Nel vangelo di Marco, i farisei, volendo mettere alla prova Gesù per poi incolparlo di un qualche reato, lo interrogano circa la possibilità di divorzio che, secondo la legge di Mosè, era possibile praticare dai soli uomini del popolo di Israele (Dt 24,1-4).
Gesù, come sempre, non si lascia trarre in inganno e va direttamente al centro del problema ricordando loro che il cuore dell’uomo dopo il peccato è diventato insensibile e di pietra perdendo così la sua condizione originaria di essere con, essere per ed essere in Dio e con gli altri. L’alleanza si infrange e l’uomo si scopre solo, limitato e chiuso in se stesso. Ma all’inizio non fu così: Dio creò l’uomo e la donna perché i due vivessero insieme e fossero una carne sola (Gen 2,24). È questa la vocazione originaria di ogni essere vivente: vivere la vita come dono rispondendo nella fede al piano originario di Dio; solo così potremo evitare di cadere in un nuovo legalismo o formalismo come quello dei farisei del tempo e potremo comprendere che amare ed amarsi nella reciprocità è sì difficile perché spesso la durezza del cuore, l’egoismo, la superbia, la prepotenza prendono il sopravvento, ma che è anche una scuola di vita in cui si impara a scoprire l’altro non come oggetto di possesso o mezzo da manovrare a proprio piacimento, bensì un altro da accogliere e valorizzare per dare vita alla “diaconia”, al servizio reciproco nella coppia, nella famiglia, nella Chiesa.
Gesù ci insegna che la via per realizzare tutto ciò è la semplicità: diventare come bambini, come persone cioè che nella fede sanno di non essere soli ma sempre illuminati e guidati dal Padre a cui potersi sempre affidare con tutto il cuore certi di trovare aiuto, comprensione, ristoro.
Signore, ti ringraziamo di averci dato l’amore. Ci hai pensato “insieme” prima del tempo e fin d’allora ci hai amato così, e ci hai creato l’uno per l’altro. Il nostro amore è nato dal tuo, immenso, infinito.
Signore, che tutto conosci, fa’ che noi pure ci conosciamo profondamente. Che le difficoltà e le asprezze dell’indole, i piccoli malintesi, gli imprevisti e le indisposizioni incontrino in noi la generosa e cortese volontà di sacrificarci, di capire, di perdonare. Amen (S. Perico S.J.)
“La gente, chi dice che io sia?” […]”Ma voi, chi dite che io sia?”. Eccoci di nuovo davanti a questa difficile domanda di Gesù. È una domanda che nasce lungo il cammino, mentre si percorre la strada con lui, mentre sotto gli occhi avvengono miracoli, mentre la presenza di Gesù lascia una scia di bellezza e mistero, e nei cuori più sensibili il desiderio di essere felici: “Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?» (Mc 10,17). Lungo questa strada e percorrendo questi villaggi Gesù ha incontrato una umanità dai mille volti: chi lo accoglie e chi lo rifiuta, chi si fida di lui e chi lo mette alla prova, chi pensa già di sapere cosa fare – basta osservare i comandamenti – e, chi si domanda se veramente osservare è anche amare. E allora bisogna interrogarsi, ed è l’atteggiamento proprio di chi è già in cammino, chiedersi chi stiamo cercando e seguendo. La prima domanda di Gesù, “La gente, chi dice che io sia?”, è semplice, non impegna il cuore, basta riferire. E i discepoli lo fanno, probabilmente parlano tutti. L’evangelista Marco usa il plurale, forse raccontano molto di più di quanto riportato sinteticamente nel vangelo. Molto più impegnativa è “Ma voi, chi dite che io sia?”, interroga la loro persona, le loro vite, il loro cammino. Gesù con questa domanda richiama la loro consapevolezza. Non è infatti una domanda che serve a Gesù, ma ai suoi discepoli di ogni tempo, a noi che ancora oggi con Lui percorriamo strade, villaggi, metropoli incrociando storie e vissuti. E mentre viviamo tutto questo ci può capitare di dimenticare chi sia il Signore per noi o di non averne la piena consapevolezza. Serve a noi sapere chi è Dio per noi. E allora ben vengano le soste che non fanno fermare, ma bensì aiutano a ripartire. Anche i discepoli con Pietro sono chiamati a questo passaggio, ripatire dopo una verifica onesta e mettersi dietro al Maestro che annuncia la via della croce, quale unica strada dell’amore vero e eterno. Ogni volta che si tenta di deviare da questo percorso arriva puntuale il rimprovero che ci riposiziona al posto giusto, cioè dietro a Lui per ri-imparare a pensare secondo Dio. Altra cosa e aver intuito chi è Gesù e altra è condividere poi la sua logica e intraprendere la stessa sua strada. Chi non la pensa come Lui automaticamente diventa ostacolo all’amore vero che chiede tutto e dona tutto. E allora Gesù ritiene necessario chiarire questa sua scelta, discepoli e folla non hanno compreso che se qualcuno vuole seguirlo deve fare i conti con questa nuova prospettiva che ci vede perdenti ma felici, deboli ma capaci di amare, poveri ma in grado di offrire la vita… perchè “nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (GV 15,13). Sr Giuliana Imeraj
Il vangelo di oggi (Mc 9,30-37), XXV domenica del tempo ordinario, inizia con la narrazione del secondo annuncio della Passione, morte e resurrezione di Gesù.
Così come nel primo annuncio, raccontato dall’evangelista Marco nel capitolo precedente, i discepoli sono spaventati ed hanno paura; loro continuano a sognare un Messia glorioso, mentre Gesù presenta la sua vita come un “essere consegnato nelle mani degli uomini” (V.31). Essi sono preoccupati di stabilire chi sia tra loro il più grande e chi deve comandare, mentre Gesù invita a servire.
Fa molto stridore il contrasto tra il dono della vita da parte di Gesù e la ricerca di potere da parte dei Dodici. Gesù ancora una volta non li rimprovera, ma cerca di prepararli indicandogli la giusta via da seguire, quella del servizio umile e disinteressato: “Se uno vuol essere il primo sia l’ultimo e il servo di tutti” (v.35)
Questo atteggiamento di donazione totale costituisce il discepolo nella sua autentica dignità; questo atteggiamento se interiorizzato e assunto prepara alla passione e alle sue conseguenze. Il messaggio di Gesù è ulteriormente esplicitato nel simbolo del bambino, operando un salto di qualità nella figura che esso aveva in quel tempo. I bambini rappresentano la totale disponibilità e l’abbandono senza calcoli, doppiezze e interessi.
Con il messaggio di oggi Gesù invita anche noi a prepararci per salire alla nostra Gerusalemme, al nostro incontro con Dio. E’ una strada in salita e non priva di difficoltà, ma Egli ci indica la via: la scelta dell’ultimo posto e l’accoglienza di coloro che non contano come i bambini.
Chiediamo al Signore di venirci incontro nel nostro continuo bisogno di emergere facendoci mettere le nostre potenzialità, i nostri doni, a servizio dell’amore, facendoci l’ultimo di tutti e il servo di tutti.
In queste domeniche agostane la liturgia ci ha fatto riflettere e meditare sul discorso del Pane di vita, il Vangelo di Giovanni aveva interrotto il racconto di Marco che oggi riprende.
E ci presenta Gesù circondato da scribi e farisei, gli esperti della Legge e i severi osservanti della religiosità altrui: “Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?” (Mc 7,5-6). Gesù, in ogni incontro e anche questa volta, è duro con loro; usa parole pesanti “razza di vipere”, “ipocriti”, ” sepolcri imbiancati “, “guide cieche” Mt 23, 1-39)… Essi sono chiusi allo Spirito, incapaci di vedere il bene, di cogliere i segni della profezia; ancorati alla Legge e alle prescrizioni. Gesù, appena nel capitolo precedente (Mc 6), aveva moltiplicato il pane, guarito malati, storpi, ciechi…eppure questa delegazione di esperti, di saccenti delle cose di Dio, non pone attenzione al flusso di bene che scaturisce da Gesù. Si sono messi in viaggio da Gerusalemme a Cafarnao, ma non cercano la verità, cercano solo conferme ai loro pregiudizi. La loro religione sta tutta qua, in questa osservanza esteriore, rigorosa, a volte violenta, della legge; “…legano dei fardelli pesanti e li mettono sulle spalle della gente; ma loro non li vogliono muovere neppure con un dito” (Mt 23, 4).
Gesu tenta a più riprese di rompere i loro schemi in cui hanno rinchiuso Dio e la religione… Erano 613 i precetti e le norme che ogni pio israelita doveva osservare! Gesù tenta di far comprendere loro quello che un giorno aveva cercato di far comprendere alla samaritana: “Ma è giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità […] Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità”(Gv 4, 23-24). Si adora Dio nella verità della propria vita, non si può imprigionarlo o ridurlo nelle nostre categorie: “Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va” (Gv 3, 8).
Gesù rompe con le pratiche religiose del tempo e inaugura il tempo dello Spirito…Supera la religione con la fede che, quando è vera, è sempre un’esperienza liberante. “Quando un uomo e’ libero, allora e’ un uomo perfettamente religioso , cioè vive in una dimensione di coscienza cosi’ sconfinata, così nuova, così viva, che si muove con le sue proprie gambe, pensa con il suo pensiero, sente con il suo sentimento e valuta e decide le sue azioni in conformità a questa sua coscienza interiore che e’ stata liberata dalla sua partecipazione alla grande avventura cristiana” (Vannucci).
La fede che Gesù ci dona è esperienza liberante ed estroversa che ci apre agli altri e al mondo…”La spiritualità non è disgiunta dal proprio corpo, né dalla natura o dalle realtà di questo mondo, ma piuttosto vive con esse e in esse, in comunione con tutto ciò che ci circonda” (Laudato si’ nr. 216).
Saremo giudicati non sulle nostre osservanze esteriori, ma su quanto avremo cercato- nella verità del nostro cuore – l’incontro con il Signore e con il resto dell’umanità.
La guarigione del sordomuto, di cui ci parla il brano evangelico odierno, è ambientata nella zona della Decapoli, in pieno territorio pagano. Il sordomuto, condotto da Gesù, diventa il simbolo del non credente che compie un profondo cammino di fede. La prima azione messa in atto da Gesù è quella di portare l’uomo lontano dalla folla, come portò Israele su ali di aquila fuori dall’Egitto e come conduce ciascuno di noi fuori dalle proprie schiavitù, aiutandoci a guardarle con sincerità e verità.
Il Signore non vuole dare pubblicità al suo gesto taumaturgico; ma non desidera neanche che la sua parola sia coperta dal frastuono delle voci dell’ambiente circostante. Il gesto di condurre da parte il sordomuto è un segno di rispetto; mostra da un lato la costante volontà del Figlio di Dio di non fomentare la curiosità della gente e dall’altro quella di stabilire un incontro più intimo, in cui si manifesti il mistero e la bellezza di una relazione salvifica, esclusiva e personale. Gesù si sottrae alla ressa della folla per manifestare, nel segreto, qualcosa che supera ogni umana comprensione e che, come afferma l’apostolo Paolo ”Dio ha preparato per quelli che lo amano” (1 Cor 2,9).
Il Figlio di Dio si fa carico della sofferenza dell’uomo che ha dinanzi, emettendo un sospiro. La Parola di Dio che Egli ci trasmette ha bisogno di silenzio per essere percepita e accolta come parola che guarisce e risana; che riconcilia e ristabilisce la comunione intima con Dio. Vengono poi evidenziati due gesti compiuti da Gesù: gli mette le dita negli orecchi e con la saliva gli tocca la lingua. Il Maestro di Nazaret non guarisce a distanza; per ripristinare la relazione con quell’uomo, cerca prima di ristabilire un contatto diretto. E siccome il miracolo è dono dall’alto, lo implora dal Padre: per questo alza gli occhi al cielo, come quando si rivolge a lui prima di moltiplicare i pani.
Segue la parola potente ”Effatà” cioè “Apriti” e il sordomuto riprende a udire e a parlare. La folla di quel paese pagano, sbalordita, esplode in un riconoscimento strabiliante: ”Ha fatto bene ogni cosa…”.
”Apriti” è il comando che è stato rivolto anche a ciascuno di noi nel giorno del battesimo. Attraverso questa “guarigione”, che ci permette di aprirci all’ ascolto e alla proclamazione della Parola di Dio, noi diventiamo credenti e profeti. Nel sordomuto del Vangelo possiamo rispecchiarci, soprattutto quando diventiamo incapaci di ascoltare, vivere e comunicare la Parola di salvezza.
Chiediamo, perciò, al Signore che apra il nostro cuore e lo renda disponibile ad accoglierlo, vivente, nei fratelli che quotidianamente incontriamo lungo il nostro cammino.