Il tempo dell’avvento appena terminato ha ridestato in noi il desiderio di Dio: il Natale è la risposta di Dio che viene incontro al nostro desiderio, al nostro bisogno di lui. Il Vangelo di Luca che ci viene proclamato durante la messa dell’aurora è quello più appassionante: la bellezza, la gioia, la forza, la ricchezza di un Dio che si fa bambino!
Luca ce la racconta con estrema semplicità che però non nasconde la grandiosità dell’evento. “Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo. Oggi, nella città di Davide, è stato generato per voi un Salvatore, che è Cristo, Signore” (Lc.2,10-11).È questo il grido, l’annuncio risuonato durante la Messa della notte. L’annuncio è dato per primo ai pastori: destinatari speciali di un annuncio straordinario, coloro che possono incontrare Dio con ciò che sono, con ciò che conoscono.
È Dio che si è fatto loro incontro, senza porre condizioni. Un Dio che si fa riconoscere dai segni quotidiani, che si nasconde nelle piccole cose. Un Dio che fa della fragilità degli uomini il luogo che vuole abitare. Nel messaggio dell’angelo ai pastori risuona l’annuncio cristiano fondamentale: nel figlio generato da Maria si è incarnato il Figlio di Dio. L’angelo porta il lieto annuncio: “Oggi è nato per voi un Salvatore, Cristo, Signore”. È l’annuncio che la comunità cristiana fa risuonare in tutto il mondo. Ed è per noi, oggi: siamo invitati a riascoltare l’annuncio basilare della nostra fede. “Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia”. Il Natale è una buona notizia di pace e di salvezza. Questa è la bella notizia: quel bambino povero, che dorme nella mangiatoia di una misera stalla è l’unico Salvatore del mondo, è il Messia annunciato dai profeti, è il Figlio di Dio venuto a liberarci dal peccato. Se ci abbandoniamo a questo messaggio, anche noi come i pastori veniamo travolti dal canto degli angeli che risuona sulla grotta di Betlemme: “Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini amati dal Signore!”.
Siamo amati dal Signore: questa è la grande, buona notizia del Natale. Santo Natale a tutti!
“La nascita di Gesù Cristo avvenne in questo modo” Mt 1, 18-24, inizia con questa affermazione il Vangelo di Matteo della quarta domenica di Avvento. Continuando a leggere ci rendiamo conto che il modo è inaspettato, che sorprende e confonde. Matteo ci ricorda che Maria è incinta per opera dello Spirito Santo, evento questo che ha mandato in crisi la relazione tra lei e Giuseppe. Una la scelta da fare: ripudiare Maria secondo la prescrizione della legge; Giuseppe preferisce riflettere, perché è un uomo giusto. Non mette in dubbio il dover applicare la legge, ma sceglie il modo meno doloroso, meno eclatante, sceglie di farlo in segreto. L’uomo giusto applica la giustizia usando la misericordia “non voleva accusarla pubblicamente…”.
All’uomo giusto Dio affida i suoi sogni, si mostra e mostra la via: “Giuseppe, Figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa”.”Non temere”, questo è il modo di Dio di entrare nella storia di Giuseppe, nella storia dell’umanità. “Non temere”, perché da oggi siete coinvolti in un progetto d’amore. “Non temere” soprattutto perché è lo Spirito che sta operando, lo stesso Spirito che crea e ricrea la vita, che ha parlato e generato i profeti. Quando lo Spirito opera, e ne abbiamo certezza, non c’è da temere ma da affidarsi e da attendersi cose grandi, meravigliose, incomprensibili e di assoluta novità. Lo Spirito genera nuova vita, tutto comincia con la nascita di un Figlio, a cui Giuseppe darà il nome. Grande, grandissimo il progetto, altrettanto grande il coraggio di Giuseppe che dall’ascolto profondo di se stesso e dei suoi desideri, pensieri, dubbi, passa all’ascolto dell’angelo, cioè di Dio. Dio entra nella sua crisi e ricompone armonia e vita, dà senso e futuro a quello che sta per accadere e rassicura questa nuova famiglia chiamata a generare e custodire il Dio con noi.
Matteo anche in questo brano riunisce la novità del Vangelo con la storia della salvezza citando il profeta Isaia, e ricordando che in tutto questo si stanno adempiendo le scritture: “Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio che sarà chiamato Emmanuele”, che significa “Dio-con-noi”. È lo stesso Emanuele, il “Dio con noi” del quale ha parlato il profeta Isaia quello che sta per nascere: il Dio dei profeti, dei grandi prodigi, il Dio il cui nome non si poteva neanche pronunciare e davanti al quale ci si copre la faccia. Questo Dio sta per diventare visibile, tangibile e, un uomo giusto di nome Giuseppe, lo chiamerà Gesù, “Dio salva”.
“Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa.” Questo è il miglior modo per generare Dio, ascoltare la Sua voce che sempre interviene a favore dell’amore e della vita, prendere con sè quelle situazioni che non si comprendono, non sono chiare, e a volte, non sono giuste. “Prendere con sé” è lo stile di Dio che nel mistero dell’incarnazione prende con sé la nostra natura umana per sempre in un abbraccio tra cielo e terra, perchè il Dio del cielo si è chinato su di noi…in una grotta!
Nel brano evangelico di questa terza domenica di Avvento, la nostra attesa viene raffrontata all’attesa di Giovanni Battista che, in carcere, si interroga sull’identità di Gesù e sul significato della sua azione. Anche il grande precursore, la figura per eccellenza dell’Avvento, ha bisogno di maturare nella pazienza dell’attesa. La domanda che pone a Gesù risulta alquanto stridente; oltre che fuori luogo, appare fuori tempo…Per non rimanere anche noi sconvolti da questa domanda e perché ognuno di noi possa meritare la beatitudine dichiarata da Gesù ”beato colui che non si scandalizza di me”- dobbiamo ricostruire il contesto storico da cui la domanda proviene . Giovanni si trova in carcere, arrestato da Erode per aver reso testimonianza alla verità. Aveva preannunciato un Messia di fuoco, che avrebbe bruciato la gramigna dei peccatori e degli infedeli, ma dalle voci che gli arrivano in carcere, il Messia Gesù non corrisponde al tipo da lui atteso.Il Messia sembra quasi compiacersi della caricatura che ne fanno gli avversari: un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori.Il suo dubbio manifesta un’angoscia incontenibile, rimane spiazzato dallo stile messianico di Gesù, ben diverso da quello che si aspettava….Così si spiega la domanda di Giovanni e si comprende anche perché la Chiesa ce la riproponga in questo tempo di Avvento. Che specie di Messia noi crediamo che sia Gesù?
Il nostro tipo di Messia corrisponde alla sua vera identità? Agli inviati del battezzatore Gesù non risponde direttamente, ma rinvia alle opere che compie. Si tratta di miracoli che ricalcano le profezie dell’Antico Testamento e tra questi c’è persino la risurrezione dei morti. Se Gesù si fosse limitato a guarire ciechi, storpi e sordi e non avesse evangelizzato i poveri, sarebbe rimasta intatta la sua identità messianica, ma Egli è andato oltre, non si è mai chiuso alle necessità e alle sofferenze dei poveri, ha avuto sempre misericordia per i peccatori, ha steso le braccia sulla croce in segno di amore…Chi è allora Giovanni: un profeta? Sì, risponde Gesù e anche più di un profeta, perché non solo ha predicato la conversione a quanti attendevano la salvezza d’Israele, ma si è convertito lui stesso al vero Messia. Anche noi stiamo vivendo l’attesa, ma troppo spesso siamo spettatori di eventi terrificanti e ce ne chiediamo il motivo. Dal momento che il Cristo è già venuto, come è possibile che l’umanità debba toccare ulteriormente il fondo della sua miseria e della sua fragilità? Gesù risponde anche a noi, come ai discepoli di Giovanni, invitandoci a leggere i segni positivi; le meraviglie che continua ad operare sono sotto i nostri occhi, forse troppo distratti da false sicurezze. La domanda di Giovanni ci invita a non dare per scontate le convinzioni che da sempre abbiamo sostenuto, ma a rimetterci in discussione senza temere che ciò sia una specie di fallimento, e stare in ginocchio di fronte al Signore per dirgli:” Forse non ti conosco ancora: chi sei tu veramente?
In questa seconda domenica di Avvento ascoltiamo e accogliamo la parola di Giovanni Battista che ci invita a preparare la via al Signore che viene.
Cosa significa preparare la via? Ce lo indica lui stesso quando ci richiama alla conversione. La conversione, come ricorda Giovanni Battista, è frutto di un incontro, è un evento di fede grazie al quale il credente accoglie e accetta la relazione con il Signore, decidendo così di sé e della propria vita. Non basta, però, cambiare i singoli atteggiamenti della nostra esistenza; non si tratta, infatti, di apportare piccole modifiche al nostro vivere, ma di cambiare mentalità, sguardo, cuore, in forza dell’incontro personale con il Signore e dell’accoglienza di quell’amore compreso e sperimentato come salvante, dinanzi al quale ci si riconosce peccatori e bisognosi di misericordia. Questo è il senso e il significato del battesimo che Giovanni sta amministrando! Quando parliamo di peccato intendiamo quell’atteggiamento di fondo che, con consapevolezza, rifiuta la presenza e l’opera dello Spirito Santo lasciandosi sopraffare dalle logiche mondane che spingono verso l’autoreferenzialità e “il delirio di onnipotenza”. Ecco perché la conversione è un processo che continua nel tempo, che ha bisogno di tappe e momenti fondamentali nei quali si è chiamati a riflettere e a chiedersi non tanto cosa fare per convertirsi, bensì come essere del Signore e nel Signore per dare senso all’esistenza.
La relazione con il Signore matura e cresce nel tempo, non è mai qualcosa di scontato o di acquisito una volta per tutte, si solidifica sempre più nell’ascolto della sua parola, nel lasciarsi interrogare e possedere da essa. Pertanto, anche la conversione è un cammino mai concluso, ma sempre aperto poiché, nella misura in cui si è disponibili ad accogliere la Parola e a lasciarla agire nella nostra vita, si sperimenterà l’esigenza profonda di camminare come il Maestro, in forza di lui, alla sua sequela, certi di poter vivere, in questo mondo, la comunione vista possibile in lui. In fondo, possiamo dire che la conversione è come un continuo esodo, un’incessante uscita da se stessi, dal proprio ripiegamento, dal proprio egoismo verso la terra della relazione, lasciandosi coinvolgere totalmente e personalmente al fine di sperimentare il dono della comunione e della carità. Il soggetto che si apre a questo invito diventa una piccola parte del regno di Dio che è regno di giustizia e di pace per il quale vale la pena spendere tutte le proprie energie per affrettarne la venuta attraverso gesti concreti di amore verso Dio e verso il prossimo.
Accogliere l’invito del Signore a liberarci da ogni ulteriore signoria, dalle passioni ingannatrici, dalla mentalità di questo mondo permette al credente di porre l’attenzione non solo su di sé, ma sull’intero creato, su tutta la fraternità umana su cui volgere lo stesso sguardo di misericordia del Signore, partecipando, così, all’opera di rigenerazione e di redenzione che ancora oggi è in atto.
Far spazio nella propria esistenza al regno che viene, significa lasciarsi coinvolgere totalmente all’interno del progetto che Dio ha per l’umanità e che affida ad ogni uomo, come dono e come impegno, in forza di lui e con lui e che bisogna testimoniare attraverso decisioni concrete. Accogliere l’esigenza della conversione, di una comprensione sempre maggiore di Dio e di se stessi, significa uscire dall’abitudine e dall’assuefazione che rendono la vita “mediocre”, frutto di pigrizia e di disimpegno, per mettersi alla ricerca del “meglio”, cioè di un continuo avanzare nel cammino con il Signore per vivere sempre più l’esistenza come dono gratuito.
Accogliamo l’invito “a fare frutti degni di conversione”, saremo figli di Abramo nati sì da un cuore di pietra ma che hanno sperimentato nel Signore la bellezza di un cuore di carne, pulsante, vivo.
Così quando egli ritornerà ci prenderà e ci porterà con sé, lì dove anche lui è.
Il brano del vangelo di Matteo, 24, 37-44, che ci viene proposto in questa prima domenica di Avvento si colloca nel discorso escatologico che Gesù fa ai suoi discepoli alla vigilia della sua passione.
Nella prima domenica dell’anno liturgico, la Chiesa vuole subito immergerci in un clima che fa dell’attesa del Signore il principio della nostra vita cristiana, per ricordarci che Avvento non è solo preparazione al Natale, ma occasione per tornare ai fondamenti della nostra fede.
Dio viene perché vuole entrare nella nostra storia, farsi compagno di viaggio. Dio viene: è l’annuncio che oggi si fa certezza. L’annuncio gioioso che Dio è qui, non ci ha abbandonato e mai ci abbandonerà. Quando? “Nessuno sa il giorno né l’ora”. Ma la sua venuta è certa.
“Siate pronti perché non sapete quando il figlio dell’Uomo verrà”. Il giorno arriverà come un ladro. Questo avvertimento affonda le sue radici nella letteratura e nel linguaggio biblico del Nuovo Testamento. “Come un ladro di notte verrà il giorno del Signore” (1Ts 5,2). Soltanto per i disattenti, come erano gli uomini contemporanei di Noè, la venuta di Gesù apparirà come l’irrompere di un ladro; per coloro che staranno “vigilanti” nell’attesa dei primi segni del Regno, Cristo verrà invece come un amico. Allora l’attuazione della parabola è tutta incentrata sull’incertezza del “quando”. Come vivere questa attesa? Gesù ci invita a rimanere svegli, vigili.
I ritmi della nostra vita sono sempre più frenetici, ogni momento deve essere programmato, vogliamo ridurre tutti i margini dell’imprevisto, abbiamo la pretesa di esercitare la signoria sul tempo, quello nostro almeno. Ma l’incontro con Cristo continua ad essere un avvenimento sconvolgente: quando irrompe nella nostra vita impone un radicale cambiamento che spezza e trasforma la quotidianità. L’incontro con Cristo non può essere programmato: deve essere atteso, lasciando che nella nostra vita ci sia uno spazio anche per la sua presenza. Solo così potremo leggere nel profondo la nostra storia e scoprirvi la presenza del Signore.
Il Signore non viene nel rumore, ma nel silenzio del nostro cuore. E’ venuto nella pace e per la pace. Chiediamo allora al Padre di vincere la pigrizia, la noia e di insegnarci a ripartire sempre per trovarci pronti all’incontro con Lui.