Riprendere il cammino ordinario della fede non è cosa facile. È sempre più naturale vivere momenti entusiasmanti, feste ed eventi sorprendenti. Ritornare alla quotidianità è ciò che ci destabilizza maggiormente, in quanto ci riporta alla nostra vita di sempre. È interessante, invece, il movimento della liturgia: dopo le grandi feste natalizie con luci e colori, siamo trasferiti in una festa di nozze. Quello di Cana è il primo dei segni di Gesù: egli si presenta oggi come lo sposo venuto a portare a compimento l’alleanza tra Dio e l’uomo e finalmente l’uomo ottiene il vino “bello”, simbolo di gioia e di amore. Nella Bibbia il rapporto tra Dio e l’uomo è simboleggiato dalle nozze: Dio è lo sposo, fedele, amorevole, forte, mentre l’umanità è la sposa, chiamati tutti ad un rapporto di intimità e di tenerezza con Lui. A Cana manca il vino; oltre a un errore di calcolo degli sposi, ci dice qualcosa di più: dov’è l’amore e la gioia? Con Gesù ognuno può gustare il vino della gioia! Con questo segno Gesù non fa fatto un miracolo di guarigione, ma ci ha semplicemente salvati da quel male sottile che distrugge la nostra umanità: la mancanza di amore e di gioia. Quanti adolescenti e giovani percepiscono che nelle loro case ormai da tempo non c’è più questo vino! Quante donne sole e rattristate si domandano quando l’amore se n’è andato. Quanti anziani si sentono abbandonati e senza il nutrimento dell’amore quotidiano dei loro figli. La mancanza di vino può essere anche la conseguenza della mancanza di lavoro, delle malattie, delle situazioni problematiche che le nostre famiglie attraversano; o un matrimonio che entra in crisi e non sai che fare, una relazione d’amicizia che s’incrina, un sacerdozio che scricchiola. Sperimentiamo così quello che dice il maestro di tavola: tutti prima servono il vino buono, ma poi, con il passare del tempo, quello meno buono; nel mondo tutto all’inizio è bello, pieno di vita e di amore. Poi, se non lo alimentiamo, tutto invecchia, decade: il vino si fa sempre più scadente. Solo chi vive distrattamente non se ne accorge. La nostra esistenza è una chiamata all’amore, a donarci, ad andare oltre noi stessi; ma c’è un momento nella vita in cui non ce la facciamo più, in cui finisce la nostra capacità di salvare le situazioni con le nostre forze, in cui non basta la buona volontà; abbiamo bisogno di aiuto. Cristo viene per darci questa salvezza, questa pienezza, viene per colmare i nostri vuoti interiori con il suo Spirito. Ma attraverso Maria ci chiede una cosa: di ascoltarlo. Lei ha capito che qualsiasi cosa dica Gesù va fatta, perché Lui è il Signore e può tutto! Il Signore ordina di riempire le giare e di portare il vino al maestro di tavola. È curioso: sono i servi a far tutto, Dio sta fermo: Dio lo fa fare a noi il miracolo. Egli ci chiede obbedienza: e smettiamola di fare di testa nostra, di seguire le nostre strategie, obbediamo a Lui! Quante volte noi arriviamo al punto di non farcela; lì abbiamo due scelte: o lasciare tutto, oppure usare quella crisi per cercare nuove risorse, senza scappare. Ma dove trovare la forza di andare oltre? Ecco, quella è l’ora di mettersi nelle mani di Dio, di provare ad obbedirgli sul serio, di invocare e fare esperienza del Suo Spirito, perché è l’obbedienza a Dio la via d’uscita di tutti i nostri vuoti!
Il racconto lucano che la liturgia di questa domenica ci invita a meditare , nella festa del Battesimo di Gesù, tocca una domanda cruciale della nostra fede: ”Chi è Gesù?”. Tale domanda ha ricevuto un’infinità di risposte, che mostrano il tentativo da parte del credente, di accostarsi al mistero della sua presenza..
Sullo sfondo della scena c’è il popolo dei battezzati, da cui avanza la figura di Gesù. Il centro focale non sta nell’azione battesimale, ma nei fatti che l’accompagnano: si aprono i cieli, lo Spirito scende verso di Lui e si ode una voce che annuncia l’identità di Gesù:” Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento”.
I cieli che si aprono non preludono a una visione celeste, ma alla discesa sulla terra dei beni divini, dei quali il principale è proprio lo Spirito Santo, effuso su tutti, attraverso il Figlio, che lo possiede in pienezza. Egli è” il Figlio amato”, che offre l’unico sacrificio accetto al Padre; è il nuovo popolo che viene definitivamente liberato: lo Spirito non solo scende su Cristo, ma rimane su di Lui “perché gli uomini riconoscano in Lui il Messia, l’inviato a portare ai poveri il lieto annunzio”. Lo Spirito, che non aveva più dimora fra gli uomini, ora rimane sempre nella Chiesa. La missione di Cristo è prefigurata in quella del Servo di Jahvé, colui che porta su di sé i peccati del popolo. In Cristo che si sottopone ad un atto pubblico di penitenza, vediamo la solidarietà del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo con la nostra storia.
Gesù non prende le distanze dall’umanità peccatrice, al contrario, si immedesima con essa per meglio manifestare il mistero del nuovo lavacro. Dopo il battesimo, Gesù prega, insegnandoci che solo nell’interiorità anche noi possiamo diventare consapevoli di ciò che accade nei sacramenti. Solo nell’interiorità, coltivata con determinazione, possiamo fare esperienza di quanto siamo amati. Solo nella preghiera scopriamo che la presenza di Dio è fuoco che illumina e consuma.
Signore Gesù, Figlio amato, sei venuto tra noi peccatori percorrendo i nostri stessi sentieri di conversione. Tu hai scelto e vissuto il nostro stesso camminare nel mondo per incontrare Dio. Non ci hai svelato un Dio irraggiungibile, onnipotente e lontano, ma il volto di un Dio , come padre vicino e pastore attento. Tu, figlio amato, sei sceso in campo per noi, senza disdegnare la nostra fragilità e il nostro peccato: sei sceso tra noi per sollevarci verso Dio. Noi ti lodiamo e ti ringraziamo!
Con questo ritornello ripetuto nel salmo responsoriale, abbiamo la chiara manifestazione dell’intento primario di Dio: tutti sono suoi figli, tutti sono chiamati a vivere in Lui senza preferenze di nessun tipo.
È la storia raccontata oggi da san Matteo circa i Magi, i cercatori dell’oriente, i quali, in base ai propri studi circa l’astronomia e agli studi delle “Scritture” da parte dei sapienti di erode, si mettono in cammino per cercare, trovare e adorare, il nuovo Re, il Figlio di Dio.
La nascita del Salvatore – Re, mette in discussione il potere politico del tempo: Erode ha paura (v. 3) di perdere il proprio impero e vuole servirsi della ricerca dei Magi (v. 7) non per accogliere Dio nella propria vita, ma per vedere come sbarazzarsene, anche se questo costerà la vita di tante altre persone (strage degli innocenti).
I Magi, invece, seguono la stella apparsa sul loro cammino, seguono il desiderio che li porta fino alla casa dove era riunita la sacra famiglia e lì, donando i loro doni (v. 11), si prostrano e riconoscono Dio nell’umiltà, nella piccolezza, nell’infanzia di un Bambino. È questa la vera regalità di Dio che non poggia su regni umani, su potenza, forza e ricchezza, ma sulla piccolezza e sulla necessità!
Quanto è lontano questo modo di pensare dal nostro! Dio ci ricorda che la forza vera che viene da Lui sta nella nostra debolezza e noi ricerchiamo potenze terrene; Dio ci ricorda che la ricchezza vera risiede nella povertà e nell’aver bisogno degli altri per la nostra crescita umana e affettiva e noi ci riempiamo di beni consumistici senza fine per sentirci qualcuno che conta, che vale, che è apprezzato…
Dove ci guida la nostra stella (v. 2)? Dove ci porta il nostro desiderio? Verso questo Dio che fa di noi la Sua dimora o verso altri approdi che ci lasciano sempre un senso di vuoto? Dio si “manifesta” a noi e noi dobbiamo solo accoglierlo nella nostra vita e fare di questa un’offerta continua per Lui e per i fratelli.
È questo il senso della solennità odierna in cui l’epifania – manifestazione del Signore ci ricorda che per scorgerlo presente in mezzo a noi, dobbiamo orientare verso di Lui tutto il nostro desiderio e tutta la nostra persona, perché una volta trovatoLo, possiamo inginocchiarci e adorarLo in un rispettoso silenzio fatto di preghiera, di offerta, di lode.
Dopo aver contemplato la Santa famiglia nella grotta di Betlemme, dove ha inizio la loro storia, ora la troviamo in viaggio verso Gerusalemme. E’ una famiglia chiamata a custodire il mistero, e la sua storia inizia proprio accogliendo il mistero dell’Incarnazione: accogliendo sulla terra il figlio di Dio. Come tutti i buoni ebrei, Maria e Giuseppe si recano a Gerusalemme, al tempio. E il tempio sembra essere il luogo preferito anche da Gesù che ormai ha dodici anni e discute con i dottori della legge, mentre i suoi genitori lo cercano affannati. Proprio come in una normale famiglia ci si perde, ci si cerca e ci si ritrova. Si vive l’ansia dell’essere genitori: Maria e Giuseppe cercano il figlio, sentono la responsabilità della custodia nei confronti di Gesù e, spontaneo, viene il rimprovero di Maria: “Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco tuo padre e io, angosciati ti cercavamo”. Poche parole come sempre, da parte di Maria, ma che esprimono pienamente lo stato d’animo e soprattutto rivelano che ancora i genitori di Gesù non hanno compreso fino in fondo chi è Gesù. Sarà la sua risposta a rimetterli sulla strada della comprensione di questo grande mistero. La risposta di Gesù ricorda loro che il suo posto è la casa del Padre, che lui è il figlio di Dio a loro affidato. La risposta di Gesù ricorda loro di fare come i maestri della legge nel tempio: ascoltarlo e mettersi alla sua scuola. Non comprendono Maria e Giuseppe, ma intuiscono che ancora una volta si devono fidare di questo progetto che proprio a Gerusalemme si compirà. Ricomincia la loro vita di silenzio, tutti riprendono il quotidiano, Gesù torna ad essere sottomesso pur rimanendo figlio di Dio perché chi si abbassa non perde nulla della propria dignità. Il Dio che per trent’anni vivrà silenziosamente a Nazaret ha scelto la via dell’amore e non dell’apparenza, la via delle piccole cose e non i grandi palcoscenici. La sottomissione di Gesù e il silenzio di Maria sono la grande lezione per ogni famiglia che vuole santificare la vita, vuole custodire l’amore, vuole camminare insieme. Per ogni cammino di comunione vero c’è bisogno di chi ascolta, di chi fa silenzio, di chi custodisce nel cuore ogni evento. Di chi accetta di proseguire pur non avendo compreso, di chi non smette di cercare l’altro…Che la Sacra Famiglia ci insegni a vivere cosi le nostre relazioni!
Durante le trascorse tre domeniche del tempo di Avvento la liturgia ci ha invitati a riflettere sulla speranza, sulla conversione, sulla gioia; oggi, quarta domenica di avvento ci viene annunciato dal profeta che il Salvatore nascerà in una piccola città, Betlemme, nella quale è nato il pastore di Israele, Davide, e il Cristo Gesù tanto atteso proprio da lui.
La liturgia di oggi è ancora un invito alla gioia, la gioia che nasce dall’aprire il cuore a Gesù e alla sua Parola; il Vangelo infatti ci racconta dell’incontro gioioso tra Maria e Elisabetta. La risposta di Maria all’annuncio dell’angelo: “Ecco sono la serva del Signore” diventa immediatamente disponibile per tutti gli uomini e si fa servizio.
Maria, saputo che la cugina Elisabetta era incinta, partì subito sostenendo un lungo viaggio attraverso una regione montuosa e giunse in una piccola città della Giudea dove viveva Elisabetta. Non appena fu entrata, il bambino di Elisabetta sussultò di gioia e la cugina, colma di Spirito Santo, la salutò con le parole: “Benedetta tu fra, le donne e benedetto il frutto del tuo grembo. A che debbo che la madre del mio Signore venga a me?” La gioia di Maria nasce dalla sua fede, dall’aver creduto alle promesse di Dio; le due donne in situazioni diverse aspettano un bambino e sono la dimostrazione che a Dio niente è impossibile!
Ma Maria è soprattutto “Beata, perché ha creduto alla Parola del Signore” e ha realizzato con il suo “sì” la volontà del Padre su di lei, non ha chiesto spiegazioni, si è fidata di Dio, ha avuto fede in lui.
Beato dunque chi ha fede, chi si fida del Signore, chi crede che vale la pena amare, donare senza riserve affinché Gesù possa ancora operare in noi e attraverso di noi… solo così sarà Natale.