In questo vangelo proposto oggi alla nostra riflessione, campeggia ancora una volta la figura di Pietro. Se domenica scorsa il principe degli apostoli si era meritato il complimento del Signore per aver riconosciuto in lui il Cristo, il Figlio del Dio vivo, questa volta, mostra invece tutta la sua incapacità nel comprendere il senso ultimo della vita del Cristo.
Il Signore annuncia la sua passione (v. 21), prossima, ma Pietro se ne scandalizza (v. 22)…Pensiamoci un po’ su; quante volte la croce scandalizza anche noi… quante volte ricalcitriamo contro la sofferenza che a volte viviamo… quante volte non pensiamo secondo Dio, ma secondo gli uomini (v. 23)… Pensare secondo gli uomini significa nutrire progetti e sogni di gloria, di potenza, di supremazia, di egoismo e invece il Signore ci insegna che se vogliamo seguirlo davvero, dobbiamo essere disponibili a rinnegarci (v. 24), a fare spazio a lui e agli altri, a non essere ripiegati solo su noi stessi, ma ad essere disponibili verso tutti in un amore che è di puro servizio. Abbiamo bisogno di vivere con lui, come lui, perdendo la nostra vita (v. 25), mettendo da parte le nostre innumerevoli pretese per scorgere le necessità dei fratelli.
In questi ultimi tempi, lo scenario mondiale è in subbuglio: guerre, carestia, siccità, cataclismi, uragani, terremoti… tutto è sotto i nostri occhi e non possiamo restare indifferenti solo perché non lo viviamo sulla nostra pelle. Abbiamo bisogno di conversione, di ritornare al Signore e di assumere la sua logica, di farci carico, nella preghiera e nella solidarietà, delle necessità dei fratelli.
A volte siamo tutti protesi a guadagnare il mondo (v. 26), a possedere quanti più oggetti lussuosi possibili che esprimano la nostra condizione sociale dinanzi agli altri. Oggi il Vangelo ci ricorda: “a che serve?” (v. 26)… è vero! A che serve possedere tanto se poi siamo chiusi e indifferenti agli altri? A che serve essere ricchi di oggetti, di denaro se poi non riusciamo a condividere nulla con nessuno? Credo che il vangelo odierno ci spinga proprio a riflettere sulla nostra vita presente, ma soprattutto su quella futura: la gioia passa per la croce e come il Maestro ci insegna, dobbiamo farcene carico altrimenti il Signore ci allontanerà da lui (v. 23) perché non ci riconosce come uomini e donne secondo il suo cuore.
Riprendiamo allora la nostra vita fra le mani, facciamone un’offerta nel cuore di Dio e apriamoci al mondo, alle sue angosce, ai suoi dolori, alle sue difficoltà… scopriremo che nel dono di noi stessi è racchiusa una gioia che non conosce confini!
Nel vangelo di questa domenica, XXI del Tempo Ordinario, troviamo Gesù che rientra in patria, a Cesarea di Filippo, e chiamati a sè i suoi discepoli fa loro una domanda: “La gente chi dice che io sia?” e dopo aver ascoltato la risposta della gente Gesù pone la stessa domanda agli apostoli: “E voi chi dite che io sia?”.
Chi era Gesù per la folla? Sicuramente un grande profeta. Chi era Gesù per i discepoli? Era il loro Maestro e Signore per il quale avevano lasciato casa, barca, padre, per seguirlo, ma erano ancora lontani dall’averne capito il mistero. Si aspettavano ancora un Messia, un liberatore d’Israele. Ma questa volta Pietro dà una bellissima risposta:”Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente”, tanto da farsi definire beato da Gesù stesso: “Beato te Simone, perché né la carne, né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli”.
La domanda, posta da Gesù stesso: “Voi chi dite che io sia?” è rivolta ancora agli uomini di oggi, a noi personalmente. Io, cosa penso di Cristo? Forse lo conosciamo perché viviamo in una società in cui ancora si intravvede il suo messaggio. Lo conosciamo, forse, per l’educazione religiosa ricevuta. Ma la domanda resta e le nostre labbra, spesso, sono senza risposta, o perlomeno senza una risposta piena, perché la sentiamo troppo impegnativa, perché implica tutto il nostro essere umano e spirituale: conoscerlo vorrebbe dire seguirlo e vivere per Lui e in Lui. Conoscere Lui significherebbe anche conoscere chi siamo noi, ma finché non sappiamo bene chi Gesù è per noi, non sappiamo bene neppure chi siamo noi
Così, a bruciapelo, oggi Gesù domanda: chi sono io per te? Cosa sei disposto a giocarti su di me? Quanto conto sul serio nella tua vita di tutti i giorni? Pietro rischia, osa tutto. Questo significa dire a Gesù che è il Cristo, il Messia tanto atteso, il senso vero della vita. Domenica della scelta, questa, scelta che continuamente siamo chiamati a compiere, giorno dell’incontro con lo sguardo del Nazareno che ci chiede adesione al suo progetto, che non vuole un’appartenenza di abitudine, ma una passione almeno pari a quella che lui ha per ciascuno di noi.
La Parola di Dio di questa domenica ci conduce dal deserto al mare, dal miracolo del pane a quello della pacificazione della barca del nostro cuore, sballottato da mille flutti. Dopo aver sfamato la folla, Gesù ordina ai discepoli di precederlo sull’altra riva del lago, mentre Lui si ferma per congedare quanti lo hanno seguito. Gesù è attento e si prende cura dei rapporti umani e, nello stesso tempo, radica il suo agire in una profonda relazione di amore e di fiducia nei confronti del Padre. Per questo cerca con determinazione spazi e tempi di solitudine, per stare davanti a Dio, in assoluta gratuità.
“Venuta la sera, egli era ancora solo, mentre la barca dei discepoli era in balia del vento e delle onde”: l’evangelista già intravede il cammino della Chiesa nella storia, sballottata tra avversità e tensioni. Essa però non sarà mai abbandonata dal Signore Gesù, che non solo prega, ma si fa anche misericordiosamente presente ai suoi e “viene verso di loro camminando sul mare”. All’inizio lo credono un fantasma, non lo riconoscono, “gridano dalla paura…”. La venuta di Gesù nella nostra vita , spesso si presenta in modo molto diverso da come ce l’ aspettiamo, ma Egli viene per ridare pace al nostro cuore e sicurezza al nostro cammino. La sua Parola: ”Coraggio, sono io, non abbiate paura!” ci ridona conforto e ci spinge a riprendere il cammino con fiducia, nella certezza che Egli è sempre al nostro fianco. L’episodio di Pietro, che Gli chiede di camminare sulle acque, è una specie di catechesi sulla realtà del discepolo, invitato ad affidarsi totalmente al suo Signore nelle situazioni che mettono a dura prova la sua fede. Anche per noi è così: Gesù ci raggiunge dove stiamo per affondare, al centro della nostra mancanza di fede e non punta il dito contro i nostri dubbi, ma ci tende la mano per afferrarci.
Il grido di Pietro ci insegna a non temere per la piccolezza della nostra fede, ci invita ad osare con fiducia sulla sua Parola. In questo racconto s’intravede un anticipo del rinnegamento e della conversione di Pietro nella burrascosa notte della Passione (Mt26,69-75), ma egli è ormai per sempre riabilitato e la sua fede è diventata esemplare.
Troppo spesso, ai nostri giorni, la paura ci assale; se ci guardiamo intorno intravediamo svariati segnali di morte, che rattristano il nostro cuore, ma la parola di Gesù resta l’unica in grado di rispondere alle nostre ansie ed angosce e a ridonarci pace e serenità. Nelle tempeste della vita, quando ci sembra di aver toccato il fondo, Gesù continua a rassicurarci: ” Coraggio, sono io…”e anche a noi, come a Pietro che gli chiede una prova della sua reale presenza, fa sperimentare, con successo, il cammino sul mare della storia. Camminare tra gli eventi contrari della vita non è facile; ma afferrandoci, con fiducia a Gesù, tutto diventa possibile, nulla più ci spaventa. L’esperienza di Pietro somiglia tanto alla nostra; quando crediamo di aver raggiunto una certa stabilità, ci capita di ritrovarci nuovamente tra le onde agitate di venti contrari. E’ il momento in cui dobbiamo invocare con rinnovata fede il nome di Gesù ed Egli ci prenderà per mano e ci ridarà sicurezza e gioia, ci permetterà di proseguire, senza paura, il cammino della vita.
Non ci farà mancare il nutrimento spirituale della sua Parola e del suo Corpo, ci renderà forti e saldi per affrontare il buon combattimento della fede. La sua presenza, nella barca della nostra vita, annienterà ogni nemico. Signore Gesù, donaci una fede grande, che ci permetta di affrontare le traversate e le tempeste della vita con coraggio e forza, nella consapevolezza che, affidandoci a Te, non affonderemo perché la tua mano ci sosterrà,perché tu sarai già nella nostra barca, nel nostro cuore.
In questa ventesima domenica del tempo ordinario è ancora la fede il tema centrale. Dopo che domenica scorsa Gesù ha incoraggiato la fede debole di Pietro, oggi è una donna pagana ad incoraggiare la nostra fede spesso arrendevole. Gesù si trova a Tiro e a Sidone, luoghi ostili all’annuncio, già nell’Antico Testamento simbolo di rifiuto di Dio e abitazione del male. Ma anche da questo luogo si eleva un grido: “Pietà di me Signore, figlio di Davide”: una donna cananea chiede l’intervento di Gesù. E sorprendentemente troviamo un Gesù che contraddice le altre pagine evangeliche dove siamo soliti vederlo sempre attento ai bisogni, pronto all’ascolto, vicino agli ultimi. Ora Gesù tace e va avanti. Sono i discepoli a intervenire e la donna ad insistere, in ginocchio, supplicando aiuto e, muovendo così il cuore di Gesù, non può più tacere. La donna cananea supera ogni limite, anche il silenzio di Gesù, la sua è una fede “ostinata”. E anche se non è bene prendere il pane dei figli per darlo ai cagnolini lei chiede soltanto le briciole.
Una fede umile e intelligente ci insegna questa donna, capace di inserirsi nel progetto salvifico di Dio senza nulla pretendere, senza chiedere ciò che non le appartiene. «È vero, Signore – disse la donna –, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni». Bisogna indovinare le “briciole” per sconfiggere il male, per tenere i fili delle relazioni, per muovere il cuore di Dio. So le “briciole” di quelle piccole cose di poco conto, che si lasciano cadere senza neanche accorgersi, quella fede semplice nella quale non crediamo più perché troppo impegnati a cercare interventi eclatanti. Se solo fossimo capaci di vedere e desiderare le “briciole” piuttosto che ostinarci a volere il pane di altri! «Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri». Da una terra pagana arriva una grande fede, una fede di madre, una fede che comprende che nel cuore di Dio c’è posto per tutti, una fede davvero capace di smuovere le montagne. Non importa che questa donna probabilmente non ha mai invocato il Dio di Israele, non conosce la legge e i comandamenti; importa la sua fiducia che qualcuno può sconfiggere il male, può lenire il dolore, può amare oltre ogni confine e frontiera. È la fede che guarisce sua figlia, è sempre la fede a guarire ogni ferita e ogni male.
Solo due capitoli dopo Gesù dirà: “In verità vi dico: se avrete fede pari a un granellino di senapa, potrete dire a questo monte: spostati da qui a là, ed esso si sposterà, e niente vi sarà impossibile” (Mt 17,20). Briciole e senape, tanta la fede che ci è necessaria…e nulla ci sarà impossibile.
Con questa espressione quasi enigmatica l’evangelista Matteo ci racconta un evento importante non solo per Gesù, ma soprattutto per i suoi tre discepoli, Pietro, Giacomo e Giovanni che rappresentano un pò tutti noi. Il testo è posto subito dopo il riconoscimento del Signore da parte di Pietro e dell’annuncio della passione da parte di Gesù, a cui Pietro reagisce con veemenza perché non riesce ad immaginare un Messia “debole”, destinato al fallimento e alla morte.
Gesù, come nuovo Mosè, sale su un alto monte (v. 1), luogo per eccellenza dell’incontro con Dio e fu trasfigurato davanti a loro, entra cioè in uno stretto contatto con il Padre, tanto da brillare di forte luce e splendere di candore. In realtà, la trasfigurazione, simbolo del vero incontro con Dio (Anche Mosè ardeva in volto di forte luce dopo l’incontro con Javhè) è un momento fondamentale nella vita di questi tre discepoli che sono resi partecipi della gloria futura. Il ricordo di questo evento li dovrà sostenere e accompagnare nelle diverse vicende dolorose che di lì a poco si sarebbero consumate. A dare testimonianza a Gesù ci sono Mosè ed Elia (v. 3), simboli della Legge e delle parole dei profeti che in Cristo vengono portate a compimento, ma su tutte eccelle la voce del Padre che lo indica come proprio Figlio invitandoci ad ascoltarlo (v. 5).
Credo che la parte più importante di tutta la pericope a noi proposta, quest’oggi, sia proprio l’invito all’ascolto del Figlio di Dio, alla sua parola che non solo ristora il nostro cuore e le nostre deboli forze nel cammino della vita, ma che ci aiuta soprattutto a trasfigurare tutte quelle realtà per noi difficili e senza senso. È solo ponendo lo sguardo in lui che possiamo brillare di luce, luce che illumina tutti gli eventi che noi viviamo, tutta la nostra esistenza, dandogli un significato pieno e vero. Sì, il nostro essere cristiani deve porre le sue fondamenta sulla salda roccia della Parola facendo un po’ di silenzio dentro e fuori di noi per ascoltare come fare, cosa fare, come meglio vivere.
La trasfigurazione, allora, diventa il luogo di incontro con Dio, così profondo, così entusiasmante che vorremmo fare proprio come Pietro, tre tende, per restare sempre con il Signore (v. 4); ma, “quando una stilla di rugiada è caduta su di te, non dimenticarti dei fratelli tuoi”, ci ricorda la nostra fondatrice, madre Ilia Corsaro. Quando abbiamo incontrato veramente il Signore e dato ascolto alla Sua Parola, abbiamo il dovere di portare agli altri questo messaggio di profonda gioia che dà luce a tutto il nostro essere, a tutto il nostro esistere. Non dobbiamo temere (v. 7), dobbiamo alzarci e diffondere ovunque, con la nostra vita rinnovata, la parola d’amore che conquista, trasforma, eleva (madre Ilia Corsaro).