Nel Vangelo delle ultime domeniche del Tempo Pasquale ascoltiamo alcune espressioni tratte dai “discorsi di addio”, pronunciati da Gesù al termine dell’ultima cena con i suoi discepoli. Attraverso di essi, ci parla il Signore glorioso, risorto e vivente, con parole che condensano tutta la “buona notizia” e gettano un ponte tra la vita terrena di Gesù e la sua venuta nella gloria.  La separazione tra Gesù e i suoi discepoli è vicina ed Egli ha appena preannunciato il tradimento di Giuda e il rinnegamento di Pietro. Affinché non si rattristino di fronte alla separazione, si rivolge a loro con un’espressione di grande tenerezza ”Non sia turbato il vostro cuore” e li invita alla fede nel Padre e in Lui. I discepoli, in realtà, sono turbati perché non comprendono cosa stia accadendo, per questo Gesù li precede, li orienta, li prepara.  Il suo discorso e le sue azioni mirano a predisporre i loro occhi e il loro cuore allo svelamento del piano di salvezza di Dio.

Egli vive nel Padre, in Lui dimora e quando spiega il suo ritorno a Lui e il suo venire ai discepoli, non allude semplicemente al suo farsi vedere dopo la risurrezione o al suo ritorno glorioso alla fine dei tempi, ma al suo dimorare in ognuno, al divenire uno spirito solo con Lui, nell’amore del Padre, suoi testimoni nel mondo. Per questo Gesù, prima di lasciarli, promette che la separazione sarà solo temporanea. E’ la grande consolazione riservata a quanti aderiscono a Lui e con Lui vivono un rapporto di profonda intimità: niente e nessuno potrà rapirli dalla sua mano.

Alla domanda di Tommaso, il Signore risponde non solo indicando la meta, ma mostrando anche la strada per raggiungerla: “Io sono la via, la verità e la vita”. Parole solenni che esprimono la singolarità del cristianesimo: da quando Dio si è fatto uomo in Gesù, ha aperto all’uomo un sentiero unico per incontrarlo. La successiva richiesta di Filippo:” Signore, mostraci il Padre e ci basta” non è altro che il grido di colui che cerca la perfezione della fede.  E’ il grido che abita il cuore di ciascuno di noi e che ci spinge a fidarci ed affidarci a Lui, vivere in Lui, partecipi del suo stesso amore. E’ l’ardente desiderio del nostro cuore, di cui portiamo così intima traccia, da averne una profonda nostalgia.

Signore Gesù, maestro buono, il nostro cuore è spesso turbato a causa del male che incombe fuori e dentro di noi. Aumenta la nostra fede in te e nel Padre tuo, affinché ti riconosciamo come via, verità e vita e ci impegniamo, nel nostro quotidiano cammino, alla realizzazione del tuo piano di salvezza.

Sr Annafranca Romano

Tutti gli anni la liturgia dedica questa domenica pasquale a presentarci Gesù nell’immagine – simbolo del “buon pastore”.  Il vangelo di questa domenica è molto chiaro: le pecore sono il popolo di Dio che vive nel recinto della morte e che chiamato dal pastore “bello”, deve venir fuori verso i pascoli della vita eterna che lui solo può dare.

Per uscire c’è bisogno di ascoltare la sua voce, la sua Parola che libera e salva. Il pastore entra in questo recinto attraverso la porta: è di casa! Chiama le pecore una ad una perché con ognuna di esse ha una relazione profonda di comunione e postosi davanti a loro apre il cammino per la libertà. Chi non entra per la porta, chi non ha cura del bene delle pecore, chi le considera solo un mero possesso di cui servirsene è un brigante, non è di casa ed entra per forza nel recinto per spadroneggiare sulle pecore e non per dare vita in abbondanza. In queste poche parole Gesù sta ricordando ai suoi uditori che i farisei, i quali non avevano accolto né compreso il miracolo accaduto al cieco nato, spadroneggiano su di loro “imponendo pesanti fardelli” che tolgono loro la vita. Lui, invece, il Signore desidera radunare le pecore affinché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza. Questa è la bellezza della Parola che ogni domenica ci viene proclamata. Attraverso essa il Signore ci parla e noi se abbiamo familiarità con lui, ne riconosciamo la voce e lo seguiamo ovunque egli vada con la certezza di essere accompagnati lungo il sentiero della vita.  Vigiliamo su questo dono. Ascoltiamo con attenzione la sua voce, facciamone tesoro e scopriremo i pascoli della comunione nei quali ognuno di noi potrà ritrovare la propria relazione di figlio e di fratello.

Non ascoltiamo voci che ci conducono lontano dal Signore e che ci fanno sperimentare quella morte interiore che spesso abita nel cuore di ciascuno di noi.

Suor Simona Farace

In questa terza domenica di Pasqua il Vangelo ci propone un’altra apparizione di Gesù risorto, dopo quella esclusiva alle donne al sepolcro. Gesù ci viene incontro con discrezione e delicatezza rispettando il nostro cammino di uomini e di credenti, così  ha fatto “La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato…” mostrandosi sulla strada verso Emmaus.

Un vero e proprio itinerario esistenziale e liturgico può essere ravvisato nei segni del racconto di Luca che oggi ascoltiamo e nella dinamica dell’incontro e della relazione che esso propone. I due discepoli si lasciano alle spalle l’esperienza con il Maestro, l’hanno ormai archiviata, e sono incapaci di comprendere la loro storia, di riconoscere il nuovo…”i loro occhi erano impediti a riconoscerlo”.  Eppure nel loro fallimento e frustrazione c’è un segnale di vita, di speranza ancora: i due non si separano, camminano insieme, “conversano e discutono insieme”…Cercano, senza trovarlo, il senso di quanto accaduto finchè in questo dialogo si inserisce lo sconosciuto che li affianca. Attraverso le sue domande discrete e puntuali, questo straniero li aiuta ad rielaborare l’esperienza vissuta, dà loro la chiave per decifrarla…Comprendono che  non sono vittime di un destino assurdo e folle, la croce di Gesù non è stato un incidente di percorso che ha infranto sogni e attese…ma sul serio “Dio ha tanto amato il mondo da donare suo Figlio, perchè il mondo non fosse condannato, ma salvato”. Lo sconosciuto spiega le Scritture, la stessa parola di Gesù che negli anni di sequela nè i discepoli, nè gli apostoli avevano compreso. Egli ripropone la Buona Notizia di un Dio vicino, di un Dio con noi che non viene a spiegarci perchè c’è tanto male nel mondo, tanta violenza…ma un Dio che sceglie la via povera, fragile, umile della vita donata, del “pane spezzato” che diventa segno inequivocabile della sua presenza e del suo stile.

Così  ha fatto quella sera mostrandosi sulla strada verso Emmaus, così fa in ogni Eucaristia celebrata e vissuta: prende il pane, rende grazie, lo spezza e lo distribuisce. E noi siamo dentro questa dinamica di vita e di dono:  partecipi del suo dono e anche della sua missione…”Resta con noi, Signore”, perchè  annunciamo con franchezza e audacia il tuo Vangelo. Resta con noi e ridona passione e slancio al nostro impegno missionario e così possiamo testimoniare con la vita, più che con le parole,  che tu sei “davvero risorto”.

                                   sr Viola Mancuso

È risorto! Abbiamo atteso questa notizia durante tutto il cammino quaresimale e finalmente è arrivata: Cristo è veramente Risorto. Lo abbiamo cantato durante la veglia pasquale e ripetuto per tutta l’ottava di Pasqua. È risorto! Ci crediamo, ma come vorremmo poterlo vedere, conoscere, abbracciare!  Questa l’esperienza di ogni cristiano… in ogni tempo!

Nella liturgia della seconda domenica di Pasqua, la Parola di Dio ci fa vivere l’esperienza pasquale raccontata nel Vangelo di Giovanni nel capitolo 20,19-31 e ci fa ripercorrere il percorso che hanno compiuto i primi discepoli per arrivare alla fede. Dopo la narrazione del sepolcro vuoto e dell’incontro con Maria, c’è la visita di Gesù ai suoi discepoli; essi pur sapendo che il sepolcro era vuoto e pur avendo ricevuto l’annuncio da Maria della Resurrezione del Maestro, non lo hanno ancora incontrato.

Protagonisti del racconto: Tommaso, i Discepoli, il Risorto, lo Spirito Santo.Tante le sfide che ci propone: la pace, il perdono, la misericordia, la fede, la relazione con Dio.

I primi versetti ci portano dentro il Cenacolo, la sera di Pasqua, dove i discepoli sono chiusi dentro per la paura di essere perseguitati, ricercati, accusati ingiustamente. Sono chiuse le porte del cenacolo e quelle dei loro cuori. Hanno bisogno di vedere, non si fidano ancora di un annuncio. Per incontrare veramente il Risorto è necessario sì ascoltare un annuncio, ma è necessario contemplare i segni nel suo corpo, è necessario incontrarlo ed abbracciarlo ed essere personalmente invitati ad annunciarlo.

All’incontro con il Risorto però manca Tommaso. Quando torna, i discepoli gli danno la notizia, confusi, stupiti e pieni di entusiasmo. Tommaso non li crede . Non crede ma resta. Non fugge la compagnia dei suoi amici e della Chiesa nascente.

Anche lui vuole vederlo: è in gioco la sua vocazione di uno dei dodici, chiamato ad essere testimone diretto del Crocifisso risorto. Per testimoniarlo deve poter dire: “L’ho visto anche io”. È un bene per noi che sia stato assente: così comprendiamo meglio cosa è la fede. Dopo averlo incontrato e visto, Tommaso ha percorso tutto il cammino: è diventato credente e diventa testimone della fede. Anche oggi il Risorto entra nei nostri cenacoli chiusi e annuncia la pace, dona lo Spirito, ci offre l’opportunità di toccare con mano una nuova possibilità di vita, di vivere come Lui, amando! Il brano evangelico si conclude con l’affermazione che l’esperienza di fede nel Risorto è comune a molti, ai cristiani di ogni tempo, è comune ad ognuno di noi ogni volta che facciamo esperienza del risorto nei segni della sua presenza soprattutto nell’Eucarestia e nel sacramento del perdono.

Sono ancora freschi nel cuore e nella mente gli eventi della passione, l’ultima immagine impressa forse era proprio il grosso masso che aveva messo punto alla vicenda umana di Gesù. Quella grossa pietra diventa la preoccupazione delle donne e, come per non rassegnarsi, preparano gli aromi per Gesù. Chi ci rotolerà via il masso? Questa domanda accompagna il loro cammino, quando era ancora buio. Questa è spesso la domanda che accompagna anche il nostro andare, il nostro vivere gli eventi incomprensibili della nostra vita e della storia…Questa è la domanda che si insinua e spesso blocca la speranza. Ma bisogna comunque camminare, solo camminando si possono scoprire le sorprese, e l’alba arriva. Proprio all’alba del nuovo giorno Maria di Magdala scopre che la pietra non c’è più.

Primo segno di Pasqua, di resurrezione, ci vuole l’alba nuova dopo la dolorosa attesa per scoprire che neanche i massi sono insormontabili, per comprendere che per Dio nulla è impossibile. Gesù lo aveva già detto, ma siamo così facili a dimenticare le promesse e la fedeltà delle parole di Dio! Maria non comprende e non ricorda, anzi pensa di aver perso anche il corpo di Gesù. In momenti come questi il cuore chiede conferme, chiede aiuto, l’angoscia trova sponda in chi ha vissuto gli stessi eventi, in chi con te aveva creduto a quella via nuova che Gesù proponeva con fermezza. Inizia così la corsa di Pietro e Giovanni, accompagnata e spinta da un tumulto di sentimenti.  Gesù fa ancora correre, interrogare, muovere. Non si può stare chiusi nel cenacolo, bisogna rialzarsi dai propri rimorsi e paure.  Giovanni corre più veloce, è il discepolo che si sente amato, ha forse per questo una marcia in più. Sa correre, ma anche arrestare la sua corsa per attendere Pietro per fare esperienza della resurrezione insieme.  Non importa chi arriva per primo, conta sentirsi compagni di viaggio e di un avventura tutta ancora da interiorizzare…Quella tomba vuota va contemplata a più occhi e più cuori. Per comprendere forse è necessario chinarsi, come fa Giovanni. Quello che non si comprende con la sola intelligenza va contemplato e fissato nel cuore. In quella tomba vuota Pietro e Giovanni sono chiamati a scorgere e leggere i segni della resurrezione. È proprio quel vuoto a riportare alla mente l’esperienza, le parole, il loro vissuto con Gesù e fare poi in modo di “vedere e credere”.

La Pasqua si sperimenta e si vive insieme, insieme da credenti e fratelli, da credenti che corrono, si attendono, si chinano e insieme credono per ripartire sulle strade del mondo.

    suor Giuliana Imeraj

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