Tante le possibilità predisposte, prima di tutto il dono della vigna affidata, per curarla, coltivarla, fare sì che porti i frutti e non certo possederla.  Immensa la pazienza di quest’uomo che non interviene subito, attende, riprova una seconda e una terza volta mandando e “perdendo” ciò che ha di più caro: il proprio figlio. Prima della conclusione Gesù pone una  domanda: Che farà il padrone della vigna? Non rinnuncerà di certo alla sua opera ma lo affiderà ad altri, ad altri che producano frutto. Vi sarà tolto il Regno di Dio, vi sarà tolto perché il tesoro, la perla preziosa non possono essere sepolti o andati persi, non possono essere solo il motivo per vantarsene e farci sentire a posto. Il tesoro e la perla preziosa, cioè il Regno di Dio è un dono da moltiplicare, condividere, curare, potenziare.

Questa Parola ci invita a portare frutti, o meglio, a domandarci quali frutti Dio attende da noi?

Una certezza c’è; Dio non abbandona mai la sua vigna, il suo amore è instancabile, è un amore che recupera le pietre scartate per farle diventare pietre d’angolo, è un amore che dalla roccia fa sgorgare l’acqua, è un amore creativo, capace di trovare sempre nuove vie per arrivare all’umanità.

Matteo 21,28-32
Che ve ne pare? Il vangelo di questa domenica inizia subito con una domanda. Gesù apre un dialogo con i suoi interlocutori e in modo particolare con i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo.
Gesù vuole richiamare non solo l’attenzione degli ascoltatori ma soprattutto fa un appello alla coscienza, al cuore, alla responsabilità delle proprie scelte.
Che ve ne pare?
Non é una semplice domanda su cosa si pensa ma piuttosto sembra che Gesù domandi: voi dove siete, dove vi collocate di fronte al passaggio di Dio nella storia e nella vita? Al racconto sui due figli che rispondono in maniera diversa all’ appello del padre, capire chi ha agito bene sembra ovvio.  Non è altrettanto ovvio accorgersi della presenza di Dio e del suo Regno, quando il suo agire ed operare si guarda con sospetto, quando non si ha più nulla da attendere, quando il suo messaggio di verità ci spiazza, ci scomoda, ma non ci cambia in profondità. E allora pubblicani e prostitute ci precederanno non per la loro degna condotta, ma per aver visto e creduto, per aver avuto il cuore aperto al passaggio di Dio, per aver colto l’occasione di quel incontro che cambia la vita, come è avvenuto per Zaccheo, Levi, la peccatrice perdonata. Conservare nel cuore la sete di Dio, il desiderio di essere guardati con tenerezza e amore sono il biglietto per il Regno di Dio.
“Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli”.
E torna di nuovo la domanda iniziale: Che ve ne pare?
E allora questo vangelo di oggi ci provochi dentro, ci apra gli occhi del cuore per vedere e credere, per lasciarci toccare dalla sua misericordia, per tornare sui nostri passi anche dopo aver rifiutato e andare a lavorare nella vigna del Signore.

Mt 20,1-16
Questo brano del vangelo di Matteo ci presenta una parabola sul regno dei cieli.

Il regno dei cieli è simile a un padrone che esce per le strade all’alba e chiama, chiama tutti e a tutte le ore, promettendo il giusto. Il regno di Dio ci viene subito presentato come il luogo aperto e sempre possibile, come la vigna dove ognuno può dare il proprio contributo, ognuno può sentirsi responsabile.

Il  padrone va a cercare e trovare gli operai  invitandogli a lavorare nella sua vigna, e al termine della giornata dà la giusta ricompensa.

Ai primi quanto accordato, quanto è giusto, agli ultimi quanto suggerisce il cuore. È la parabola della bontà disarmante, di quella bontà che non fa ingiustizie ma che nello stesso tempo non fa calcoli precisi, la bontà che supera la logica dello scambio ed entra nell’ottica dell’accoglienza e della misericordia. È una bontà che rovescia le prospettive, che non rispetta le logiche del prima e dopo. È una bontà che può addirittura irritare: ”siamo i primi, meritiamo di più…abbiamo sopportato il caldo della giornata” ma la risposta del padrone non ammette repliche, invita solo a riflettere, ad entrare in un’altra ottica. Non si entra nel regno dei cieli perché primi, ma perché chiamati e resi degni, per il cuore grande del padrone che ci recupera sui cigli delle strade  e non per i nostri meriti…perché gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi.


Gv 20,19-23

 Ricevete lo Spirito Santo

La liturgia di oggi ci fa ritornare di nuovo nel cenacolo, nel luogo dove siamo nati come Chiesa, dove abbiamo imparato a condividere e ricevere il dono dell’Amore e dell’amicizia.

In quello stesso luogo Gesù supera le porte chiuse per stare in mezzo ai suoi, come risorto e come colui che porta i segni dei chiodi.  La missione dei dodici non si consuma nel cenacolo ma da lì nasce e prende forza.

Prima di mandarli per il mondo Gesù dona lo Spirito Santo tante volte promesso, promesso soprattutto quando i discepoli avvertono la paura e lo smarrimento, quando sentono che senza di Lui non ce la possono fare.

“Ricevete lo Spirito Santo” e così mi potete essere testimoni. Ricevete lo Spirito Santo non per convertire le folle, per compiere miracoli inauditi, per avere strepitoso successo nel mondo… “Ricevete lo Spirito Santo” per rimettere i peccati, per donare   la vita nuova, per trasmettere il Dio del perdono e della tenerezza, per far sentire amati tutti e comunque. Essere perdonati,infatti, significa essere amati gratuitamente.

Per questo la chiesa ha ricevuto lo Spirito, per dire all’uomo che si può sempre ricominciare, si può sempre migliorare, si può sempre amare. Ricevere lo Spirito santo significa proprio diventare profeti di positività, dire a tutti e senza paura che il peccato si può vincere, che la grazia ha sovrabbondato, che qualsiasi cosa ci rimproveri il nostro cuore Dio è più grande.

Chi ha ricevuto lo Spirito non è colui che punta il dito, che condanna, che sta alla larga dai peccatori, chi ha ricevuto lo Spirito è proprio colui che si avvicina, tocca e guarisce con la sola sua presenza. Infatti Gesù non dà agli apostoli il potere di rimettere i peccati anche a distanza, o con la sola parola, ma li manda in mezzo agli uomini. La presenza a volte e molto spesso è già perdono perché significa  amicizia, mano tesa, significa accoglienza.

Questa solennità della Pentecoste ci ricorda cha abbiamo ricevuto lo Spirito per comunicare il “Dio vicino”, il Dio che lascia liberi e il Dio che dona sempre e comunque nuove opportunità. Questo vangelo ci conferma la fedeltà di Dio alla sua scelta di amare gli uomini.

Lo spirito Santo ci insegni davvero  a far passare con gli atteggiamenti, le scelte e la vita,  l’unico volto di Dio: la Misericordia.

sr Giuliana

Su di noi

Nel nostro nome "Piccole Missionarie Eucaristiche" è sintetizzato il dono di Dio alla Congregazione. Piccole perchè tutto l'insegnamento di Madre Ilia sarà sempre un invito di umiltà, alla minorità come condizione privilegiata per ascoltare Dio e gli uomini.
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