La parabola dei vignaioli omicidi, che la liturgia di questa domenica offre alla nostra meditazione, narra l’intreccio tra la fedeltà di Dio e la nostra infedeltà. Il suo venirci incontro e il nostro rifiuto.

   La parabola della vigna diventa icona della storia della salvezza, dell’agire di Dio nei confronti del suo popolo, del mondo intero e di ciascuno di noi. Prima di tutto viene presentato il suo amore e la sua tenerezza verso l’umanità. (Is 5,1-2), poi l’infedeltà del popolo eletto, il rifiuto opposto agli inviati di Dio e al suo stesso Figlio. Il dialogo di Dio con gli uomini si rivela in forma drammatica, ma alla fine è l’amore che trionfa. Ciò che agli occhi umani appare come la fine, è l’inizio di una storia nuova, di un popolo nuovo. La pietra scartata diventa il sostegno della storia. Dio trae il bene anche dal male. Il nostro peccato non ferma il suo disegno d’amore. Ascoltare Gesù significa sentirsi raccontare la propria vita, il proprio peccato, ma anche la tenerezza di un amore senza confini. Egli non è venuto per rimproverarci le nostre infedeltà, ma per aiutarci a riconoscere la Parola di Dio scritta nella nostra storia.

          La vigna è immagine di ognuno di noi, scelto e amato da Dio, invitato a prendere coscienza del dono della salvezza, per accoglierlo con responsabilità e custodirlo nel proprio cuore come il tesoro più prezioso. Occorrerà per questo recuperare tempi di silenzio orante, di ascolto, di meditazione della Parola, per viverla nel proprio quotidiano, portando il frutto che il Signore attende. Non ci accada che per nostra negligenza e superficialità, l’eredità sia affidata ad altri fratelli, più pronti, più disponibili, più vigilanti e solleciti nell’accogliere e nel custodire la grazia divina, portando frutto nelle opere buone.

   “Padre santo, tu sei il Padrone della vigna e nel tuo disegno di amore chiami gli uomini a collaborare con te, per portare frutti per il mondo. Guarda con amore questa umanità fortemente segnata dall’odio, dalla violenza e dall’oppressione. La fame di giustizia, di verità e di grazia trovi ancora spazio nel cuore di chi attende la salvezza operata da te, per mezzo del Figlio tuo. Amen”

Nel passo del Vangelo odierno, XXV domenica del tempo ordinario, Matteo racconta una parabola in risposta alla domanda di Pietro con cui si conclude il capitolo precedente. Pietro aveva chiesto che cosa riceve chi lascia tutto per seguire Gesù ed Egli gli aveva risposto “chiunque avrà lasciato case, fratelli… riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna” (Mt 19,29)

Ancora Pietro, ancora lui al centro, ancora lui che non si era reso conto che il “tesoro” era già lì, davanti a lui. Dopo aver lasciato tutto per Lui, Pietro, come noi d’altronde, pensa di dover ricevere qualcosa, ma Gesù, con questa parabola, ci dice che non è così. La parabola ci racconta di un padrone di una vigna che cerca operai per lavorare chiamandoli in diverse riprese, dalle prime luci dell’alba fino a sera inoltrata, pattuendo con i primi il compenso di un denaro. Fin qui è tutto “normale” … i problemi arrivano quando a fine giornata il padrone della vigna dà agli ultimi chiamati lo stesso compenso pattuito con i primi. Perché mai chi ha lavorato un’ora soltanto viene trattato come chi ha “sopportato il peso della giornata e il caldo?” (v.12). È qui che si manifesta la novità dell’agire di Dio rispetto all’agire degli uomini, novità che ai nostri occhi può sembrare perfino ingiustizia. Eppure:” Amico, io non ti faccio torto” (v.13), quasi a dire, se agli ultimi ho fatto un dono, a te non è stato tolto niente di ciò che è tuo.

Quando il Signore dona non è mai da considerarsi un diritto acquisito per le nostre opere, ma è sempre un dono gratuito della Sua bontà e come tale non può essere “giudicato”, ma solo accolto o rifiutato. Per poter entrare in relazione con Dio è quindi necessario un cambiamento di mentalità: dalla logica del merito, di chi vive di pretese e non riconosce né ammette doni, alla logica della gratuità, che è il segreto del Regno di Dio.

Siamo amati per quello che siamo, senza paragoni né preferenze e nella vigna Dio c’è posto per tutti. Scoprire che tutto è dono, la vigna, il caldo, il lavoro, la fatica, ecco il modo di vivere al cospetto di Dio cercando il suo regno. Chiediamo al Signore di farci accettare con gioia il posto che lui dispone per noi nella Sua vigna: grati se ci ha chiamati alle prime luci del giorno e grati se siamo stati reclutati all’ultima ora. Chiediamo al Signore di liberare il nostro cuore e di renderci capaci di gioire per il bene e la salvezza offerta ad ogni nostro fratello.

Suor Assunta Cammarota

Con questo interrogativo (v. 28) il Signore ci esorta a riflettere sul comportamento di due fratelli circa la richiesta del padre di andare a lavorare nella vigna (vv. 28.29).

Il primo figlio dimostra un certo rispetto verso il padre, lo chiama signore (v. 29), gli risponde con dolcezza, ma a tutto ciò, non fa seguire poi un comportamento adeguato. Il secondo figlio, invece, risponde in senso negativo (v. 30) ma poi cambia pensiero, si pente, si converte e decide di fare la volontà del Padre (v. 30). Sembra che oggi il Signore voglia proporci un raccontino basato su una saga familiare con problemi e stili di vita molto comuni a noi … ma dietro tutto ciò, dobbiamo scorgervi anche un altro messaggio che richiede la nostra attenzione…

Il padrone della vigna è Dio, la vigna è il Regno, i due fratelli… ognuno di noi convocato, chiamato da Dio ad operare nella sua vigna… Dinanzi a questo invito, spesso, assumiamo due atteggiamenti: diciamo sì con le parole a cui poi non seguono azioni coerenti o diciamo no con le labbra mentre il nostro cuore sente di dover agire secondo il cuore e il pensiero di Dio. Sono queste fasi che si alternano in ognuno di noi. Per fare la volontà di Dio, però, abbiamo bisogno di pentirci, di convertirci dal nostro repentino no, dalle nostre chiusure immediate verso l’invito del Signore e aprire il nostro cuore verso le necessità che incontriamo nella sua vigna.

Solo con il cuore è possibile scorgere la presenza di Dio in noi e intorno a noi e solo con il cuore possiamo aderire a lui con tutte le forze e dedicarci alla cura della vigna… Stiamo attenti a non essere cristiani ipocriti, che dicono ma non fanno, superbi, egoisti e gretti, perché solo agli umili e agli ultimi è possibile l’ingresso nel regno. Il Signore è chiaro! Quelle categorie di persone (v. 31) che noi crediamo essere lontane dal Vangelo, ci sorpasseranno nel Regno di Dio…

Apriamo il nostro cuore a Lui, diamogliene pieno possesso, convertiamoci alla sua parola e gioiremo perché nel regno non solo sarà possibile a noi entrare, ma anche a tutti coloro che avremo incontrato lungo il cammino.

suor Simona Farace

La buona notizia, donata in questa domenica dal vangelo secondo Matteo, è che le relazioni fraterne nella comunità cristiana sono rese possibili dal Signore stesso, risorto, vivente e presente nella sua comunità.

Qual è l’atteggiamento migliore da assumere di fronte al fratello che pecca? E’ un’impresa ardua, è un’arte che richiede umiltà e saggezza; è difficile farlo e farlo bene; è più facile e frequente parlare con altri degli altrui difetti.  Gesù invita a procedere a tappe: in primo luogo a livello personale, poi con l’aiuto di una o due persone, quindi il ricorso alla comunità. Il fatto che alla fine un fratello non ascolti, non autorizza un abbandono, ma piuttosto un’attenzione speciale, come quella di Gesù, che era amico dei pubblicani e dei peccatori. La chiave per capire questa sua preferenza sta nella parabola del buon pastore che lascia le novantanove  pecore sui monti per andare in cerca di quella perduta. Dio ha più fretta di perdonare che l’uomo di essere perdonato. L’autenticità dell’amore si manifesta nella capacità di correggere colui che si ama.  La correzione fraterna va colta anche dal punto di vista di chi la riceve, che è sempre un fratello, un membro della comunità cristiana. Occorre tanta umiltà e disponibilità per ricredersi e ricominciare.

L’autentica correzione fraterna non è un giudizio e ancor meno una condanna, ma un evento sacramentale che pone Cristo al centro tra chi la esercita e chi la riceve.  Nella comunità non deve essere compiuta per sfogare personali risentimenti, ma per aiutare il fratello ad uscire da quella condizione di morte interiore, per poter gioire con lui della vita ritrovata. Il peccato, infatti, non è visto come trasgressione di una norma, ma anzitutto come manifestazione di una malattia interiore, di una forma di morte che abita il nostro cuore e dalla quale abbiamo bisogno di essere guariti. Ma niente è automatico: il Signore rispetta la nostra libertà e ogni volta chiede:” Vuoi guarire?” Egli è il medico pronto ad accogliere ogni desiderio ed impegno di bene.

Signore, Tu vuoi aver bisogno di uomini per farti conoscere agli uomini, e così leghi la tua azione e la tua parola divine all’agire e al parlare di persone né perfette, né migliori degli altri.

Non hai timore della nostra fragilità e neppure del nostro peccato: l’hai fatto tuo, perché fosse nostra la tua vita che guarisce da ogni male.  Ancora rinnovi la tua alleanza grazie a chi tra noi spezza il Pane di vita, a chi pronuncia parole di perdono, a chi fa risuonare annunci di vangelo, a chi si fa servo dei fratelli, testimoni del tuo amore infinito, che rendono visibile il Regno.Ti preghiamo, fa’ che queste persone non vengano mai meno!

sr Annafranca Romano

In questa  24^ domenica del tempo ordinario continua il discorso di Gesù sulle relazioni fraterne. Probabilmente quanto abbiamo ascoltato domenica scorsa sulla correzione fraterna (Mt 18,15-20) ha suscitato nei discepoli e negli ascoltatori altri interrogativi. Oggi è Pietro a chiedere a Gesù circa l’atteggiamento più difficile quale il perdono… Quante volte dovrò perdonargli?  La domanda è chiara, non si chiede quanto sia importante o perché bisogna perdonare, piuttosto si cerca un numero, una quantità, un limite.  Proprio così, noi vorremmo dei limiti che per certi aspetti faciliterebbero i rapporti. Gesù non ci insegna i rapporti di convivenza civile e umana, ma ci immette nella scuola delle relazioni fraterne. E quando si tratta di questo tipo di legame non sono i calcoli e le misure, i paletti da rispettare.  Perdonare sette volte era già tanto, ma non basta, Gesù ci introduce nella logica del “sempre”.

Segue poi la famosa parabola dove Gesù mette in evidenza l’incapacità dell’uomo di rispondere all’amore gratuito con altrettanta gratuità. Un uomo che sperimenta l’ascolto della sua supplica, fa esperienza di un cuore grande e aperto nei suoi confronti, viene totalmente liberato dal peso del suo debito, ma non è capace di fare altrettanto. Quest’uomo ha un debito enorme, ma dalla disperazione passa alla supplica che viene esaudita. Peccato però, che il suo cuore si chiude subito per molto di meno. È stato solo capace di gridare la sua supplica, ma non di ascoltare quella del suo debitore. Non basta essere stati perdonati, da questo atto se non si impara la gratitudine a nulla serve. Gesù ha fatto proprio una fotografia perfetta alla nostra vita, al nostro cuore, alla nostra logica, quasi uno zoom sulle nostre incoerenze e incongruenze. Ma nello stesso tempo ci proietta verso la logica del di più e del massimo dell’amore…il perdono di cuore! Il perdono di cuore che libera prima di tutto chi lo dona e poi si espande fino a creare un circolo d’amore.

Il re della parabola capace di compassione e di una larga misericordia è Dio, il Dio lento all’ira e ricco di grazia, qualità questa che da sempre gli uomini hanno provato a ridimensionare, recintare, restringere in precetti, leggi, norme, numeri…fino a sette volte? Questa parabola non è tanto un invito a perdonare, quanto a riconoscere l’essere stati perdonati e amati mentre eravamo e siamo nel peccato. Dio per amarci non aspetta che noi siamo migliori, ma è il suo amore a darci la possibilità di diventare migliori, uomini e donne grati, capaci di amare fino a perdonare.  La misericordia ricevuta ci affida la missione di portare e donare il perdono. Non è il nostro perdonare che ci merita il perdono, ma il grande cuore di Dio dove non contano i meriti, ma l’apertura alla Grazia!

     Suor Giuliana Imeraj

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Nel nostro nome "Piccole Missionarie Eucaristiche" è sintetizzato il dono di Dio alla Congregazione. Piccole perchè tutto l'insegnamento di Madre Ilia sarà sempre un invito di umiltà, alla minorità come condizione privilegiata per ascoltare Dio e gli uomini.
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